6 Marzo 2012

ANDREA PANONT : LA NOTTE ACCENDE LE STELLE






La notte accende le stelle

Presentazione

Imbattersi anche in uno solo dei molti
scritti di Andrea Panont è un’esperienza così speciale che, a un certo punto
della lettura di queste limpide storie di vita, non puoi più staccartene. E non
solo per lo stile sobrio e incisivo, ma soprattutto perché ti senti scavare
dentro.

Di questo dobbiamo esser grati all’Autore,
che in tutti i modi, frugando tra i mille rivoli dell’animo umano, ci
ricorda  -richiamando innanzitutto
se stesso- che la vita ha senso se vissuta “per amore”. Fuori da questo
orizzonte c’è tanta sofferenza, quell’ inquietante solitudine di chi non sa
più dove andare, verso quale mèta, con chi, per che cosa.

Uomo globalizzato e sempre più solo, perché
rinchiuso su se stesso. Un uomo post-moderno, fiero della sua scienza e del suo
progresso, ma che, paradossalmente, ha paura dell’amore. Non a caso la
solitudine è uno dei temi trasversali di molta letteratura contemporanea, da
Octavio Paz nel suo II labirinto della solitudine, a Garcìa Marquez in Cent’anni di solitudine.

E’ da questa
angolatura,  a mio parere, che si
comprende anche il titolo di questi brani di vita. La notte accende le stelle: invocante appello a uscire da se stessi
per amore di “altro”, di “altro da sé”. Perché, parafrasando una frase di Max Scheler, il “tu” accende l’ ”io”,
l’identità del singolo è sempre preceduta
dall’esserci del “Noi”.“E
sserci” è soprattutto un “essere con”, “in
relazione”, “essere dialogico”, altrimenti l’uomo non sarebbe.

Infatti, fin
dagli albori, la più inquieta e nobilissima domanda che ogni uomo pone
incessantemente al suo simile è sostanzialmente sempre la stessa :“Ma tu, mi ami?” Bisogno profondo, inscritto nel DNA di ogni
uomo e di ogni donna della terra, come afferma Chiara Lubich: di ascolto, di
attenzione, di conferma, di sguardi accoglienti, di perdono. E chiunque sappia
cogliere questo grido d’invocazione viene a trovarsi di fronte all’essenza
stessa dell’uomo e del suo processo di crescita, faccia a faccia con il bisogno
più radicato di ogni uomo: quello di essere amato.


“Qualcuno mi ama?”. Dolce o straziante, supplichevole o
provocatoria la domanda – riconosciamolo- è scomoda per coloro che hanno tutto
investito nel tornaconto personale, nelle logiche di mercato o di potere. Che
cosa capiterà a quell’essere se io non mi prendo cura di lui?” – si chiede Hans
Jonas per cui la domanda “Qualcuno mi ama?”, naturalmente, chiede che qualcuno
vi risponda.


Così, ai nostri
occhi si potrà svelare la parte più nobile e pura di quell’essere, la sua
impronta originaria, intima vocazione al Cielo. E’ uno sguardo che sa penetrare
come sguardo spirituale. Solo a questo livello di relazione-comprensione
proveremo la commozione vera, non quella superficiale, emotivistica e
salottiera martellata dai media, ma profonda e umanissima per la grandezza di
questo essere. Nessun stipendio, nessun avanzamento di grado, nulla può
competere con la felicità spirituale che ci può derivare da questa ineffabile,
continua riscoperta.

 

Su questa scia,
l’acuto spirito di osservazione di Andrea Panont, puntiglioso sguardo,
innamorato dell’essere umano, non dà tregua, incalza e porta il lettore a
continue immersioni ed emersioni, dentro di sè e fuori di sé. Dentro l’umano e
dentro il divino.  Perché, per
comprendersi occorre comprendere, e per volersi bene occorre voler bene. Un
provocante invito (come quello di Immanuel Kant in Critica della ragione pratica)
a “perderci” in questo Cielo stellato, sopra di noi e dentro di noi.


Serve un nuovo
sguardo, uno sguardo innamorato dell’Amore, come il tutto della Vita. E di cui
far tesoro. Bene donato e bene ricevuto. Sicuri di quel centuplo evangelico
che, al di là di ogni aspettativa, ritorna a noi, non tanto in beni materiali
ma in felicità. Da qui la nostra stessa resurrezione, che è ripresa, cammino
insieme ad altri, percorso di comunione, dove la parola, il gesto, lo sguardo
si fondono e si riprendono più in alto, oltre sé, alla ricerca del Vero Altro,
di quell’Amore di chi, avendo amato per Primo, invita tutti ad uscire dalla
nostra latenza e solitudine, e a ricominciare ad amare.

 

 

                         Michele De Beni

                              Pedagogista, psicoterapeuta

       Scuola
Internazionale di Scienze dell’Educazione

(SISF), Mestre-Venezia