31 Agosto 2013

p.ERMES RONCHI 40° anniversario

Racchiuso 24 agosto 2013

40° anniversario

 

Al
vedervi così numerosi, mi pare di ritornare a 40 anni fa. Era il 2 settembre
1973 quando celebravo con voi in questa nostra chiesa, stracolma, la prima
messa. Vedo volti cari, che conosco da sempre; vedo tanti volti che non
conosco, perché troppo giovani. Ma ci conosciamo tutti nella fede.


La
prima parola che sale alle labbra è: grazie.  Per il passato grazie, per il futuro sì. Sì, Signore, come
tu vorrai.


Oggi,
dopo 40 anni, ho lo stesso entusiasmo di quando ero un giovane, emozionatissimo
prete, e ho tante paure di meno di allora.


Ho
meno paure e un desiderio ancora più forte di evangelizzare, di far conoscere
Gesù Cristo, la sua vita buona, bella e felice, e ripetere: è possibile per
tutti vivere meglio, e Gesù ne possiede la chiave. La porta è stretta, ma si
apre su di una festa.

Mi
piace vivere, la vita è bella.


La mia vita è stata bellissima, un’avventura
piena di orizzonti e di spazi, di esperienze, da quando facevo il bracciante
agricolo nel Monferrato e lo spazzino comunale in Canada, quando ho avuto
l’immensa fortuna di conoscere il mondo, di scrivere tanto, di predicare alla
parrocchia più grande d’Italia, la Televisione. Io mi vantavo di avere due
parrocchie, ma poi ho saputo che don Vittorino ne ha tre di parrocchie, fa più
fatica ed è più bravo.


Ma
è anche una responsabilità grande, il timore di non fare un buon servizio, di
sbagliare a interpretare, di offuscare il vangelo invece di renderlo bello e
comprensibile, di buttargli addosso un velo di parole che lo mortificano. Di
mettermi io in primo piano invece della Parola di Dio.


Dopo
il grazie la seconda parola è perdono: avrei potuto fare meglio e di più. A Dio
e a ciascuno di voi dico: se ti ho deluso, scusami; se non ti ho voluto bene
abbastanza, perdonami, se ho mancato al mio compito, aiutami a ripartire e
perdonami.


In
40 anni ho avuto anche difficoltà, ma il Signore non mi ha dato la soluzione
pronta, mi ha sempre dato tanta luce quanta ne bastava al primo passo, tanta
forza quanta ne serviva alla prima ora della notte.


Come dice il vangelo oggi la porta di
Dio è stretta, ma non per farci fare fatica, non per scoraggiare. Infatti
La sala &egraveegrave; piena, moltissimi passano, tutti possono passare. Il paradiso è pieno non di santi, ma di
peccatori perdonati, di gente come noi. Quella porta significa: lascia giù
vanterie, portafogli gonfi, la cresta alta che ti piace mostrare. Prendi la
mano di Dio come un bambino, aggrappati forte a lui e ti troverai di là.


Oggi io festeggio anche un altro anniversario, quello
del mio battesimo in questa chiesa, 66 anni fa, e poi un terzo : sono entrato
in seminario a 10 anni, salendo sul carretto pieno di legna da ardere che fra
Valentino aveva raccolto nel paese, avevo la testa di un bambino; ma la mia
scelta vera è arrivata dieci anni dopo: avevo finito il liceo classico alle
Grazie, a Udine, avevo 20 anni. Ed ero incerto. Sono tornato a casa, ed è
successo qualcosa: era d’agosto, era la stagione del fieno, quando si falciava
a mano, un pezzo al giorno, sulla collina che chiamiamo dei Roncùs. Stavo
rastrellando il fieno, da solo, erano le tre del pomeriggio, ed ho avuto la
rivelazione, immediata, luminosa, la certezza che la mia vita avrebbe avuto
pienezza, pienezza di significato, di scopo, di fioritura, di frutti solo dedicandomi
a Dio.


Sono
rimasto lì immobile, nel profumo del fieno, attorno saltavano le cavallette, ed
io ho cominciato a sentire che saltava di gioia, danzava dentro di me il mio
futuro con Dio.

E
sono rimasto frate per convinzione che la mia vita sarebbe stata piena solo
così. E ne è valsa la pena. Posso dire in tutta verità che incontrare Gesù
Cristo è stato l’affare migliore della mia vita.


Io
sono prete per pienezza, non per dovere. È un piacere non una fatica.

Non
mi sono fatto mancare delle crisi però, ma vi confesso il mio segreto: io ho
custodito come un tesoro quel momento sulla collina tra il fieno, ce l’ho
intatto nel mio archivio interiore, e quando ho difficoltà torno lì. Riapro
questo scrigno, ne tiro fuori di nuovo la perla di quel pomeriggio d’agosto
alle tre sulla collina dei Roncùs e sento gioia. Che cos’è la gioia è il
sintomo che stai camminando sulla strada giusta.

Un
giorno avevano chiesto al card Martini: come sai fa a mantenere vivi certi
momenti? sentiamo entusiasmo, poi tutto pian piano si spegne e lui rispose: non
sempre si può avere l’accensione del cuore, il cuore acceso, ma sempre si può
avere la memoria di quando il cuore era acceso, il ricordo di quando ci
bruciava.


Conservare
e meditare nel cuore, come faceva santa Maria.

Potrebbe
essere un compito per casa, un esercizio che consiglio a tutti. Tutti abbiamo
infiniti momenti belli vissuti, con la moglie, il marito, i figli, gli amici,
con Dio, ma poi li trascuriamo, vanno nel dimenticatoio.

Invece
sono un tesoro da custodire, un archivio da riaprire nei giorni di crisi,
possiamo ritornare a quei momenti, riviverli e ritrovare una riserva di gioia,
che è il combustibile del nostro motore.


Come
il profeta Isaia che dice: Ricordati dell’amore, non dimenticare l’amore della
tua giovinezza. Ecco non posso dimenticare quello è stato il mio primo
innamoramento, l’amore della mia giovinezza.


Voglio
dire grazie a voi, a tutti quelli che mi hanno aiutato, con l’affetto
familiare, con la preghiera, con la stima, richiamandomi al dovere.

Sapete,
noi siamo in una terra benedetta, un luogo ricco. Questa manciata di case
custodisce tesori: abbiamo la più antica iscrizione in lingua friulana; la più
antica Madonna in legno di tutto il Friuli, ora al museo; alla chiesetta di
Sant’Osvaldo è venuto a dipingere uno dei grandi pittori del suo tempo; appena
sopra questo manto di boschi per tre volte è apparsa la Madonna, come una donna
di casa ha preso in mano un umile strumento di lavoro, a santificare la fatica
nascosta di tutte le case, di tutte le donne, di tutti gli uomini; e poi quanti
volti di persone buone, i santi della porta accanto, i santi di casa nostra,
che ci hanno insegnato il mestiere più importante, il mestiere di uomo o di
donna; abbiamo il monastero delle clarisse più vigoroso di tutta la regione. Un
posto benedetto.

Per questo su tutti i miei libri ho voluto che fosse chiaro
sempre il nome di Racchiuso.


Abbiamo
impiegato molti anni per diventare giovani. Non diventiamo vecchi mai, mai
dentro. Diventate teste grandi, leggendo, ascoltando, riflettendo e diventate
anche cuori grandi. Teste grandi e cuori grandi per vivere bene, da soli, in
casa, nel paese: solo così un altro mondo è possibile.

 

Io
posso solo dire grazie, grazie a questa mia terra, a questa mia gente da cui ho
ricevuto tantissimo.

Al
caldo lume di questo paese anche la mia vita si illumina.

E
per questo, grazie. Di cûr.

Io
posso solo tacere ringraziare e benedire.

E
dire per il passato grazie, per il futuro sì, Signore.

Io
mi fido.