14 Agosto 2010

INTERVISTA CON MARCELLO DE STEFANO

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1. Il perché delle scelte

D.
Considerando tutto il suo iter cinematografico, dall’inizio del periodo
friulano, ha maturato una riflessione e se sì qual’ è?

R. Il mio
impegno come regista nel campo dell’arte cinematografica ha sempre avuto
per oggetto l’uomo nella difesa di quei valori che lo fanno Uomo,
nell’accezione filosofica più alta del termine.
E ciò in continuazione di quegli stessi contenuti trattati nella mia attività artistica precedente: pittura e poesia.
Ho
quindi sempre concepito un’arte come contributo, pur come piccola
tessera di un mosaico, al divenire positivo della storia degli uomini.
In questo trentennio ho così toccato momenti di questo farsi storico
sempre alla luce dei valori etici che le “minoranze”, in quanto non
toccate dalla grande storia, quanto alla loro essenza, presentavano
ancora quale novità di elementi pro-uomo da considerare, perché essi si
ponevano ogni qualvolta come implicita risposta agli interrogativi che
sorgono dall’ambito della Grande Storia, e che si profilano come fatto
di preoccupazione per l’esito della storia contemporanea e quindi come
timore di esiti negativi, se non fatali, per la stessa sopravvivenza
dell’Umanità. Rispondevo così di volta in volta alle tematiche in
discussione quali difesa dell’ambiente, ecologicamente inteso, problema
della giustizia sociale, rifiuto della discriminazione dei diversi,
accettazione della multietnicità e multi-religiosità – e si consideri
che io sono un cattolico praticante – , instaurazione di una pace vera e
duratura,
dialogo come forma di comunicazione e quale auspicabile costume, da instaurarsi, nei popoli.

Partendo
da quella piccola cellula d’Europa che è il Friuli perché consistente
nella presenza di più etnie: friulana, paleoslava, paleotedesca e
veneta, sono così arrivato anche a concepire l’Europa fatta di unione di
popoli come un arricchimento perché, per la sua stessa articolazione di
convivenza di quattro etnie in Friuli, ho potuto concludere che come
esse hanno costituito un armonico modus vivendi, e quindi un contributo
alla pace, così dovrebbe aver luogo tra i vari popoli nell’Europa unita.

D. Ma questa Europa “unita”, prima tanto voluta, ed oggi tanto criticata, non necessita di una chiarificazione?

R.
Certamente. Già Quargnolo precisava i termini del problema Europa;
infatti, nella introduzione al suo libro sul mio cinema, concludeva con
queste illuminanti parole: «… Ponendosi così col suo cinema nella
linea di una battaglia che voglia, come vittoria, non un’Europa che sia
la sola somma degli Stati – un gattopardesco “nulla cambia” – ma
un’Europa articolata nella verità dei popoli e delle regioni, che attui
veramente quel salto di qualità che ne giustifichi effettivamente
l’unità e che concretizzi di fatto un autentico spirito democratico.
Anche a questo risultato pratico mira il messaggio globale del regista
friulano» (189).

D. I suoi film-saggio (come li chiama la critica),
dunque, hanno sempre mirato a un recupero dell’etica, vastamente intesa –
dal sociale al religioso
– e quindi con la loro proiezione puntavano ad essere stimolo per un
risveglio, oltre ad essere percepiti come fatto estetico. In questa
fruizione si esauriva il suo impegno etico-sociale?

R. Indubbiamente i
miei operati cinematografici avevano lo scopo primario postomi nella
domanda. Ma io sentivo anche il bisogno di essere il più possibile
presente alle proiezioni, che quindi accompagnavo promuovendo dopo di
esse un dibattito per maggiormente fissare i termini del pungolo al
risveglio.

Ed anche magari a raccogliere consensi per promuovere
proposte di legge, per cui fin dall’apparizione del mio primo
film-saggio friulano alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia
del 1972, feci ivi un dibattito a favore dell’infanzia portatrice di
handicap e lo realizzai in sala Pasinetti il 2 agosto (190).

E iniziai
allora a raccogliere le firme per un progetto di legge pro-emarginazione
che mirava a far centro delle norme la figura umana dell’handicappato
nel rispetto delle sue capacità di realizzazioni operative,
indipendentemente dal tempo da lui impiegabile, e con un riconoscimento
economico eguale a quello di un lavoratore cosiddetto normale.
Cioè non
considerando il parametro di resa economica che è perno della nostra
economia, bensì al suo posto quello della persona umana comunque essa si
possa manifestare, quale dato primario.

E ciò l’ho ripetuto in tante
città d’Italia ove, dopo la proiezione ed il dibattito, ho raccolto
firme per portare avanti il progetto, ed ove ho anche constatato la
verità di quanto sostenevo in comunità di handicappati guidate da
sacerdoti o volontari laici.

D. E risultati pratici ne ha ottenuti?

R.
Oggi esistono le cooperative soprattutto agrarie e in cui gli
handicappati realizzano le loro capacità operative, e la legislazione
non ha esteso loro le norme di contratti collettivi di lavoro – come
invece in un primo tempo pensava-, previsti per il mondo dei lavoratori e
che è assurdo ritenerlo estensibile all’handicappato; si è realizzato
così uno stop a quanto veniva prospettato in antecedenza alle mie
proiezioni, dibattiti e raccolta di firme, per cui anch’io vi ho
contribuito.

Inoltre, per quanto riguarda la Nostra Università,
questa oggi in Friuli esiste per merito delle grandi battaglie di
sensibilizzazione e di scontro politico col potere costituito – che era
in prevalenza decisamente contrario – concretizzate da azioni di leader –
uno di questi il meritevole e tenace prof. Tarcisio Petracco, a cui è
giustamente intitolata oggi la strada che costeggia la facciata e
l’ingresso principale dell’Università (sede Centrale): – a tutto ciò
anch’io ho dato un mio apporto di sensibilizzazione con le numerosissime
proiezioni, seguite da mie precisazioni con dibattiti, in merito al
diritto dei friulani ad una loro Università.

Tanto più che questa
esisteva già nel 1200 a Cividale del Friuli.
Posso aggiungere, come
mio ulteriore apporto specifico, di aver contribuito alla instaurazione
della Facoltà di Medicina. Infatti era già stato stabilito un accordo,
alquanto segreto, che intendeva lasciare alla sola Trieste la Facoltà di
Medicina.
Ciò fu impedito con la Tavola rotonda di cui facevamo parte,
io come regista friulanista, la prof. Laura Zuccolo quale rappresentante
del Centro Ricerche e Studi di Udine (di cui io fui nel 1964, il
promotore e poi il presidente dagli anni ’70), il dott. Casatta, in
quanto conoscitore del problema delle minoranze poiché trentino, e lo
studioso e critico Roberto Iacovissi introduttore e moderatore.

Fu determinata in conseguenza una levata di scudi da parte del corpo medico friulano che fu salvifica.
Il
dott. Casatta venne a far parte del dibattito con una gamba interamente
ingessata, e l’ingessatura aveva avuto termine poco prima dell’inizio
della tavola rotonda; questo a dimostrazione della serietà di una
volontà protesa a farsi servizio sociale (191).

2. Le difficoltà incontrate

D.
Molti dei suoi film sono stati realizzati su commissione di enti
finanziatori ed in essi si constata una realizzazione dei contenuti
della sua poetica: che rapporto intercorse tra la volontà finanziatrice,
che in quanto tale mirava ai suoi scopi precisi, “non poetici”, e la
sua “volontà creativa d’autore”?


R. Occorreva operare con una certa
abilità e saper presentare, prima oralmente, e poi per iscritto, le
caratteristiche del film da loro richiesto.
Nel momento della
presentazione orale della tematica, già introducevo quegli elementi
della mia poetica, facendoli apparire ai loro occhi come funzionali e
valorizzatori della meta che l’ente finanziatore voleva raggiungere, il
che era anche vero.

Quindi
presentavo l’idea per iscritto, contenente quanto già detto ed
accettato, e in una stesura che ne costituiva lo sviluppo, assieme a
quanto richiesto dall’ente finanziatore.

D. Pertanto ha raggiunto il suo scopo in base a un modo di procedere scaltro; e ciò con una fondamentale facilità?

R.
No. Il mio approccio era facilitato dalla stima che ponevano nella mia
persona, informati com’erano delle mie esperienze cinematografiche
formative “romane” e di quanto avevo già realizzato in Friuli con
positività di esiti, ma poi si erigevano i paletti, gli ostacoli, perché
gli enti avevano comitati in genere politici i cui rappresentanti
cercavano sempre una coerenza tra quanto io proponevo e la politica che i
loro partiti di appartenenza richiedevano.

Ed io dovevo saper
aggirare l’ostacolo e affermare, o meglio continuare ad affermare, il
mio punto di vista discendente solo dalla mia poetica, pur nell’ambito
delle loro esigenze.
Alcuni esempi: Quando mi fu commissionato dalla
Banca del Friuli il mio film-saggio che io chiamai Da un pugno d’erba io
avevo introdotto in fase di lavorazione situazioni relative al
Sindacato della Banca non previste dal soggetto da me presentato ed
accettato.

Subito si inalberarono perché sequenze sul Sindacato della
Banca non dovevano trovarsi nel film. Mi recai, allora, di persona dal
Presidente della Banca del Friuli, il commendator Spezzotti, gli spiegai
la situazione che, gli dissi, “avevo scoperto personalmente in Banca, e
di cui ignoravo precedentemente l’esistenza e che per questo non
l’avevo evidenziato nel soggetto presentato”.

Mi sforzai di fargli
comprendere il valore di “avanguardia” che avrebbe avuto la Banca del
Friuli sia in Italia che all’Estero evidenziando la presenza del
lavoratore come persona tutelata “sindacalmente” nello stesso
Istituto di Credito e riuscii ad ottenere il consenso del mantenimento,
nel film, delle riprese effettuate sul personale sindacale, e la
collaborazione a ciò del Presidente, persona di elevata intelligenza.

Questi, infatti, venne di persona alla riunione, indetta da direttore e
funzionari della banca per ingiungermi il taglio della scena del
Sindacato, e con le sue parole imposte alle persone, che mi avevano
convocato per accettare la loro indiscutibile volontà di taglio, si
concretizzò la conservazione nel film delle effettuate riprese
“incriminate”.

Per Controlettura – parte prima, altro esempio, ho
dovuto lottare per far sì che i protagonisti della Controlettura del
Friuli fossero sempre tre donne e da sole. Non volevano che col film si
contribuisse ad una cultura “pro-donna” – allora il femminismo era
imperante – preoccupati, lo dicevano anche chiaramente, di “non perdere
il potere giustamente esercitato sulla donna”.

Naturalmente io girai il
film come volevo, con tre donne come sole protagoniste della
controlettura della realtà friulana, montai il film nella copia di
lavoro, telefonai da Roma perché visionassero la copia, puntando sul
fatto che molto probabilmente non sarebbero venuti, come di fatto
accadde, passai quindi alla lavorazione finale – la fase di editing,
cioè montaggio definitivo e sonorizzazione per mixage e presentai la
copia ultimata al direttore della Banca, persona intelligente (per
questo l’avevo scelta) che elogiò il film e riconobbe che non avevo
violato il contratto in quanto, prima di effettuare la copia a lui
presentata, avevo chiesto a loro la visione preventiva del film per il
suo ok, e che quindi era la Banca in torto a lamentarsi vedendo tre
donne sempre quali sole protagoniste di un atto di pensiero
critico-costruttivo e con l’assenza “del maschio”.

Quando poi, dopo l’anteprima a Roma del film-saggio al Teatro Sistina il 25 ottobre 1976, h. 21.00, proiezione, ad inaugurazione dell’assegnazione
dei Nastri d’Argento, che conseguì un grande successo di pubblico, il
film doveva venire diffuso, in realtà sparì dalla circolazione: erano
stati dati ordini da partiti di impedirne la proiezione, perché non
ritenuto allineato ai contenuti di un Friuli proprio del mondo politico
ufficiale, ben lontano allora dai concetti di identità, di autonomia e
di minoranza etnica.

Il film però lo portai in giro io con una mia copia
e constatando il successo che conseguiva – tanto è vero che fu scritto
un articolo sul film dal seguente titolo: “È un anno che si parla di
Controlettura” (192)- il mondo politico cambiò idea e ne promosse a sua
volta le proiezioni e la stampa allora scriveva – con una rotatoria
camaleontesca di 180° – che De Stefano aveva interpretato molto bene il
pensiero della Banca.
Per capire quanto fu dura la battaglia voglio
ricordare queste date: 25 ottobre ’76 (Anteprima a Roma), 29 gennaio ’77
(presentazione per la prima al Palamostre di Udine): tutte proiezioni
con pieno successo.

A proposito della prima, però il Gazzettino, –
quanto alla sua cronaca – scrive un articolo di 6 colonne di forte
valorizzazione del film ma lo fa uscire il 13 aprile ’77, ben due mesi e
mezzo dopo, e la spiegazione è nelle ultime righe (193).

Infatti, come
si constatava da esse, volevano contrapporsi ai contenuti del film di un
Friuli “autonomo” proprio di una cultura friulanista, in cui io
militavo (e in cui oggi in Friuli però militano … tutti o quasi), con
l’annuncio di un libro importante ma di tesi contraria a quanto da me
affermato col film, precisando che la sua presentazione sarebbe venuta a
giorni.
Potrei ripetere per tanti altri film situazioni analoghe di
voluto ostacolo, sia alla loro realizzazione che a realizzazione
effettuata.

Aggiungo
solo che per Incontro con un’infanzia rifiutata sono addirittura venuti
alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia con l’intento di
bloccarne la proiezione – ultimo atto di altri precedenti sempre di
voluta ostatività -, ma la loro pretesa non fu accolta.
La proiezione
invece fu fatta, e a seguito di questa prima proiezione nel Palazzo del
Cinema ha avuto luogo l’inizio della raccolta delle firme che poi
continuò nel resto d’Italia.

3. Alcune precisazioni su “Par condicio – un spetacul furlan di ué -Controlettura anni Novanta” – (1996)

D.
Per il rigore contenutistico e linguistico dei suoi film-saggio Mario
Quargnolo in un suo articolo l’ha definita “il Robert Bresson del cinema
friulano”.
Questa definizione di Quargnolo la ritiene estensibile
anche in merito al suo ultimo film edito Par condicio – Un spetacul
furlan di ué – Controlettura anni Novanta?

R. Par Condicio è sempre nella linea espressiva di fondo degli altri miei film precedenti.
Dato
appunto che io ho conseguito un modo espressivo che è linguaggio, come
evidenziato dalla critica, questo ha determinato anche il pratico
strutturarsi del film-saggio, per cui il film si è calato nello
spettacolo sempre con il senso ben chiaro della misura, del castigato,
del fondamentalmente piccolo – che per me è sempre stato un valore
tipicamente espressivo di un sentire “friulano” – e quindi ho continuato
un discorso di contributo alla auto-coscientizzazione della “gens
friulana”, e pertanto sono sempre rimasto in linea con lo stesso
intendimento che ha presieduto la realizzazione delle mie opere
precedenti.

D. Quindi è un film che continua sulla falsariga
contenutistica e formale degli altri, nonostante la parola introduttiva
«spetacul»?

R. C’è senz’altro una continuità, nel senso ben precisato nella domanda, ma vi è un elemento di novità in più.
I
film precedenti nascevano per sottolineare, di volta in volta, gli
elementi etnici, antropologici, economici, ideologici, ecc…, che
disegnavano l’humus profondo della friulanità, che veniva invitata a
prenderne coscientemente atto ai fini del rinvenimento di una propria
identità di gens.

In Par condicio invece abbiamo l’opera che dà la stura
all’esplosione di una pazienza a lungo esercitata, come friulano, dato
il lungo tira e molla da parte dello Stato Italiano a fronte di quel
diritto della gente friulana ad un riconoscimento ufficiale della sua
condizione di minoranza linguistica, altalenante in un gioco di
promesse, fin da questo immediato dopoguerra, mirate, le promesse, al
riconoscimento ufficiale del contenuto dell’articolo 6 della
Costituzione che recita: «La Repubblica tutela con apposite norme le
minoranze linguistiche»: promesse, ripeto, mai di fatto mantenute.

È
interessante notare che proprio allo scoppio del limite della mia
sopportazione friulana, aveva luogo finalmente un primo passo dello
Stato Italiano favorevole concretamente al fino ad allora disatteso
costituzionale contenuto di legge.

D. Ma il titolo esatto del film è
Par condicio – Un spetacul furlan di ué – Controlettura anni Novanta,
quindi un titolo che allude a un racconto complesso, a un saggismo cinematografico che dovrebbe implicare parecchie valenze significative.

R.
Premetto: quando si può immettere in un racconto-show un elemento tra i
tanti? E in questo caso l’elemento Friuli come scontato, perché
trattato alla pari di altri elementi già noti? Quando il detto elemento è
già noto al fruitore di una sua presentazione, e il genere show
comunica per mezzo di significati e contenuti ben noti.
Per tanto ideare
un film-saggio show è implicitamente un fare polemico, è come dire «Io
sono già la mia realtà e mi considero tale indipendentemente da quanto
ne pensi un altro». È forma al contenuto di una … “stuferia”.

Ma,
delineato questo elemento polemico di base, il film procede con
contenuti posti in contestazione, la quale vuol farsi contributo
critico-costruttivo, con il macro che in genere è asse portante della
cultura maggioritaria.
Un esempio per ciò: tutto lo «spetacul furlan di
ué» -recitazione poetica, brani teatrali, balletto, citazioni
cinematografiche (Fellini, Totò, Visconti), citazioni d’arte figurativa
(Renato Guttuso), stralci, in recitazione, della storia delle
letteratura friulana – tutto ciò ha luogo all’interno di un Caffè (Caffè
Contarena in Udine) e in uno spazio piccolissimo, che ben concretizza
la critica a una forma mentis protesa al «megagalattico», discendente
dal primato «mal-educatore» della cultura maggioritaria che riempie così
con la visibilità dello sfarzo, del grandioso e nel coinvolgimento di
una velocità alienante antipensiero, il vuoto che è un fondo sostitutivo
a una mancanza di valori.

D. Questo per spiegare la dicitura «Un
spetacul furlan di ué» e «Controlettura anni Novanta»; ma che
significato ha «Par condicio», perchè?

R. Come io ho più volte
già detto in dibattiti e altrove non basta che la minoranza esca dalla
sua condizione di sottosviluppo. Deve fare ciò, ma nel contempo non
perdere quei valori che proprio perché non toccati dalla dinamica del
primato economico della cultura maggioritaria, le minoranze ancora
fondamentalmente conservano.

Quindi nel film si estende il messaggio –
che ha come propulsione la minoranza friulana, lo sbandieramento
polemico della lingua friulana – all’espressione del dialetto, dei
dialetti che veicolano lungo il territorio italiano, sempre con lo
stesso intendimento «metaforico» di resistenza al dato alienante
purtroppo tipico di tanto spazio della cultura maggioritaria. «Par
condicio»: lingue minoritarie e dialetti, nel palpito di sentimenti che
ne sono il sottofondo, in contrapposizione alle lingue maggioritarie che
invece scorrono per una comunicazione che è specchio della realtà
istituzionalizzata e, stando alla storia contemporanea, della perdita
della primaria sensibilità, donde un uomo subordinato purtroppo al
primato dell’economia.

Tanto è vero che oggi, a proposito della
globalizzazione, molta gioventù vi si contrappone in nome di una, per
loro, necessaria disobbedienza – i disubbidienti – e la stessa Chiesa
invita a distinguere tra buona e cattiva globalizzazione.

D. Quindi questo giustifica l’espressione «Par condicio»?

R. Sì, ma la par condicio non si esaurisce nell’ambito di quanto già precisato.
Come
ha scritto giustamente la critica la «par condicio» sintetizza le due
componenti che perfezionano il passo ultimo della sua dinamica:
l’estensione di essa alla donna e alle razze. Vi è anche un piano
universalizzante nella mia operatività cinematografica, per cui la
parità si immette nella problematica universale della rivendicazione
della libertà, e quindi di una reale eguaglianza, sia tra le
razze sia per la donna, cioè tra i sessi.

In questo senso sono molto
chiare le parole e le scene finali: «Per chiudere il cerchio la par
condicio deve negare ogni limite e andare oltre ogni oltre, aprirsi;
aprirsi vuol dire non soltanto superare confini regionali e nazionali ma
anche barriere razziali ed etniche come è implicito in quanto ora
leggerà la scrittrice Mah Aissatà Fofana» – la quale, in quanto donna
africana, nella lettura della poesia a favore della donna, da lei
tradotta dalla sua lingua nativa, il bambarà, che è una delle lingue
nazionali del Mali, ben simboleggia la sintesi della «par condicio».

4. Considerazioni sul nuovo film “La pace: variazioni sul tema – reportage dal Friuli -”

D.
A 8 anni di distanza dalla realizzazione della sua ultima pellicola,
lei mi ha scelta per una parte del film che ha iniziato a girare già nel
2001 con riprese relative alle quattro “Via Crucis” che, opere del
pittore operante in Friuli Michele Piva, erano da lui esposte nel
Battistero della Basilica di Aquileia.

R. Questo evento espositivo mi
colpì moltissimo. Ciò perché ho sempre teso a lavorare per favorire una
cultura mirata a contribuire, comunque, all’instaurazione di una
civiltà di amore. Dato che quell’evento, poi, aveva luogo ad Aquileia,
località importantissima nella storia della gente friulana – più volte
Aquileia è stata presente nelle mie opere filmiche -, dentro di me
avvertii una forza irresistibile a fare di esso l’oggetto di mie riprese. Sentivo che era come stesse germinando la possibilità di un mio nuovo film-saggio.

D. Ha ora concepito la struttura portante del film, dato che è nato sulla spinta di un evento quale frammento di un tutto?

R.
Sì. È chiaro che l’esperienza dei miei precedenti film mi ha molto
facilitato in ciò, in quanto ho maturato nel tempo, riflettendoci sopra,
chiari modi di costruire un mio film-saggio nonché precisi stilemi
espressivi.

D. Può quindi suggerirci l’intera concezione strutturale
dell’opera? So che in genere l’autore d’arte cinematografica tende a non
evidenziare, cioè a non divulgare in anticipo i fatti specifici che
costituiscono un film: questo vale anche per lei?

R. Indubbiamente, è il comportamento proprio di chi concepisce e realizza un film, e pertanto anche mio.
Ma
nel mio caso, non avendo uno scopo commerciale legato all’esito
conclusivo della mia opera in fieri ho un maggiore spazio di libertà,
meno fucili puntati per preoccupazioni economiche su di me.
Posso pertanto dire in merito abbastanza.

D. Allora la pregherei di rivelarmelo, nei limiti a lei consentiti.

R.
Anche questo mio film-saggio, come altri precedenti, inizierà con una
specie di introduttivo inventato film-giornale. Sarà un film-giornale,
come se ne vedevano anni fa prima della proiezione di un film, ma, per
un aggiornamento, si “titolerà” Cinetelegiornale, e si concretizzerà quale
servizio al Friuli, inteso questo come «minoranza linguistica
friulana», ed il tutto nella cornice di una tematica quale la pace nel
mondo, e seguirà ad esso un documentario, sempre sulla tematica della
pace, come sempre anni fa si vedevano prima dei film, ed ora scacciati
dal business-pubblicità. Poi vi sarà il film incentrato a sua volta pure
sulla tematica della pace.

D. Un’introduzione quindi protesa a sottolineare l’importanza ineludibile della pace?

R.
Certo. E pace resa innanzitutto come stimolazione del pensiero, quindi
non come fatto emotivo contingente, senz’altro apprezzabile ma
circoscritto al solo momento della fruizione dell’evento narrato.
Pensiero che, pertanto, si fa pungolo per una sua permanenza in ricordo e
concretizzato sia nella cifra dell’individuale, e quindi quale
autocoscienza critica, in base alla psicologia come mezzo per
considerare/narrare il divenire della persona umana, intesa come realtà
piena di senso e quindi in contrapposizione alla «cultura del nulla»
oggi tanto imperante, sia quale pensiero universale, cioè come coscienza
totalizzante, sempre concludendo con la negazione di una visione
nichilista della vita e dell’uomo in base al punto di vista scientifico
ultimo della persona quale «forza».

Una lettura dell’uomo che è data e
si risolve in un immanentismo positivo, proteso pertanto ad un
solidarismo che è fratellanza, e, di conseguenza. possibilità di una
vita di pace.
Il che, poi, si rafforza ulteriormente se l’uomo-forza
si apre al trascendente, ad una cifra ulteriore, in vista di una forza
di altra natura, metafisica, ad una fede in un ultraumano significativo:
nel sud dell’India, a Vailankanni, lo tsunami del 26 dicembre 2004 ha
portato ovunque devastazione e morte, ma non una goccia
d’acqua, nella forza delle sue onde di mare alte fino a 12 metri, è
entrata nella Lourdes d’oriente, la chiesa della Madonna della Salute
ove da secoli vanno a pregare – si noti – oltre ai cattolici, anche i
credenti di altre religioni, come se un’altra forza, benefica, si fosse
ivi manifestata a sostegno della vita, facendosi allusione al fatto che
solo una concezione pluralistica, ecumenica, della religione è – per un
credente – gradita e predicata dalla divinità. Negazione quindi di ogni
integralismo, fondamentalismo.

D. E come si concretizza tutto ciò nell’espressione visiva?

R.
Qui mi avvalgo del lecito silenzio che è proprio di chi realizza un
film; ciò lo si conoscerà quando, ultimato, lo si vedrà in proiezione.
Ora posso solo dire che nel film-saggio si evidenzierà che la materia /
energia aggregandosi ad altra energia determina la presenza di
microrganismi e di animali via via più sviluppati con più piena presenza
biologica, e che a loro volta procedono per aggregazione ossia per
assalto sul più debole da parte del più forte, in una tragica visione di
sicura morte di tanto mondo vivente, colpevole (!) solo di essere meno
forte del suo aggressore. Legge di sopruso che continua anche nel mondo
organizzato dell’uomo.

Ma ad esso, al mondo dell’assassinio, del sangue
versato per odio, si contrappone “il sangue versato per amore” – il
Cristo -“ per fare diga che blocca il traboccare di sangue, indicando un
mondo altro da costruire, degno dell’uomo”. Sottolineatura
dell’esistenza di un’energia positiva in contrapposizione a quella
negativa dell’odio, un’energia positiva data, nel suo più alto livello,
dall’insegnamento dei grandi spiriti religiosi della storia.

Essi con
l’energia come Amore si pongono in contrasto all’energia del Male e
l’evento d’amore, specificatamente vissuto dal Cristo, giunto
fino alla Croce, turbando le coscienze per la forza del cruento dolore
da lui volutamente subito per noi, ci coinvolge in un atteggiamento che a
nostra volta ci induce a rompere con il flusso dell’energia del
delitto, del male, e quindi con la credenza di essere il male quale
unica e irreversibile legge della vita. Si interrompe così un divenire
come immanente dramma di morte, aprendoci ad una luminosa umana certezza
di una possibile vita di Pace.

D. La critica ha evidenziato che nei
suoi film-saggio vi è, oltre al piano narrativo della tematica anche
quello propositivo, cioè l’indicazione di una via, di un fare per poter
realizzare il contenuto della tematica trattata: è presente anche in
questo film-saggio?

R. Esso è dato chiaramente poi, in modo
esplicito, nel finale, dalla recitazione della mia composizione poetica
n° 34 della raccolta -sempre rimasta volutamente inedita – “Marx una
rabbia il Cristo – contributo per uno sperimentalismo poetico saggistico
– ”.

Il testo recita così:

“Il cielo è stato costretto a cedere / Ai
rami / E i rami testardi di spazio vitale / Fanno pressione sul tronco /
In sviluppo gagliardo / Dal seme: Unità / Di questa potenza / Al
quadrato. Sviluppo / Di una stessa sostanza in / Apparente contrasto,
Potenziamento in realtà …. / È pressione / Di possibile vita / In
convergenza, Cessata la fase / Espansionistica / Il continuo sessuale,
sociale / Decadentistico caos / Non coacervo / Di ludibrio in essenza
perché accanto al lavoro / Operativo, di produzione filmistica,
Editoriale, Calcolato / Soltanto per realizzare idolatricamente / Il
guadagno (E quindi una pseudo-rivoluzione) /, Vi è il rovescio inatteso /
Poiché il male ha una fine / Che è all’inizio del bene / E perciò /
Allorché il suo ultimo tratto / Si fa esausto come il sole /
alla sera / A tirare nelle mani ritrovi suo malgrado / il suo possibile
opposto, L’Eventuale rinnovo / Ipotetico, Ovvero / Probabile / In quanto
/ Il libero arbitrio / È tragicamente coltello a due tagli / E / La
cesura con la soprannatura operata dal biblico Adamo / Ci fa
suscettibili molto / Agli errori, ma / Pure è vero / Che non ci rende
fatale lo sbaglio / E / Che le impronte lasciate / Tra i sassi / Dagli
uomini che tanto hanno amato / Le genti dei poveri / Sono / Guida sicura
/ Al di sopra al di là / Delle ideologie ancorché preconcette, Bandiera
/ “In omega, U = / Niversale pur / Ché sia vera / La volontà / E / Ci
si spinga / Ad essere critici / Tutti di tutto / Il non funzionato”.

Preciso
che questa composizione è stata stesa da me nel luglio del 1965. Erano
gli anni che precedevano la contestazione del ’68, anni ricchi di
fermenti ed anche di speranze.

D. Queste sue parole vogliono indicare una diminuzione di speranza rispetto a quelle di allora?

R.
No; ricordano l’entusiasmo che attorniava questa speranza e, nel film,
quest’ultima è riconfermata e supportata anche da estrinsecazioni
visibili e di parola, per cui all’entusiasmo di allora come
atteggiamento generale del mondo dei giovani si è sostituita una specie
di scientificità che valorizza ancor di più la possibilità del credere.

D.
Nel suo cinema in genere, è stato puntualizzato dalla critica, il
paesaggio collabora al clima delle parole – col tempo storico, col modo
di essere di una cultura o spiritualità, con la maniera di sentire -:
una scenografia quindi in funzione della situazione narrata. Cosa mi può
evidenziare ulteriormente in merito a ciò rapportandosi al film-saggio
in questione?

R. Anche per le riprese di questo film è stato
usato il paesaggio nella medesima cifra espressiva, per cui l’attrice
pronuncia i versi della composizione su ricordata camminando tra
installazioni tipiche della land-art, costruite come richiamo altamente
ecologico da artisti del Friuli – Le donne del bosco (194) – in zona delle
Valli del Natisone, a Mezzana. Le installazioni convergono con le parole
recitate, e queste lo sono in un equilibrio espressivo tra
partecipazione sentita e distacco intellettuale, come l’opera filmica
richiede.

D. La critica parla sempre, per i suoi film, di un piano
universalizzante del racconto, che si concretizza con un leitmotiv il
quale interviene come ad anticipare e suggellare in un’estensione di
validità, la discorsività di base del racconto, e che in genere ha una
presenza visiva-auditiva minima di tre volte.
In che modo lo ha qui realizzato?

R.
Cercando di suggerire la tematica della Pace in quanto tale, con
riprese concernenti opere di arte figurativa contenenti richiami ad
essa, e disponendole in un ordine cronologico decrescente, numericamente
ben evidenziato nel tematico ritorno ripetitivo, a iniziare dalla data
più vicina a noi per inoltrarci in quelle più lontane; donde, le
attuali, del ‘900, strutture plastiche di Sergio Pacori, “La Pace” di
Canova eseguita nel 1815 e “I Tre filosofi” del Giorgione del 1505
circa.

Riguardo a Sergio Pacori è interessante ricordare che le sue
sculture sono strutture figurative di esseri viventi costruite con
residui bellici della prima guerra mondiale (schegge di
bombe, proiettili, pezzi di filo spinato, ecc. …) e che in tal modo
l’artista concretamente trasforma gli strumenti già di morte in simboli,
da contemplare e su cui pensare, di pace.

D. Ho saputo che lei è in rapporti con un agente cinematografico americano per un suo progetto: televisivo o cinematografico?

R. È un progetto riguardante quello che prediligo come mezzo espressivo, cioè il cinema, mia prima e grande passione.

D. E cosa concerne?

R. Riguarda il fatto della Sindone di Torino, che per me è autentica.

D. Il tema è un suo progetto desiderato da tempo – so che lei è molto credente – oppure è nato recentemente?

R.
Ho sempre desiderato di poter parlare cinematograficamente della
Sindone, poi, agli inizi degli anni Novanta, per un insieme di
situazioni che mi sono trovato a vivere, con la conoscenza anche di
sindonologi di primo piano, mi sono sentito spinto a dover tentare la
realizzazione di un film incentrato sul lenzuolo di Torino, alias la
Sindone.

D. È ancora in fase di progetto o di potenzialità di realizzazione?

R.
Il copione è già steso, oltre che in lingua italiana, anche in
americano, ed è in mano, come ha detto lei giustamente, ad un agente
cinematografico statunitense a cui è molto piaciuto, e che si sta dando
da fare per favorirne la realizzazione. Più di questo non posso dire

D. Ha un rapporto con il Friuli, dato il suo cinema che ha inteso porsi come cinema in cifra friulana?

R.
Il rapporto non poteva mancare, e di scena, con il dovuto spessore, è
lo stesso capoluogo del Friuli: Udine. Quanto poi al mio cinema
totalmente friulano sto lavorando a dei soggetti, e intendo tradurli in
miei prossimi film (195).

NOTE

189 Mario Quargnolo, “Il cinema friulano di Marcello De Stefano”, A. S. Macor Editori, 1993, pag. VII

190 Si tratta di Incontro con un’infanzia rifiutata (1972).

191 Il 9 gennaio 1966 viene fondato il Movimento
Friuli, il cui slogan era “Il Risorgimento friulano è iniziato e
l’Università è la sua bandiera”.
Nel 1965 erano usciti due saggi sul
Bollettino della Camera di Commercio di Udine, a firma del prof.
Giuseppe Santilli, nato a San Daniele del Friuli, docente di geografia
all’Università della West Australia, il quale profetizzava l’avvento
della Università Friulana, ciò che poi è avvenuto – questo anche col
contributo di raccolta di firme, dell’appoggio del clero locale e di
manifestazioni studentesche pro università -.
Nel 1967, con stampa
delle Grafiche Fulvio, usciva un pamphlet sul tema – in esso vi era
anche quanto precedentemente scritto, ed edito, dal prof. Gentilli – a
cura di Gianfranco Ellero e Raffaele Carrozzo, pubblicazione che
Marcello De Stefano, d’accordo con i due autori, diffondeva con tenacia
irremovibile nonostante le intimazioni a smetterne la diffusione da
parte di politici friulani allora ostili alla instaurazione
dell’Università in Friuli e che ironizzavano in merito al Movimento
Friuli chiamandolo, con una risatina «Il Mof».

192 Marco Soranzo, È un anno che si parla di Controlettura su «Il Punto», 15 dicembre 1977.

193 Pietro Angelillo, La riscoperta dell’identità di un popolo su «Il Gazzettino», 13 aprile 1977.

194 Gruppo artistico friulano che
concretizza operati di arte figurativa nella natura della terra
friulana, che è così il contenitore di un’arte che si rifà alla Land
Art, nella cifra di un sentire che è omaggio alla natura e al suo
rispetto, per cui si esprime in una dimensione ecologica, tanto
disattesa dall’evoluzione mal capita.

195 Data la pubblicazione della tesi (Anno
accademico 2003-2004) in italiano e in friulano attualmente, 2007, ora
risulta realizzato anche un altro film-saggio, che completa il discorso
di “Grafiz ’tun orizont” (1994), e il cui titolo è: “…e il miracolo si
è ripetuto – Graffiti in un orizzonte “2”-”e di esso, per completezza
di discorso, diamo notizia in questa nota.

LARA MEROI

 

Lara Meroi è nata a Trieste nel 1979 da genitori friulani. E’ sempre vissuta a Udine e si è laureata in Lettere moderne  con indirizzo in disciplina dello spettacolo.
Ha fatto esperienze nelle settore del volontariato con disabili di ogni età e nello spettacolo teatrale e cinematografico sia come attrice, autrice di sceneggiature e collaborazione alla regia.
Quest’opera, nata come tesi di laurea – col massimo dei voti – è il risultato di una forbita ed approfondita ricerca in base alle sue convinzioni di natura critica ed estetica per quanto riguarda i films saggio del cinema friulano di Marcello De Stefano.