Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia.
Non c’era posto per loro nell’albergo. Maria
partorisce in un luogo di fortuna, riservato agli animali, un luogo che aveva cercato di evitare.
Eppure s’intrecciano una nota d’esclusione e una di comunione: un riparo è comunque
assicurato, un sigillo d’alleanza è posto con l’intero cosmo, attraverso le creature non umane,
attraverso quella mangiatoia (in latino praesepium), che la madre nell’emergenza legge come
una culla.
Ecco l’escluso, Colui che in vita non avrà dove posare il capo, povero come le volpi e gli uccelli
che pure hanno tane e nidi (Lc 9,58). Perfino il sepolcro gli sarà dato in prestito (Mt 27,60); è
l’ospite che eternamente sta alla porta e bussa (Ap 3,20) e attende che gli si apra e domanda
anche a noi quel gesto di suprema misericordia che sua madre gli ha concesso: far entrare la
sua vita nella nostra vita.
E qui e ovunque la Vergine torna a partorire ancora il suo Figlio impossibile, ovunque ci siano
semplicemente uomini veri. Ed ogni creatura riprende la sua avventura, quella di diventare vera,
di diventare sillaba di Dio e farsi carne intrisa di cielo.
Nessuno sa più vedere Dio perché nessuno sa chinarsi così profondamente. Questo dicevano i
padri del deserto. Se ti chini su te stesso, sul tuo intimo, su quella parte di te che non riveli a
nessuno, né all’amico, né alla madre, né allo sposo, se ti chini sul tuo segreto più profondo, là
dove nascono i sogni e l’amore, là vedrai emergere un volto che non è il tuo volto ma quello del
Figlio della Bellissima, il volto del Dio amabile, un Bambino che vivrà per il tuo amore.
Nel mio cuore come nel tuo, nella mia gioia e nella mia fatica di vivere, nelle mie come nelle
vostre delusioni, il segno di forza e di futuro viene da Gesù Cristo. È solo lui che dà consistenza
alla vita, che dona eternità a ciò che coltiviamo in cuore.
L’incarnazione di Dio è la certezza che la nostra carne in qualche sua radice è santa, che la nostra cronaca in qualche sua pagina può
essere storia sacra.
P.Ermes Ronchi