IV di Pasqua C Gv 15, 9-17
Il Padre fonte della vita, lo Spirito vera origine
della gioia, Gesù via che conduce alla verità della vita, siano con ciascuno di
voi. Ascolteremo oggi una di quelle pagine in cui pare custodita l’essenza del
cristianesimo: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato. Di fronte a
questo progetto ci sentiamo sempre lontani, sempre fragili. Per questo
chiediamo insieme aiuto e perdono.
Signore
Gesù, vita che non finisce, noi ti
domandiamo aiuto e perdono
Luce
che non tramonta, ti domandiamo aiuto e
perdono
Gioia
che illumina il cuore, ti domandiamo
aiuto e perdono
Come il Padre
ha amato me, io ho amato voi, rimanete in questo amore. C’è un fluire, un fiume
grande d’amore che scorre dal cielo, dal Padre al Figlio, dal Figlio a noi.
Come una cascata, come la linfa nella vite, come il sangue nelle vene.
Il vangelo mi dà una certezza: l’amore non è qualcosa
prodotto da me, è una realtà oggettiva, che non dipende da me. L’amore è. L’amore
c’è. Non è da fare, è un dato di fatto, in cui rimanere.
Rimanete in
questo amore. Non
andatevene, non fuggite via dall’amore. L’amore è reale come un luogo, un
continente, una casa, ci puoi vivere dentro. Ci siamo già dentro, come un bimbo
nel grembo della madre. E non la vede, ma ha mille segni della sua presenza,
che lo nutre, lo scalda, lo culla: “il nostro problema è che siamo immersi in
un oceano d’amore e non ce ne rendiamo conto” (Vannucci).
Se ti chiudi all’amore, in te e attorno a te
qualcosa muore, come accade quando si chiude una vena nel corpo. Ognuno farsi
vena non ostruita, canale non intasato, per far circolare nel corpo del mondo
l’acqua che viene da Dio.
Tutto ha inizio da un fatto: Dio ti ama, di un amore
unilaterale, amore a prescindere da te, amore asimmetrico, senza condizioni.
Che io sia amato dipende da lui, non dipende da me.
Da me dipende se rimanere o no dentro questo fiume.
Ma perché dovrei farlo? La motivazione che Gesù dà è
semplice e bellissima: questo vi dico
perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Il vangelo è da
ascoltare con attenzione: ne va della nostra gioia.
È
bello pensare che la mia gioia, la tua, stanno in cima ai pensieri di Dio.
La
gioia che cos’è? È un sintomo: ti assicura che stai camminando bene, che sei sulla
via giusta, sulla buona strada.
Questo vi
comando: Amatevi! Sì, ma di quale
amore? Parola difficile, abusata, che a pronunciarla male brucia le labbra,
diceva il rabbi Baal-Shem. Noi a volte confondiamo l’amore con un’emozione o
un’elemosina. Cerchiamo di comprenderlo sotto il nome di solidarietà,
condivisione, carità. Parole che si avvicinano al nucleo dell’amore, ma non
sono ancora amore.
Amare sovrasta tutto questo, perché contiene il
brivido emozionante della scoperta dell’altro. Quando l’altro ti appare non
come un oggetto cui fare l’elemosina dell’affetto, ma come colui che ti dà il
gusto del vivere, che spalanca sogni, che ha la forza dolce delle nascite.
Colui che ami ti fa nascere. E nasci con il meglio di te.
Mi posso innamorare quando guardo l’altro con gli
occhi di Dio: allora scopro in lui tutta la bellezza e grandezza e unicità, e
me ne lascio ammaestrare. L’altro diventa il mio maestro, mi fa camminare per
nuovi sentieri. I due sposi devono amarsi così: come due maestri, ciascuno
maestro dell’altro, ciascuno vento nelle vele dell’altro.
Allora le prospettive si rovesciano: l’amore più che
amare è sentirsi amati e lasciarsi amare. Amare riamati. E da questo si
sprigiona fervore, meraviglia, incanto del vivere.
Gesù non dice semplicemente: ‘amate’. Non basta amare, potrebbe essere anche solo un fatto
consolatorio, o un opportunismo, o una forma
di possesso e di potere. Ci sono anche amori solitari e disperati.
Aggiunge una parola: amatevi ‘gli uni gli altri’. Dentro un rapporto di comunione, un faccia a
faccia. Non si ama l’umanità in generale, si ama quest’uomo, questo bambino,
questo straniero. Si amano le persone ad una ad una.
Ma neppure questo basta.
Gesù aggiunge quello che fa la differenza cristiana: amatevi ‘come io vi ho amato’. In quel ‘come’ è la novità. Non quanto vi ho amato, impossibile per noi la sua misura, ma come, con lo stile unico di Gesù, con la
sua eleganza gentile, con i capovolgimenti che ha portato, con la sua libertà e
creatività. Ha fatto cose che nessuno aveva fatto mai: se io vi ho lavato i piedi così fate anche voi, fatelo a partire
dai più stanchi, dai più piccoli.
Gesù amava come un povero che riceve, come un
mendicante d’amore: Pietro lasciati
amare, lascia che ti lavi i piedi. Amare non da ricco, ma come un povero
che viene arricchito dal cuore, dagli occhi, dalla vita dell’altro. Io sono il
povero, che tu fai ricco di te.
Lasciarsi abitare dalle ricchezze dell’altro, e la
vita diventa immensamente più felice e libera.
Lo specifico del cristiano non è amare, lo fanno in
molti, in molti modi, attraverso tutti i tempi. Ma è amare come Cristo, che non solo è amore, è esclusivamente amore.
I cristiani hanno sempre tentato di amare il prossimo
e il mondo: ma come l’hanno amato? Non perché era importante, bello, fonte di
scoperte, di gioia e speranza, ma come un oggetto da plasmare e modificare. È
amore questo? Mazzolari: noi ci
impegniamo non per trasformare il mondo, non per cambiarlo ma per amarlo. Amarlo
da poveri.
Pensiamo all’amore tra sposi o fidanzati: quante volte
si tende a portare nell’altro le proprie convinzioni ed esperienze perché
l’altro le assuma e aderisca a noi. Questo è amore vero? No, è amore
colonizzatore.
Io vado dall’altro perché è una fonte, e mi disseta. La
crisi oggi di tante coppie nasce dalla tendenza ad amare l’altro di un amore
nel quale l’altro deve corrispondere
alle esigenze di me che amo.
Gesù non ha fatto così con Pietro, è andato verso le
sue esigenze, con quelle tre domande sul lago, a scalare, chiedendogli la
sincerità del cuore: Pietro mi vuoi bene?
Un po’ di bene se l’amore è troppo? La profonda qualità dell’amore: tu e le
tue esigenze prima di me.
Infine il tema, nuovo anche questo, dell’amicizia: Voi siete miei amici. Non più servi, vi
chiamo amici. L’amicizia è musica per il cuore dell’uomo. La misura in cui
ci troviamo bene. ‘L’amicizia non si
impone, non si finge, non si mendica’ (don Michele Do).
Gesù, povero di tutto, è stato però ricco di amici,
era un cultore dell’amicizia, ne ha celebrato le intime e gioiose liturgie, e
ci ha regalato un nome nuovo di Dio: Dio amico!
Amicizia porta gioia e uguaglianza. Esiste un metodo
infallibile per capire se di amicizia vera si tratta: se il pensiero di lui o
di lei, l’idea di incontrarlo ti dà gioia. Quando mi dice: ti chiamo amico, tu sei mio amico, Dio confessa, ammette: tu mi dai gioia, metto la mia gioia nelle
tue mani.
Due amici devono essere alla pari, non c’è un
superiore e un inferiore, chi ordina e chi esegue. Gesù incarna un Dio che da
signore e re si fa amico, si mette alla pari dei suoi. Non potevamo domandare
migliore avventura.
Allora quando ordina: Amatevi.
Il suo non suona come un comando, ma come una profezia di gioia. Non un
comandamento, ma il riassunto del destino del mondo e della sorte di ognuno:
abbiamo tutti bisogno di molto amore per vivere bene.