27 Agosto 2020

COVID-19. SIGNORE COSA CI STAI DICENDO? (don Pietro Lepre)

 

Lettura sapienziale della pandemia da Covid-19 in un contesto pastorale ed ecclesiale.

Mi chiedo ancora e spesso, perchè? Cosa vuoi Signore da noi? Cosa ci stai dicendo? Non perchè il Signore non parli al suo popolo, solo che stalvolta è cambiata la modalità. Dio parla come tutti noi: mediante la sua Parola nella sua Chiesa. Parlando esprime una volontà, un disegno, un progetto da compiere. Nella storia della Fede di Israele e poi della Chiesa, spesso ciò che non si è voluto o potuto capire e compiere, si è dovuto farlo “per forza”. Questo accade anche nella storia personale di ognuno di noi. Se la Chiesa avesse avuto una sensibilità sapienziale e non arroccata su se stessa, avrebbe accolto le provocazioni di Lutero e molto probabilmente non avremmo avuto lo scisma nella chiesa cattolica. Ma bisogna anche dire che la Chiesa è figlia del suo tempo e che tutto si compie a suo tempo.
Questo della pandemia è stato il tempo della Chiesa interiore ed esistenziale. Non che prima non lo fosse, ma era oppressa da altri aspetti. Ad Israele è venuto a mancare il tempio quando è stato deportato in Babilonia, mentre in Patria non ne sentiva il bisogno, oppure era sotteso, latente, ordinario. E proprio lì, in cattività, in quarantena forzata, quando gli mancava fisicamente il tempio, il culto, le tradizioni, la liturgia, è giunto a maledirsi, ad attaccarsi la lingua al palato se avesse fatto uscire da bocca i canti di Sion in terra straniera, cioè in una situazione nuova e imbarazzante, come la cattività. E noi ci siamo stati in cattività.
Talvolta le cose insignificanti e nascoste provocano più di quelle visibili ed eclatanti. Proprio quelle minute richiamano a realtà molto più profonde: Vedi la vedova povera al tempio o la straniera che chiede le briciole che cadono dalla tavola o lo storpio alla piscina che non fa mai in tempo a buttarsi in acqua, o il centurione pagano che Gesù esalta per la sua fede. In realtà ha fatto più effetto il recente lockdown che decenni di ordinaria predicazione della Chiesa in tempo di quaresima. Sto riferendomi alla scoperta e riscoperta della Chiesa esistenziale a discapito di quella cultuale, della “vittoria” della preghiera personale su quella comunitaria, sulla carità nascosta di chi si nasconde, si chiude in casa per fare del bene invisibile, sulla carità che fisicamente esce e va verso il bisognoso. Insomma, c’è stato il capovolgimento delle abitudini, delle consapevolezze, delle certezze, un rimescolamento di tutto per ritrovare un equilibrio tra le parti. E ciò non è stato facile o naturale. Con la mente eravamo consapevoli che saremmo dovuti rimanere a casa, ma alla prima tentazione di culto, di spesa impellente, di urgenza da vita, di servizi da offrire, siamo usciti di casa. E spesso noi che siamo guide di un popolo, non siamo stati da esempio: siamo usciti, abbiamo fatto sempre qualcosa, mettendo a rischio la salute di chi ci accompagnava e a rischio l’unità della Chiesa e del presbiterio.
Certamente Dio ci ha parlato, a tutti, richiamando a suon di Lockdown e morti, le giuste misure in tema di vita, di fede, di responsabilità, di ecologia, di priorità per una equilibrata vita sociale, politica e religiosa. Ad esempio: le misure di contenimento, il distanziamento, i guanti e le mascherine, ci hanno detto molto di più delle norme di vita ascetica e di vita spirituale. Faccio un esempio concreto: per noi che viviamo i consigli evangelici sia in forma di voti sia in forma di promessa, le norme di contenimento ci hanno aiutato nella comprensione che la familiarità e la promiscuità con persone e cose è un campo minato, che l’obbedienza al vescovo non è un optional da interpretare ma è dare a Dio quel che è di Dio, che l’obbedienza ai decreti governativi equivale a dare a Cesare quello che è di Cesare.
Il blocco totale e la chiusura ai fedeli delle nostre chiese ha fatto intendere meglio il valore della Messa della domenica su quella feriale della settimana, che davvero occorre più Messa e meno Messe, ha fatto intendere che le comunicazioni virtuali sono un’opportunità da saper gestire con discernimento, responsabilità e prudenza.
Poi, sinceramente, non so fino a che punto questo virus abbia davvero inciso la coscienza collettiva, ma comunque il suo contributo l’ha dato, anche grazie alla globalizzazione. Rispetto alla pandemia della spagnola del 1920, più virulento e assassino, questo coronavirus è stato visualizzato da 5 miliardi di persone nello stesso istante, ogni giorno, per mesi. I dati mondiali della pandemia scorrevano in tempo reale sui nostri schermi.
Cosa fare, cosa proporre, cosa tenere in considerazione a livello pastorale?
1. Credo che bisogna battere il ferro caldo della memoria, dell’esperienza concreta e recente, contestualmente a quella biblica ed ecclesiale. Dobbiamo adottare misure strategiche e pastorali che tengano conto dell’urgenza e della crisi che ci ha trovati sprovvisti e impreparati. Mi riferisco alla preghiera personale abbinata allo studio e alla meditazione della Parola. Ora è il tempo di agire con tempestività perchè il popolo è affamato di saggezza, di sapienza, di Parola. Lo abbiamo visto scosso, impaurito, impreparato, in pericolo. Non so cosa potrebbe accadere ad una seconda e ravvicinata simile crisi se non fosse ben disposto e plasmato dall’azione dello Spirito Santo. Di questo noi pastori siamo responsabili davanti a Dio. Credo che mai come ora il popolo è disposto, è attento, è pronto. L’esperienza gli è servita ad inquadrare una nuova scala di valori.
2. Impostare il territorio e le parrocchie in modo che tale formazione sia efficace, vedi le unità pastorali. Come a dire: se non mettiamo la Parola, la Celebrazione e la testimonianza subito, ora e adesso, al centro di tutta la nostra azione e attenzione, ora che abbiamo il ferro ancora caldo da battere, avremmo perso una grande opportunità di fare il bene al nostro popolo. Vedi Lutero ..

 

 

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