28 Ottobre 2015

UN ABBRACCIO

Un abbraccio

 

Rom 12, 1-8; Mc 9,34-37

 

Benvenuti alla messa della comunità.

Celebriamo oggi anche la domenica della carità, in comunione
con tutti i poveri, e la chiusura del Sinodo sulla famiglia, vedendo con gioia
una chiesa che abbraccia, che ha la voglia e il piacere di camminare avanti, e
verso i feriti della vita….

 

Dice l’Apostolo: “Non
conformatevi alla mentalità di questo mondo!”
Noi,
invece ci omologhiamo volentieri al pensiero dominante, alla mentalità corrente,
Kyrie eleison

Dice Paolo “Trasformatevi,
rinnovando la vostra mente”
Per noi che ci sentiamo arrivati,
seduti, senza più desiderio di rinnovarci,
Kyrie eleison

 Dice il Vangelo: se uno vuol essere il primo sia il servo di
tutti.
Per noi che preferiamo essere serviti
anziché servire, che sogniamo una chiesa con il grembiule ma non ci impegniamo
a realizzarla,
Kyrie
eleison

 

Omelia

Prese un bambino, lo pose in mezzo, lo abbracciò e
disse:

chi accoglie uno di questi bambini accoglie me.

Questo modo creativo, bellissimo di Gesù di gestire le
relazioni: mai sguardo giudicante, non rimprovera i suoi, non li accusa di
essere dei piccoli arrivisti, pensa invece ad una strategia per educarli
ancora.

E lo fa con un gesto inedito: un bambino e un abbraccio. Il vangelo, tutto il regno in un
abbraccio, che è rivelazione, teologia: Dio
è così. Gesù è il racconto della tenerezza di Dio, che mette al centro non
se stesso, ma i piccoli; non sé ma un abbraccio. Tenero, lungo, caloroso.

Poi Gesù va oltre, si identifica con loro: chi accoglie un bambino accoglie me. Poter
dire ai nostri piccoli, poveri o bambini o malati o anziani o migranti: ti
metto al centro della mia vita e ti abbraccio.

E quando ti stringo, so che sto stringendo Dio fra le
braccia.

Una
scena affettuosa, cui risponde la scena potente del giudizio ultimo: quello
che avete fatto a uno di questi piccoli, l’avete fatto a me!

Lo straordinario è che Gesù
stabilisce un legame così stretto tra sé e i più piccoli, da arrivare fino a
identificarsi con loro: l’avete fatto a
me. Il povero è come Dio, carne di Dio.

Gesù sta pronunciando una grandiosa
dichiarazione d’amore per l’uomo: io vi amo così tanto, che se siete malati è
la mia carne che soffre, se avete fame sono io che ne patisco i morsi, e se vi
abbracciano sento io tutte le mie fibre gioire e rivivere (M. Marcolini).

E allora capisco
anche questo: che il cristianesimo non si riduce a fare il bene, non occorreva
Gesù per questo, bastava un cuore buono, e tanti uomini ce l’hanno.

La fede deve restare scandalosa, custodire un lievito
di follia:
il povero come Dio! Il
bambino come Cristo. Il povero è uno davanti al quale ti togli i calzari, come
Mosè davanti al roveto ardente, quando la Voce dalla fiamma gli intima: togliti i sandali perché questa terra è
santa.

Terra santa è ogni piccolo
della terra, dove abita un Dio innamorato che ripete il canto esultante di
Adamo quando gli è condotta Eva, un Dio che ripete a me e
a ciascuno: Veramente tu sei carne della mia carne, respiro del mio respiro,
sogno del mio sogno.

Guardi il povero e il
bambino
e ti senti naufragare: ti
obbliga a confrontarti con le cose estreme e con il cielo.

C’è una cattedra dei
piccoli,
e mostra che l’alternativa di fondo non è fra avere o essere, fra
vincere o perdere, ma fra il sentirsi abbandonati, gettati via, scarto, oppure
sapersi accolti, abbracciati, affidati alle cure di un altro.

Se non sarete come bambini non entrerete nel Regno… i bambini ti
insegnano la leggerezza del dipendere dagli altri, dell’affidarti con
semplicità, senza complessi: ogni volta che non basti a te stesso, non importa
se sei bambino, o innamorato, o malato, o anziano.

I bambini chiedono ai genitori amore, lo chiedono sempre,
per qualsiasi cosa, a ogni ora del giorno e della notte, insegnano che l’amore
non conosce la parola ‘basta’.
Ogni bambino è un amore diventato visibile (Kavafis) per
questo è maestro. Insegna la sapienza del vivere.

Il nostro Beato amava i piccoli, l’abbiamo sentito, li
accompagnava.

Amore vero, in tutte le
relazioni, è quello che ti obbliga, ti spinge a diventare il meglio di ciò che
puoi diventare” (Rilke).

Amore
di Padre è una forza che fa partire verso il meglio segreto della vita. Come
hanno fatto i santi. Anche noi, con talenti e fragilità: diventare il meglio di
ciò che possiamo diventare. Sarà la nostra santità.

Al
centro un bambino, dove
‘il solo fatto di esistere è già un’estasi’ (E. Dikinson); la nostra
comunità dei Servi di Maria pone al centro un piccolo frate santo. Un bambino e
un piccolo frate santo sono oggi i nostri maestri, perché sono braccia aperte
inviate alla terra.

Le chiese d’oriente ci ricordano che i santi sono importanti
perché sono gli uomini almeno in parte divinizzati, anfore riempite di Dio.

I santi sono gravidi di Dio.
Quando incontri una donna incinta non occorre che parli, è evidente a tutti il
miracolo che accade in lei. Così per i santi, li incontri e capisci subito che
Dio è in loro.

I santi tracciano sentieri, sui quali anche a noi è
possibile camminare. Nella preghiera del Beato Giovannangelo, che poi diremo, è
tracciata una strada verso le virtù metropolitane:

 Rendici
custodi fedeli del silenzio e dell’ascolto

entro un eremo interiore,

solo spazio creativo di dialogo e
di comunione

 tra le solitudini di ogni metropoli.”

Tre virtù
metropolitane
: silenzio, ascolto, eremo interiore.

Silenzio: mentre cresce il chiacchiericcio, il gossip, le parole del nulla o
quelle sguaiate e gridate, facciamo silenzio;
non per amore del silenzio ma per
amore della Parola.

Ascolto: C’è nella Bibbia una preghiera che incanta il Signore. Nella notte
prima di salire al trono Salomone domanda: “Donami un cuore che sappia
ascoltare”. E Dio si sorprende, resta incantato: “Non hai chiesto né lunga
vita, né ricchezze, né la vittoria sui tuoi nemici ed ecco io tutto questo ti
do, insieme a un cuore che ascolta”. Dono immenso da chiedere sempre, per saper
ascoltare Dio e il grido dei poveri, angeli e parabole, la bellezza della terra
e la musica delle costellazioni.

Ascoltare come i bambini. Che
ascoltano con gli occhi. Si riempiono gli occhi spalancati, li riempiono di te,
non solo di parole. Di come sei, di cosa fai, di che cosa porti nel volto e
nelle mani. Ascoltare Dio come i bambini.

Entro un
eremo interiore,
dove emergono quelle che sono le domande del cuore, quelle
che decidono della vita; quelle che stanno in piedi da sole; che riguardano la
felicità, le cose che danno gioia vera, gioia che duri. Dove accogli il vangelo
non per leggerlo, ma per abitarlo.

Rendici
custodi fedeli del silenzio e dell’ascolto

 entro un eremo interiore, solo spazio
creativo d’incontro.

Quarta
virtù metropolitana: essere creativi d’incontri.

Come Gesù che
abbraccia il bambino, siamo chiamati non a salvare la città, lo farà il
Signore, ma a creare una storia d’amore; non a convertire il mondo, ma ad
abbracciarlo. E sarà Dio che stringeremo fra le braccia.

 

 

 

 

 

Frate Giovannangelo,

uomo dalla vita lieta e
contemplativa,

pensarti in venerazione

nel cuore di Milano

ci conforta ad essere

 – oggi come ieri –

sempre rivolti verso l’Eterno

e a farci compagni solidali

– nelle trame della città –

di ogni cercatore

affamato e assetato d’Altro.

Rendici custodi fedeli

del silenzio e dell’ascolto,

entro un eremo interiore:

solo spazio creativo

di dialogo e di comunione,

tra le solitudini

di ogni metropoli. Amen.




p.Ermes Ronchi