22 Giugno 2015

IL PARADISO È PIENO DI PECCATORI PERDONATI

IV
DOMENICA DOPO PENTECOSTE – Anno B

Gen 18,17-2; 19,1.12-13.15.23-29- 1Cor
6,9-12 – Mt 22, 1-14

 

Come è rivestita la tua vita? Di un abito di bontà e
di luce, oppure di noncuranza, chiusure, spine? Questa la domanda che oggi
rivolge a noi tutti invitati alla festa della vita, il Signore, il Rabbi
esperto in banchetti.

Tutto è pronto, venite alle nozze! Per tutti gli inviti rifiutati, per la noncuranza e
l’indifferenza verso te e il tuo vangelo, Kyrie eleison

Andate lungo le strade, agli incroci… Dovunque io sia arrivato, dovunque mi sia fermato, lui
mi raggiunge; per il cuore distratto, Kyrie eleison

Amico, perché non hai l’abito da festa? Per non aver indossato il vangelo, per non averci
provato con convinzione, Kyrie eleison

 

Omelia

 

Entro in me, e mi domando quali sono le mie
raffigurazioni inconsce di Dio, le rappresentazioni sedimentate che ho del
Signore. Come mai sento più forte in me l’immagine del padrone che dice:
gettatelo fuori! Anziché quella di un Re che prepara per tutti una festa? Perché
questa deformazione, slogatura della parabola?  Mi lascio evangelizzare di nuovo.

C’è, nella città, una grande
festa di nozze: si sposa il figlio del re, l’erede al trono, eppure nessuno
sembra interessato; nessuno almeno delle persone importanti, quelli che
possiedono terreni, buoi e botteghe.

È la fotografia del
fallimento del re. Che però non si arrende al primo rifiuto, e rilancia l’invito.
Come mai di nuovo nessuno risponde e la festa promessa finisce nel sangue e nel
fuoco? È la storia di Gesù, di Israele, di Gerusalemme…

Succede che gli invitati,
persone serie, presi dai loro affari, dalle liturgie laiche e feroci del lavoro
e del guadagno, dalle cose “importanti” da fare, non hanno tempo da perdere per
le cose ‘secondarie’: le persone, gli incontri, la gioia, la festa, gli affetti!

Schiavi dell’idolo del denaro,
dell’interesse, del guadagno, hanno troppo da fare per riuscire anche a vivere bene.
L’idolo della quantità ha chiesto in sacrificio la qualità della vita.

Dice il vangelo: non se ne curarono, la noncuranza, la mancanza
di attenzione, di passione. Non è forse questo il problema dei problemi,
l’indifferenza verso un Dio diventato irrilevante?

Come capire invece se nella
mia vita Dio è importante? Ci aiuta il Piccolo Principe: La rosa è importante se tu le dai tempo. Dare un po’ di tempo a
Dio. E non per un pedaggio imposto, o per dovere. Ma perché è l’affare migliore
che puoi fare, è l’investimento che ti fa guadagnare vita, un capitale di vita.

Ascoltando questa parabola
mi prende una fitta al cuore: sono ancora così pochi i cristiani che sentono
Dio come un vino che dà gioia. Sono così pochi quelli per i quali credere è una festa. Per i quali credere
è acquisire bellezza del vivere, un capitale di forza e di sorrisi.

Allora disse ai suoi servi: andate ai crocicchi delle
strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.

Neanche
Dio può stare solo, per questo non si arrende. Per la terza volta i servi ricevono
il compito di uscire, chiesa in uscita,
a cercare per i crocicchi, dietro le siepi, nelle periferie, uomini e donne di
nessuna importanza, basta che abbiano fame di vita e di festa. Oggi dove manderebbe
i suoi servi? A Ventimiglia, credo, a Ponte san Luigi, alle stazioni ferroviarie
di Milano, Roma, Bolzano, a Lampedusa.

Se i cuori e le case si
chiudono, il Signore, che non è mai a corto di sorprese, apre incontri altrove.

L’ordine
del re è illogico e favoloso: tutti
quelli che troverete chiamateli alle nozze. Tutti, senza badare a meriti,
razza, moralità.
E l’invito potrebbe sembrare
casuale, invece esprime la precisa volontà di raggiungere tutti, che nessuno
sia escluso.

È
bello questo Dio che quando è rifiutato, anziché abbassare le attese, le innalza:
chiamate tutti! Lui apre, allarga,
gioca al rilancio, va più lontano; e dai molti
invitati passa a tutti invitati,
dalle persone importanti passa agli ultimi della fila: fateli entrare tutti,
cattivi e buoni
. Addirittura prima
i cattivi e poi i buoni… Scandalo per il fariseo che è in me.

Un invito alla totalità,
senza mezze misure, senza bilancino, senza quote da distribuire…

Per
noi che misuriamo tutto, e ci arrendiamo alle prime difficoltà: Dio non accetta
che ci arrendiamo, con Dio c’è sempre un ‘dopo’.

Per
noi che distinguiamo e separiamo i poveri: tu sei buono e ti meriti il mio
obolo; tu sei cattivo, a te non do niente. Ma la fame non è buona o cattiva. È
fame e basta. E chi è uomo, e basta, abbeverato alle sorgenti infinite di Dio,
merita sempre, buono o cattivo, di bere anche al mio piccolo ruscello.
Dio non guarda i meriti, ma il bisogno. Meriti non
tutti ne abbiamo, ma bisogno sì, e sofferenze.

E questo non perché essere
buoni o cattivi si equivalga. Guardate questa nostra chiesa: non è piena di santi,
ma di uomini e di donne che dentro di sé sono buoni e cattivi, al tempo stesso;
con slanci talvolta e spesso con durezze di cuore. Ma il vangelo mi ha
insegnato che Lui non ama gli uomini perfetti, non preferisce le creature
immacolate, ma vuole uomini e donne incamminati, magari col fiatone, magari claudicanti,
ma in cammino.

È
così è il paradiso. Pieno di santi? No, pieno di peccatori perdonati, di gente come
noi. Di vite claudicanti.

Il re invita tutti, notiamo,
non perché gli invitati facciano qualcosa per lui, ma perché
gli
lascino fare delle cose per loro, lo lascino essere Dio
!

Il re entrò nella sala e scorse un uomo che non
indossava l’abito nuziale. Gli disse: amico, come mai sei entrato senza l’abito
nuziale?

Il
re nella sala. Noi pensiamo Dio lontano, separato, assiso sul suo trono di
giudice, e invece è dentro la sala della vita, in questa sala del mondo, è qui
con noi, come uno cui sta a cuore la gioia degli uomini, e se ne prende cura; è
qui seduto alla mia destra, nei giorni delle danze e in quelli delle lacrime,
insediato al centro dell’esistenza, nel cuore della vita, non ai margini di
essa.

E
si accorge che un invitato non indossa l’abito
delle nozze. Tutti si sono cambiati d’abito, lui no, tutti anche i più
poveri, non so come, l’hanno trovato, lui no; lui è come se fosse rimasto ancora
fuori dalla sala. È entrato, ma come uno che non crede che ci sia una festa.

L’abito
non è il simbolo di un comportamento senza macchia, perché la sala è piena di
brave persone e di cattivi soggetti mescolati. Quell’abito è la metafora della
fede.
L’invitato si è sbagliato su Dio, lo pensava un
Dio incapace di festa.

E
invece si fa festa in cielo,
ricordiamolo il vangelo, si fa festa
per un peccatore pentito, per un figlio che torna, per una pecora perduta e
ritrovata, per ogni mendicante d’amore che trova e beve un sorso d’amore, che
restituisce una sorsata di vita.
Si è
sbagliato sulla fede, non ha capito che credere è una festa.

Vorrei parlargli, vorrei dirgli ciò che il mare dice
alle montagne, ciò che il vento dice alle rocce: che una bontà immensa penetra
l’universo,  che Dio non è quello
che lui crede, che è un vino di festa, un banchetto di condivisione in cui
ciascuno dà e riceve. Un flauto che suona da oltre
. Che ci chiama
alle sorgenti, non come un dovere, ma come un sempre nuovo stupore.

Checredere è una scala di luce, posata sul
cuore e che sale verso Dio, un Dio esperto di feste, un Rabbi che ama i
banchetti.
Un Dio cui piace sconfinare, pascolare nella terra dell’uomo e non nel
solito paradiso. Piace anche a lui nutrirsi, con noi, di nutrimenti terrestri,
di sentimenti umani.

 

Preghiera
alla comunione

 

Amico, come
hai fatto a essere qui?

Oggi,
Signore, non voglio restare muto

come
l’invitato della parabola.

Ti dirò: non
ho l’abito bello perché sono troppo povero,

 perché ne ho tessuto solo qualche
scampolo.

Donamelo Tu,
Signore!

Vestimi di
te, vestimi della tua luce,

Tu che hai
ascoltato il ladro crocifisso,

la preghiera
del pubblicano,

la cananea
straniera e audace:

 accoglimi di nuovo nella sala del
banchetto,

sono soltanto
un uomo delle strade,

uno dei
crocicchi che i tuoi servi percorrono.

Buono e
cattivo al tempo stesso, scovato solo alla fine,

ma adesso
accolgo l’invito, faccio la mia parte,

scelgo di
indossare te,

indosso i
tuoi occhi, i tuoi gesti,

prendo le tue
mani, i tuoi piedi,

prendo te
come mio desiderio, come mio sogno, come mio progetto.

E Tu,
Signore, riaccoglimi nella sala del banchetto

E donami di
respirare festa da te,

Tu, mia forza,
mio abito, mia sorpresa! Amen

 

Il denaro non può determinare il valore del tempo, del lavoro, della felicità, della conoscenza,
dell’acqua.
Quando questo succede il tempo, il lavoro, la felicità, la conoscenza, l’acqua muoiono.

Ermes Ronchi