Fin dal basso Medioevo vi sono tracce di piccole comunità ebraiche sparse in Friuli, in particolare nei centri commerciali più importanti. Allora S. Daniele, che era il terzo mercato per importanza dopo Aquileia e Cividale, ebbe un nucleo ebraico che prosperò con alterne vicende fino alla guerra del 1915/18 e che conferma l’aspetto cosmopolita della cittadina. Tracce certe della loro presenza, prima di Cristo, si trovano in Aquileia, mentre a Cividale esse risalgono al 1200.
Il primo insediamento ebraico, stabile a S. Daniele, è del 1548, anno in cui fu concessa a Simone ebreo la possibilità di aprire un banco di prestiti nella città. In seguito altre famiglie si unirono a quella di Simone, cominciando a formare il primo nucleo della Comunità. In questo particolare momento di crisi economica che pervade il Friuli, la necessità di prestiti in denaro diviene esigenza di tutte le classi sociali. Nella cittadina collinare gli ebrei non vivevano in un vero e proprio ghetto, abitavano al centro nei borghi di Castello, Porta Gemona (via Mazzini) e della Fratta.
Un’ordinanza patriarcale del 31 ottobre 1722 vieta agli ebrei di San Daniele di trasferirsi altrove senza una previa autorizzazione scritta: in realtà gli strappi alla regola erano quasi la norma.
Il Consiglio Laterano (1174), che aveva portato gli ebrei ad occuparsi del prestito di denaro ad interesse, aveva loro precluso il lavoro agricolo (non potevano possedere terreni), limitando le possibilità di sostentamento ai proventi di attività commerciali ed artigianali. Tuttavia alcune professionalità e competenze ebree erano molto apprezzate dai cristiani, come ad esempio la professione del medico.
Agli inizi del 1700 la Comunità sandanielese si trovò a vivere i momenti di maggiore fortuna: nel 1714 fu eretto il Monte di Pietà e fu interdetto il banco dei prestiti su pegno agli ebrei. Pertanto l’operosità si riversò in nuovi settori quali l’oreficeria e la produzione della seta, tanto da raggiungere un livello di ricchezza tale da consentire loro di avere una voce nella politica della città.
L’organizzazione della comunità
Nell’immigrazione l’ebreo conduceva con sé familiari, dipendenti ed un socio, seguito a sua volta dalla propria famiglia.
Un rabbino curava l’istruzione e l’avviamento alle pratiche religiose.
L’autorità suprema della comunità era rappresentata da un’assemblea generale (Kahal godol), composta dai capi famiglia del gruppo. Rabbini e studiosi godevano di grande stima. Le assemblee erano presiedute dai capi (Parnasim), che formavano iVaad Katon o Consiglio deliberativo, eletti ogni due anni con la funzione di svolgere i rapporti della comunità con l’esterno.
I banchi di pegno e le altre attività
Antico Monte dei Pegni – casa del ‘300
Necessità di carattere commerciale richiedevano la concessione di prestiti su pegno, cui gli ebrei dovettero dedicarsi, dato che era loro impedito l’accesso all’artigianato con l’iscrizione nelle confraternite di mestiere e le corporazioni di mercanti li escludevano dal grande commercio. Inoltre i primi ebrei giunti a S. Daniele erano colpiti da tasse di ogni genere, quali quelle di viaggio, di commercio, di matrimonio, nascita e morte.
I prestiti su pegno talora comportavano tassi enormi che potevano compromettere il frutto del denaro prestato oltre al denaro stesso: questo genere di usurai si chiamava feneratore. I Sandanielesi, a seduta di consiglio d’Arrengo, il 6 maggio 1492, avevano condannato l’attività clandestina e sfruttatrice dei fenaratori dichiarando “illeciti i contratti dei feneratori, succhianti il sudore e il sangue dei poveri, e in tal modo anche cadendo nel disonore e nell’ignominia di tutto il popolo e dell’intera Terra”.
E’ risaputo con certezza che nel 1548 a Simone ebreo del fu Benedetto si concedeva facoltà di aprire a S. Daniele un banco di prestiti nella speranza che costituisse un incentivo di vita economica.
Furono compilate le Costituzioni che regolavano i prestiti fin dal 1547, allora comprendevano diciotto articoli che nel 1712 salirono a ventitré. La gestione dei banchi di pegno durava cinque anni e poteva essere riconfermata dal Patriarca, il quale poteva licenziare l’ebreo conduttore e la sua famiglia nel caso in cui venisse meno ai suoi doveri.
Come si deduce da suppliche inviate alla Comunità, gli ebrei potevano inoltre commerciare cavalli, bovini ed altri specie di animali sia nelle proprie case che in appositi locali, ad esse esterne. Nelle loro botteghe vendevano qualsiasi tipo di merci, i cui prezzi erano controllati rigidamente dalle autorità. In caso di scorrettezza, il venditore veniva punito con una multa, la confisca dei prodotti e l’allontanamento dall’attività per almeno tre anni.
Esercizio e luoghi delle pratiche religiose
Nelle loro funzioni religiose la comunità sandanielese seguiva il rito ashkenazita. Il termine ashkenaz nel Medioevo indicava l’Europa centrale, in particolare la Germania. Quindi ashkenaz erano gli ebrei originari di quella nazione, diffusisi in seguito nell’Europa orientale, in Russia e poi in Francia, Italia, America ed Israele. Il rituale seguito dagli ebrei di San Daniele era quindi legato ad una cultura ebraica “mitteleuropea” con specifici canoni che si riflettevano anche in tutto l’apparato cerimoniale.
La sinagoga, dove era custodita la scrittura e si svolgeva lo studio della Toràh, aveva un’architettura modesta, all’interno di una struttura a corte, prospiciente l’attuale piazza Cattaneo, per cui l’accesso dalla strada era quasi anonimo ed immetteva in un corridoio che portava al cortile nel quale era l’ingresso principale, un portale sottolineato da una decorazione scultorea, a motivi vegetali sugli stipiti. Gli ebrei vi entravano tre volte al giorno per pregare.
Nel corso del ‘900 mano a mano la Comunità ebraica si smembra e si disperde e dopo la fondazione dello Stato di Israele, nel 1948, i beni di maggior pregio custoditi nella sinagoga vengono mandati nella nuova patria. In seguito, negli anni ’60, l’edificio, abbandonato a se stesso, viene demolito per far posto a nuove abitazioni.
Gli ebrei di S. Daniele, come quelli delle altre comunità friulane, seppellirono per lungo tempo i propri morti nel Cimitero di Udine finché, rimasto chiuso nella nuova cinta muraria, non divenne inutilizzabile.
Nel 1733 Joel Luzzato, a nome della comunità, chiese al Consiglio dei Dodici un terreno dove poter seppellire i morti. La domanda fu accolta e il 14 febbraio 1734, venne deliberata la locazione di un luogo solitario, in località Comigne, lungo le sponde del torrente Ripudio. Il contratto di affittanza, oltre a fissare il canone di affitto, impose norme rigide per le sepolture, che riguardavano il rapporto tra cerimoniale ebraico e religione ufficiale, e limitavano l’uso del cimitero ai soli ebrei residenti nel territorio comunale.
La comunità a più riprese tentò di ottenere delle migliorie; le assidue richieste permisero di ottenere nel 1752 l’affrancamento dell’affitto del cimitero ed il seppellimento dei morti indipendentemente dalla loro provenienza.
Il cimitero è attualmente attivo ed è uno dei pochi ancora esistenti nella nostra regione: è composto da 74 stele di pietra, che disposte in file parallele, seguono un ordine cronologico: vi sono alcune forme ripetute quali le Tavole della Legge, l’urna sepolcrale e l’obelisco accompagnati da decorazioni simboliche come la stella e il salice piangente.
Conclusioni
Da questi dati generali si può constatare che gli ebrei di S. Daniele, almeno fino al XVIII secolo, erano pienamente integrati nella vita sociale, economica e politica della cittadina, nonostante l’esistenza di restrizioni che, a quanto pare, regolavano su un piano formale più che sostanziale la vita della comunità, dato che esse venivano, in parte, aggirate con una certa frequenza: una dimostrazione di ciò è costituita dalle numerose ordinanze patriarcali e terminazioni del consiglio dei XII che, nel corso del ‘700, consentono agli ebrei di prendere in affitto nuove case e botteghe.
Essi, inoltre, avevano l’obbligo di portare sull’abito un segno ovale di tela gialla e di indossare un cappello nero contornato da una cordicella gialla: naturalmente alcune persone di spicco della comunità erano esentate da tale obbligo.
A S. Daniele la condizione degli ebrei era, comunque, migliore rispetto a quella di comunità presenti in altre città, come ad esempio Venezia
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Barbara Pierotti