Anno: 1982
Regia: Marcello De Stefano
Soggetto: Marcello De Stefano
Sceneggiatura: Marcello De Stefano
Fotografia: Antonio Seguini
Musiche: Bruno Rossi
Suono e editing: Cinecittà
Consulenze: Giovanni Molina, Vincenzo Selan
Speaker: Gianfranco Scialino, Graziella Ricci Polini
Disegni: Ermis
Montaggio: Salvatore Mereu e Marcello De Stefano
Produzione: H.W., Udine; 1980-1981
Durata: 44’
Con
questo film-saggio si chiude la trilogia – iniziata con Controlettura e
continuata con La prima pietra (una linfa che scorre) – che il regista
friulano “Marcello De Stefano ha voluto dedicare alla scoperta e
riproposizione dei valori culturali ed umani della comunità friulana,
come valori di portata universale e, dunque, in grado di costituire una
proposta globale che le comunità etnico-linguistiche possono fare a
quella più vasta dello stato e, perché no, a quelle del mondo intero” (98).
Qui
l’autore della pellicola, si pone il fine di mettere in luce il fatto
che sia ancora possibile un rapporto “umanizzante” tra l’uomo e la
macchina, a patto che questa non finisca per dominarlo in maniera
spersonalizzante ed alienante.
Dev’essere l’uomo, quindi, il soggetto
che “usa” la macchina e non il contrario. E questo uso “umano” della
macchina si può rinvenire in maggior misura nel settore
dell’artigianato, che nella pellicola viene indicato sia come “lavoro
che rispetta la dignità umana” che come “segno di cultura e civiltà
locali” (99).
La macchina – insiste il regista – dev’essere soltanto uno
strumento nelle mani dell’uomo, permettendogli di esplicare le sue
capacità e la sua intelligenza, e deve consentire la cosciente
partecipazione creativa del lavoratore a ciò che fa.
L’artigianato,
“custode di tradizioni e memorie che testimoniano cultura e civiltà” (100),
è in grado di proporre “un concetto corretto di progresso, in quanto
alla sua base c’è la liberazione dell’uomo dalla fatica e dalla
schiavitù del lavoro” (101).
Il film viene commissionato a De Stefano
dall’Ente per lo Sviluppo dell’Artigianato del Friuli-Venezia Giulia
(Esa), per essere presentato in occasione della cerimonia commemorativa
dei 15 anni di vita dell’ente. Tra le intenzioni dell’Esa vi è quella di
far cogliere (soprattutto ai giovani) il senso e la validità
dell’attività artigianale esistente ancora nella regione friulana,
promuovendo quindi “un momento di riflessione sul valore non secondario
del ruolo dell’artigianato nel contesto produttivo del Paese” (102).
Il
film si apre con alcune immagini della “Mostra di Artigianato” di
Socchieve, un paesino che si trova in Carnia, terra nella quale, come ci
informa la voce fuoricampo dello speaker, «l’artigianato è un’antica
tradizione, il segno di una cultura, di una civiltà innegabile». In
questa mostra vediamo esposte antiche maschere lignee, del legno
lavorato e degli utensili.
In
seguito, dopo i titoli di testa, al “legno”, quello degli oggetti della
vita quotidiana, si unisce il “ferro”, quello del «cjavedal», anima
della vita familiare. Nel corso del film poi si passano in rassegna i
luoghi tipici della produzione artigianale friulana: Sutrio, uno dei
centri principali nella produzione di legno; Manzano, centro europeo
della sedia; San Giovanni al Natisone, dove si trova il centro
assistenza tecnica delle aziende produttrici (simbolo di un artigianato
ben capito perché pur nella tradizione si rinnova).
Possiamo ammirare
poi l’antica lavorazione delle pantofole a San Daniele del Friuli, e la
produzione di coltelli, per mezzo di antichissimi stampi, a Maniago,
“ultima isola produttiva del Friuli” (103).
Ci spostiamo quindi a
Trieste, dove esiste “soprattutto un artigianato di servizi, ma anche
un’attività paramarinara con la produzione di accuratissime barche” (104), e
tra essi un tipo di artigianato cosiddetto intermedio che è – esempi –
quello del sarto, del tipografo, del carrozziere. Inoltre viene presa in
esame anche un’antica figura di artigiano – un omaggio alle origini –
che si è affermata nella città giuliana: quella del «conzapignate»,
venditore ambulante, che rivestiva col reticolo di fil di ferro le
pentole di terraglia.
Si torna quindi alla mostra di Socchieve (che
costituisce il leitmotiv di questo film), e viene sottolineato il fatto
che in Carnia, pur essendo state adottate nell’artigianato le nuove
tecnologie, si è riusciti a rimanere fedeli alla tradizione.
Passano
in seguito le immagini di un ritratto in bassorilievo di Pietro Zorutti,
e tale bassorilievo è un richiamo alla scuola di ceramica friulana, e a
quelle dei mosaicisti di Spilimbergo ripresi mentre cercano i sassi sul
greto del Tagliamento, che trasformati in tessere musive di buona consistenza,
si fanno chiaro richiamo ad Aquileia antica (105). Poi vediamo
l’artigianato artistico del ferro (con le opere dell’udinese
Calligaris), la lavorazione dell’argento e dell’oro, e quella di marmi e
pietre.
Ritorna per la terza volta sullo schermo il manifesto della
mostra di Socchieve ove vediamo esposti i tappeti di Sauris. E la stessa
cura che i saurani dedicano alla lavorazione dei tappeti, la comunità
slovena del Carso triestino la rivolge alla costruzione delle
cassapanche carsiche, ed i cestai della Bassa friulana alla lavorazione
del vimini.
Arrivati a questo punto, la voce dello speaker pronuncia
delle parole che vogliono riassumere il senso di tutto quanto visto
finora: «L’artigianato ci induce alla revisione di taluni schematismi
nel concetto di storia per riproporvi, con l’uomo e nell’uomo, il suo
protagonista indiscusso. Primato dell’uomo che proprio dall’artigianato
viene difeso, conservato, nonostante le ricorrenti violenze di sistemi
economici protesi a massificarlo».
Quindi anche in Uomo, macchina,
uomo esistono due piani di lettura: quello narrativo, consistente nel
ripercorrere appunto i luoghi tipici dello sviluppo dell’artigianato
nelle varie zone del Friuli, e quello propositivo, e cioè il promuovere
da parte delle comunità etnico-linguistiche, sulla falsariga
dell’artigianato come esempio per la nostra società, lo sviluppo di
un’economia industriale di diverso spessore da quello al quale siamo
abituati.
Questo perciò è anche un film della speranza, la speranza
che attraverso il ritrovato equilibrio tra uomo e macchina e tra uomo e
natura, si possa finalmente combattere contro la violenza e la
disumanità del mondo contemporaneo, e che “la gioia di un lavoro non
privo di creatività artistica”(106), quale quello dell’artigianato,
restituisca “alla società quei giovani che le prospettive di un lavoro
senza anima ha respinto nei vicoli ciechi dell’emarginazione e della
rivolta”(107).
La parte dello speaker è affidata a due ottimi lettori:
nella prima parte del film a Gianfranco Scialino, e nella seconda anche a
Graziella Ricci Polini, la cui voce femminile interviene nei momenti
nodali, di estremo interesse, del film. Questo scambio nella continuità
narrativa ha delle motivazioni molto profonde, perché rivendica alla
donna il ruolo – ingiustamente ignorato – di elemento portante della
nostra cultura.
Per quanto riguarda gli altri apporti artistici, la
fotografia sicura e suggestiva è opera di Antonio Seguini, uno degli
abituali collaboratori di De Stefano, come l’etnomusicologo Bruno Rossi,
che si occupa del commento musicale. Inoltre, anche questa volta, per
il montaggio il regista si fa affiancare da un altro collaboratore,
Salvatore Mereu.
Dopo la presentazione ufficiale a Villa Manin di
Passiarano, il 20 marzo del 1982, a cura del presidente dell’Esa Diego
Di Natale, Uomo, macchina, uomo viene proiettato al cinema Pellico di
Portogruaro su invito del Soroptimist locale.
E dopo aver inaugurato
il 3 luglio la «Mostra dell’artigianato carnico» di Socchieve, il film
viene portato a Roma e presentato in ben tre occasioni: nell’ambito
delle manifestazioni estive dell’Espotevere 1982, nella sala Clementina
di Castel Sant’Angelo e a Palazzo Ruggeri.
NOTE
98 Roberto Iacovissi, “Dalla liberazione dell’uomo alla liberazione dei popoli”, pag.57.
99 Mario Quargnolo, Film dell’Esa sull’artigianato su «Messaggero Veneto», 20 marzo 1982.
100 Ibidem.
101 Roberto Iacovissi, op. cit. pag. 58.
102 Natale Zaccuri, Uomo-Macchina-Uomo, Film dicumento del regista Marcello De Stefano su «Obbiettivi», M. C. L., 1982
103
Mario Quargnolo, Uomo macchina uomo – Il film commissionato dall’Esa al
regista De Stefano su «AFVG – L’Artigianato del Friuli-Venezia giulia –
Rivista dell’Esa», Anno XIV, n. 4.
104 Ibidem.
(105) La tessera del mosaico aquileiese si
differenziava da quella ravennate perché contrapponeva alla delicatezza
di quest’ultima, la propria consistenza, tipica di questa tessera
musiva. Questa si utilizzava, pertanto, prevalentemente per pavimenti e
non per decorazioni murali e ritratti, come avveniva invece per quella
di Ravenna.
106 Francesco Mei, Artigianato economia e creatività su «Messaggero Veneto», 4 dicembre 1982
107 Ibidem.