15 Agosto 2003

Ambizione

AMBIZIONE

L’ambizione che coviamo è piuttosto subdola perché ci fa credere di essere qualcosa. Qualcosa o qualcuno speciale o superiore agli altri. Tutto parte da quell’atteggiamento pregiudiziale che è il “confronto”. Crediamo di conoscere gli altri dal loro atteggiamento o da ciò che posseggono.

Ma chi riesce ad immedesimarsi completamente in un altro? Come è possibile avere lo stesso punto di vista? Crediamo anche di conoscerci, e questa è l’illusione più deleteria ed ambiziosa. Pensiamo di avere un’identità ben precisa perché abbiamo immagazzinato nella nostra memoria dei ricordi, coltiviamo delle relazioni sociali o abbiamo certe reazioni di fronte agli eventi.

Ma intuire le nostre reazioni non è ancora “autoconoscenza”. E non è “autoconoscenza” tutte le nozioni e la cultura accumulata nell’arco della propria vita. E’ vero che conoscere altre lingue, usi, tradizioni, culture diverse, offre delle opportunità in più per comunicare, socializzare. Ma se questo non porta ad una più profonda conoscenza di se stessi e del processo della vita, la cultura acquisita è piuttosto un impedimento, perché ci fa credere di sapere qualcosa e quindi di essere qualcuno.

Ma chi?
Noi, piuttosto, tendiamo ad identificarci attraverso confronti, dialoghi, dibattiti ed immaginiamo di essere quello che vorremmo essere o che gli altri ci fanno credere di essere. Nessuno potrà mai dire chi realmente siamo, nemmeno lo psicanalista più esperto e saggio.

Ci affidiamo troppo alle esperienze degli altri e ci identifichiamo molto in quello che facciamo, dimenticando che l’operare deriva dall’essere. Se operiamo senza indagare su chi veramente siamo, abbiamo smesso di pensare, perdendo la nostra vocazione umana. Ogni forma di ambizione, dunque, è uno stato illusorio, perché ci induce a pensare di essere ciò che non conta per il nostro “io”.

Se uno, ad esempio, è un avvocato famoso che conosce le leggi e per questo esercita un certo potere su chi non le conosce, non è ancora niente: la sua vita passa nel frastuono interiore perché non ha reale coscienza del proprio “sé”. Il suo sapere si dilegua con le malattie, la vecchia e la morte. E così per qualsiasi altro ruolo che ci ostiniamo di possedere, senza fermarci a chiedere in che cosa consiste l’essenziale nella nostra vita. Raramente siamo sinceri con noi stessi, perché abbiamo paura di perdere qualcosa della nostra identità o della posizione sociale.

E’ proprio così: abbiamo paura di pensare per scoprire il vuoto che si cela dietro le nostre azioni e nei nostri pensieri. L’orgoglio, quindi, è il frutto di un insieme di maschere che non sappiamo di possedere e che ci tengono lontani dalla nostra vera identità. Beato che le riesce ad individuarle con umiltà!

Pier Angelo Piai