Marco 1,14-20
III domenica
(p. Ermes Ronchi)
È il momento fresco, sorgivo del vangelo, che ci riporta le prime parole che Gesù pronuncia, i primi gesti che compie.
E in primo piano, emerge il suo coraggio: Giovanni è appena catturato e messo a tacere, e Gesù entra in scena, come in una staffetta di profeti, ora tocca a lui mostrare che la parola non è incatenata. E si espone, al re Erode e ai pescatori del lago, senza paura dei rischi, senza mimetizzarsi. Il profeta è colui che non si mimetizza.
Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio. La prima caratteristica dell’uomo Gesù, quella che da subito ha colpito gli evangelisti, è quella di un uomo che cammina, cammina sempre, camminerà tre anni, e mai da solo, incalzato da una forza che lo obbliga a partire, a lasciare casa, famiglia, clan, paese, luoghi: Gesù venne da Nazaret di Galilea al Giordano (Mc 1,9)…e subito lo Spirito lo sospinse nel deserto (Mc 1,12)…arrestato Giovanni Gesù andò nella Galilea (Mc 1,14).
Un Gesù che ha scelto come casa la strada. Un “senza fissa dimora”, si direbbe oggi. E non esiste nessun caso, in Israele, nessun racconto nella Bibbia, prima di lui, di un maestro itinerante, senza scuola e senza casa. Nessuno mai leggero e libero come lui.
E porterà i suoi discepoli alla scuola della strada. Perché la strada è luogo di incontri, è di tutti e non domanda lasciapassare a nessuno, ti apre all’imprevisto, perché non sai chi sarà il prossimo a venirti incontro, ma sai che l’infinito è all’angolo di ogni strada.
Ed ecco la seconda nota caratteristica: Gesù andò nella Galilea proclamando il vangelo di Dio. Proclamando che Dio è una bella notizia.
Non era ovvio per niente. Non tutta la bibbia è vangelo, non tutta è bella e gioiosa notizia, alle volte è minaccia e giudizio, spesso è comando e ingiunzione, ma la caratteristica nuova del rabbi delle strade è proprio la parola vangelo: felice, lieta, gioiosa notizia. Dio conforta la vita. E se non conforta la vita non è Dio quello che noi proclamiamo.
La bella notizia che inizia a correre per la Galilea è raccontata così: il regno di Dio è vicino, Dio è vicino a te, forte come il tuo eroe e tenero come il tuo innamorato.
Gesù è il racconto della tenerezza di Dio, non della onnipotenza di Dio, ma della sua tenerezza!
Infatti vedi che Gesù passa per le strade e dietro di lui resta una scia di pollini di primavera, uno strascico di guarigioni e di abbracci.
È il mondo come Dio lo sogna: i poveri come principi, la pace tra il lupo e l’agnello, cancellare il concetto stesso di nemico, l’amore come unica regola, il corpo guarito e il cuore ubriaco di gioia.
Passa Gesù e vedi che un altro mondo è possibile, e lui ne conosce il segreto, sembra possederne la chiave: comincia a liberare, guarisce, purifica, perdona, rialza. Toglie barriere alle donne, recupera gli scartati, ridona pienezza di possibilità ai poveri, ciechi oppressi lebbrosi. E toglie il peccato, che ha un nome solo: è il disamore. Gesù è il guaritore del disamore del mondo.
Il vangelo di Marco riporta poi la seconda parte dell’annuncio: convertitevi e credete nel vangelo.
La conversione è come fare una inversione a U, quando ti accorgi che hai sbagliato strada, che stai andando nel fosso, che la felicità è dall’altra parte. Non è allora una esigenza moralistica, non vuol dire: diventate “bravi ragazzi”. Dio non ama i bravi ragazzi, ama le persone sincere autentiche vere.
Vuol dire: Cambia strada e vieni con me: di qua si va in un posto molto bello; di qua il cielo è più vicino e più luminoso; e l’azzurro non è così azzurro da nessun’ altra parte; e il volto di Dio è solare e sorridente, e perfino gli uomini sono buoni, e mostreremo loro quanto sono belli. “Il vostro male fratelli è che non sapete quanto siete belli” (Dostoewski).
‘Convertitevi’ vuol dire ‘giratevi verso la luce perché la luce è già qui’, come fa un girasole che si rimette ad ogni alba sui sentieri del sole.
Convertiti non suona come un ordine, un comando da caserma che fa scattare sull’attenti e temere la punizione, è una offerta di sole, di solarità, l’offerta della migliore delle possibilità.
Poi viene la chiamata dei primi discepoli. Camminando lungo il mare di Galilea, Gesù vide… Gesù cammina e guarda. Cammina senza fretta e senza ansia, abita pienamente la vita. Cammina e vede Simone e in lui intuisce la Roccia. Vede Giovanni e in lui indovina il discepolo dalle più belle parole d’amore. Vede Giacomo è in loro non vede solo gli imprenditori di una piccola azienda di pesca, ma “i figli del tuono”. Un giorno guarderà l’adultera e in lei vedrà la donna capace di amare bene.
Il suo è uno sguardo creatore e poetico.
Vi faro diventare pescatori di uomini, una frase che non avevano mai sentita nelle Sacre Scritture, inedita e un po’ illogica.
I quattro sapevano pescare. Sapevano che pescare è la morte del pesce. Ma Gesù è amico della vita, profuma di vita. È come se dicesse: “vi farò pescatori di umano”. Tirerete fuori gli uomini da sotto quella superficie in cui la vita non è vita; tirerete fuori ogni persona il meglio, il fiore dell’umanità di ciascuno.
Vi farò pescatori di umanità, cercatori di tutto ciò che di più umano, bello, grande, luminoso ogni figlio di Dio porta nel cuore. Lo tirerete fuori dall’oscurità, come tesoro dissepolto dal campo, come neonato dalle acque materne, li porterete dalla vita sommersa alla vita nel sole.
Insegnerete a vivere meglio.
Ti sembra piccola cosa insegnare a vivere? è il massimo che c’è!
I discepoli, i quattro non sono pronti. Non sono preparati, non hanno fatto corsi, ritiri, non hanno studiato teologia o psicologia, in compenso hanno qualcosa: sentono il fascino di Gesù. Sentono che emana vita e si mettono alla sua scuola.
Di quel Rabbi così diverso, alternativo, quasi fuori dalle righe (“solo gente fuori dalle righe può soffiare via la coltre di cenere che copre la brace delle nostre vite”… Card Martini).
Il maestro guarda anche me, che non sono pronto; e si fa pescatore di umano: vede in me, nonostante i miei inverni, una primavera possibile,
una generosità che non sapevo di avere,
capacità che non conoscevo,
un’allegria profonda ma ancora muta.
Mi guarda con la fiducia di chi contempla le stelle
prima ancora che sorgano. E mi dice: seguimi.
Signore, sono il primo dei paurosi,
ma pronto a dire eccomi.
Sono l’ultimo dei coraggiosi,
ma pronto a dire, insegnami a vivere meglio.
Ti seguirò, Signore che apri sentieri e insegni respiri.
Perché sei pescatore di stelle,
anche nel cielo buio della mia vita.
Preghiera
Donami, Signore, un cuore libero e saldo,
leggero e possente come un germoglio di cielo.
Donami un cuore giovane, attento a tutto ciò che nasce,
che sta dalla tua parte per creare un mondo nuovo.
Aiutami ad amare questa storia barbara e magnifica
e tutti i miei fratelli esposti come me alla paura,
esposti al cuore stanco,
ma dalla tua forza buona
miracolosamente accolti.
Aiutami a fissare negli occhi le creature
e insieme a fissare gli abissi del cielo.
Ad essere generoso di sentimenti
ad abbondare nell’amore,
perché diventi saldo il cuore.
E alzi il capo a contemplare il passo di Dio,
il germoglio di giustizia che è già spuntato,
che ha preso il volto indimenticabile di Gesù,
il volto del più bello tra i figli dell’uomo.
Amen.
(p. ERMES RONCHI)
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