13 Agosto 2010

LA PRIMA PIETRA (UNA LINFA CHE SCORRE)

Anno: 1980
Regia: Marcello De Stefano
Soggetto: Marcello De Stefano
Sceneggiatura: Marcello De Stefano
Fotografia: Antonio Seguini
Consulenza storica: Giuseppe Bergamini, Domenico Cadoresi, Gino di Caporiacco, Gianfranco Ellero, Gian Carlo Menis, Francesco Quai
Musiche: Bruno Rossi
Suono e editing: Cinecittà
Montaggio: Salvatore Mereu, Marcello De Stefano
Speaker: Graziella Ricci Polini, Gianfranco Scialino
Produzione: Seguini, Udine 1977-1980
Durata: 62’

Nel
1977, il Consorzio Acquedotto Friuli Centrale decide di affidare a
Marcello De Stefano l’incarico di realizzare un film, allo scopo di
documentare le opere di ricostruzione ed ampliamento del condotto
d’acqua che percorre le zone terremotate (1976) del Medio Friuli, della
Pedemontana, Prealpi Giulie e delle Vallate del Natisone. La pellicola
avrebbe dovuto essere ultimata entro il 1982 per essere presentata nel
corso dei festeggiamenti per il 50° anniversario di fondazione del
Consorzio.

L’opera di ricostruzione dell’acquedotto realizzata dal
Consorzio è stata inoltre finanziata dal Governo, dalla Cee e
dall’amministrazione regionale. L’infrastruttura interessa tre
comprensori della regione: quelli del Friuli centrale (27 comuni), della
Bassa (33 comuni) e della pedemontana (21 comuni) ed ha un’estensione
complessiva di 2.500 chilometri quadrati, per un’utenza di 60 mila unità pari a una popolazione servita di 240 mila abitanti.

Il
film-saggio si pone come naturale continuazione e sviluppo delle
tematiche affrontate con Controlettura, tanto è vero che poi verrà
indicato dallo stesso De Stefano come il secondo capitolo di una
trilogia che si concluderà con Uomo, macchina, uomo e che avrà quindi
come ulteriore titolo Controlettura-parte seconda.

Come è stato
sottolineato da molti critici, il regista friulano compie con sicurezza
una sintesi originale tra due componenti che all’apparenza sembravano
inconciliabili, quella tra la riproposta dei valori tradizionali
dell’etnia friulana ed il progresso tecnologico (quindi tra due termini
antitetici: uno umano e l’altro talvolta causa di disumanizzazione).

E
l’acquedotto pare proprio essere “il fattore di intermediazione fra
l’asse tecnologica e la cultura locale” (92) e “in questo rapporto
dialettico sta il senso più profondo del film, che pesca nei valori
della nostra civiltà contadina per trarre da essa non motivi di polemica
verso l’indispensabile civiltà industriale, ma piuttosto stimoli per un
giusto equilibrio proprio perché questa non distrugga quella” (93).

Nelle
intenzioni di De Stefano, inoltre, La prima pietra vuole essere una
“valida testimonianza della capacità ricostruttiva, dell’alta
tecnologia, delle culture e tradizioni riemergenti di un popolo come
quello friulano che non vuole arrendersi” (94).

Il film-saggio si
sviluppa lungo due assi paralleli: da una parte abbiamo l’opera di
ricostruzione, da parte del Consorzio, dell’acquedotto, e dall’altra possiamo
ammirare alcune tavole pittoriche raffiguranti episodi della storia
locale, realizzate su richiesta di De Stefano, dal noto artista Arrigo
Poz.

I bozzetti di Poz (che viene ripreso anche mentre lavora
all’opera figurativa sul terremoto in Friuli che possiamo “leggere”
all’ingresso della “Chiesa delle Grazie” a Udine – e la lavorazione a
quest’opera può essere accostata a quella dell’acquedotto perché, se ben
condotta, quest’ultima è pure a sua volta un’opera d’arte: questo è
anche parte del pensiero del regista tradotto in film-) vogliono
esaltare i valori antropologici e socio-culturali della civiltà
contadina friulana, e la necessità di un loro recupero e di una doverosa
salvifica immissione di essi nell’asse tecnologica.

Già, perché il
progresso tecnologico, per De Stefano non può e non deve essere fine a
se stesso e finire così per trasformarsi in un elemento di oppressione e
di alienazione per l’individuo; perciò, per simboleggiare tutto ciò, il
regista attinge a quello che è l’elemento più semplice, e allo stesso
tempo necessario, che si può trovare in natura, e cioè l’acqua.

L’acqua è
la vita che si contrappone alla morte, ed assicurare la continuazione
della vita migliorandola dovrebbe essere l’obbiettivo principale del
progresso. Come spiega chiaramente Roberto Iacovissi, nel suo articolo
su La prima pietra – una linfa che scorre, “le tubazioni, (), hanno un
senso se al loro interno entra l’acqua, così come la tecnologia ha senso
se al suo interno recupera i valori delle civiltà locali” (95).
Solo in
questo modo, recuperando la tecnologia determinati valori, sarà
possibile restituirla all’uomo.

Come sempre, qui De Stefano punta
quindi ad un recupero cosciente degli alti valori tradizionali della
civiltà friulana, ma questo recupero non consiste in una mitizzazione di
un passato contemplato da lontano come qualcosa di estraneo alla nostra
realtà odierna, bensì nel calarsi e nel mescolarsi di esso al nostro
vivere quotidiano.

Sul
giornale friulano «In uaite» (96) all’interno di un articolo uscito il 4
aprile 1982 a proposito del film-saggio preso in esame, troviamo anche
una serie di domande presentate al regista che in poche righe riassume
forse tutti i dati messi in luce finora.

L’intervista è la seguente:

D.
«Facendo discorsi del genere, signor De Stefano, non c’era il rischio
di cadere un po’ nella retorica, un po’ nel luogo comune? Come pensa di
averlo evitato?»

R. «Il recupero dei valori antropologici non sono
mai un luogo comune, si sente invece, e lo sottolineerei, l’esigenza di
una rigenerazione che parta dall’uomo e che dei valori umani sia
presupposto. Parlando dei valori umani e con una simbologia di fondo io
penso di avere evitato retorica e luoghi comuni»

D. «Che cosa vuol dire per lei industrializzazione in senso negativo?»

R. «Significa massificazione, la quale si traduce nel consumismo deleterio, nella prevaricazione della macchina sull’uomo»

D. «Allora la sua è una proposta umanitaria?»

R.
«Non la butti sullo scherzo. Io potrei suggerire due principi: primo,
che la tecnologia non vada mai dissociata dal progresso umano; secondo,
che i valori civili debbano essere recuperati dalla nostra civiltà,
appunto da quella contadina, per rimanere nel concreto»(97)

Nel corso
del film, mentre seguiamo i lavori di ricostruzione dell’acquedotto che
parte dalle due centrali principali di Molino del Bosso e di Savorgnano
del Torre, compaiono i nomi di piccoli centri del territorio friulano
come Zampis, Feletto e Montenars, e questo ci da il senso di un voluto
capovolgimento dei luoghi comuni sul concetto di storia, basata per
eccellenza sui grossi agglomerati urbani. Riprese, queste, che sono un
inneggio alla «microstoria», quale storia da affiancarsi alla
«macrostoria».

Dopo la presentazione ufficiale, avvenuta il 20
febbraio 1982 ad Udine, al Cinema Puccini, in occasione – come già
detto- dei festeggiamenti per il 50° anniversario di fondazione del
Consorzio, La prima pietra (una linfa che scorre) verrà inviato, portato
nel passo 16 mm. (il film, come tutti i precedenti di De Stefano è
stato girato in 35 mm.), in diversi paesi del Friuli.

Nell’aprile del
1982, viene presentato a Villa Manin di Passariano, a cura del Lions
Club di Lignano, mentre il 26 marzo partecipa, insieme a
Controlettura-parte prima, alla rassegna cinematografica professionale
friulana che si tiene a San Daniele del Friuli.

In seguito, nel
maggio 1984, è stato proiettato all’Hotel Hilton di Milano, per
iniziativa del Fogolâr Furlan del capoluogo lombardo, alla presenza di
numerosi esponenti del mondo commerciale, industriale e culturale
milanese e di rappresentanti della stampa.

NOTE

92 Mario Quargnolo, Progresso e cultura: film sull’acquedotto su «Messaggero Veneto», 19 febbraio 1982.

93 Ibidem.

94 Francesco Bramardo, Prima pietra, nuovo film di Marcello De Stefano su «Il Gazzettino», 19 febbraio 1982.

95 Roberto Iacovissi, La prima pietra – Una linfa che scorre su «La Vita Cattolica», 27 febbraio 1982.

96 Vito Sutto, La prima pietra su «In uaite», 4 avril 1982 (4 aprile 1982).

97 Ibidem.

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