Mai avrei immaginato, da
bambino, che in un futuro non lontano, quel luogo sarebbe diventato il rifugio di quell’ultima parte
dell’infanzia e il preludio dell’adolescenza.
Accadeva, a domeniche alterne, ch’io vi
transitassi lì in treno, recandomi in visita al nonno materno che abitava qualche chilometro più avanti.
La considerazione che nasce
oggi, nei miei pensieri, è che ero straniero allora, in quell’inconscio passaggio, come mi ritrovo straniero in
questo presente dopo aver vissuto lì la coscienza di quel passaggio; e qui,
sono due modi di intendere una simile parola. Allora, non mi curai tanto di
quel posto in quanto estraneo a me, quanto oggi quel luogo è pregno di una mia
presenza che altri non conoscono e non possono conoscere.
Quel luogo, ai miei occhi,
sembra assomigliare ad una sorta di ragnatela che allora cercasse prima di
attirare, ed essersi ingoiata poi, l’anima di chi vi era caduto dentro.
Mi chiedo: Cosa è rimasto di
quel periodo?
L’ineluttabile mutamento, attraversato
dal tempo, è qui a confermare quanto la mia persona abbia riacquistato oggi la
parola di straniero, ma con un’accezione carica di situazioni che, appunto,
viene dall’aver sostato lì in quel periodo.
Se ne era allontanata la mia
persona, ma l’animo era rimasto impigliato lì; estraneo allora il luogo al
fanciullo, ecco che in seguito,
estraneo si mostrava da parte sua l’ambiente a me.
Una deformità sembra allora
colpire lo sguardo, il quale così pare esprimersi:
Fummo fanciulli un giorno
e non lo sapevamo,
guardavamo avanti a noi
la suadenza del tempo
e il suo inganno. ( 1 )
Mi chiedo ancora cosa avessi
vissuto lì; forse una storia una favola un sogno o forse semplicemente, una
realtà?
E’, questa, una domanda da cui
emerge proprio quell’ambiguità su
quello svezzamento dell’anima; svezzamento che avrebbe dovuto formarmi
all’esistenza.
Ecco qui, allora, dirigere il
pensiero su quell’ambiguo periodo, dove realtà e sogno venivano a disputarsi la loro verità.
Ma può il sogno rivelare una sua verità o può una realtà
rivelare una verità diversa? La deformità pare abitare lì.
Sogno e realtà sono due aspetti
di una stessa medaglia che però guardandone una faccia, se ne eclissa l’altra
dal proprio orizzonte.
Dunque, non il luogo, ma è il
tempo a favorirne la distanza, a dividerne, nella coscienza, gli aspetti;
allora si poteva sognare una realtà, ma oggi, la realtà non può sognare se
stessa e per tale, ecco il sogno trasferirsi nella nostalgia del passato,
rendendola poetica.
La nostalgia, così, sembra
volersi riappropriare di un
sentimento che non esiste più; il sentimento di allora, non è quello di oggi.
Il sentimento di oggi, appare
più come una ferita incapace di chiudersi al presente che lo chiama ad
esprimere l’attualità.
La nostalgia esclude il presente
credendo di averne scoperto in esso l’inganno.
C’è da dire, però, che l’inganno
è in noi in quanto i mutamenti, all’ordine del giorno, si verificano in
qualsiasi posto ci si trovi; guardiamo, ma non osserviamo la frenesia della vita non ce lo permette
Solo la distanza del tempo
attiva l’osservazione quand’ecco lo sguardo non è impegnato a scorrere l’attualità, lasciando spazio ad
altro; può far riposare così lo sguardo sui dettagli, che sembrano averci sorpassato.
L’osservazione è una forma
statica che si sofferma sull’oggetto suscitando un sentimento in stato di
quiete.
Su questo stato di quiete ecco,
in quel momento, protendersi lo sguardo su quella scalinata che, allora,
suscitava il fascino del proibito.
La scalinata delimitava il territorio
sul quale ci si poteva, o no, aggirarsi; quel “ fuori territorio “ pungolava la curiosità di scoprire quel piccolo Eden.
Sì, quella proibizione si
ammantava di trasgressione; l’uomo, di sua natura, è portato a trascinarsi
oltre per gustare il frutto proibito.
Scendendo la scalinata, il
ricordo di quella proibizione fa sorgere in me, oggi, un sorriso; oggi, nessuno
lo impedisce di avventurarvisi.
Il silenzio regna sovrano,
mentre m’addentro a riscoprire i segni del passato; ma tra il ricordo e il
presente vien denotandosi un
segno di trascuratezza.
Il posto è diventato luogo
pubblico, a cui ha accesso chiunque nelle occasioni che l’amministrazione
locale promuove; ma ciò che mi colpisce è constatare quanto una cosa pubblica
venga a degradarsi.
Com’è possibile? In quanto
pubblico, la manutenzione dovrebbe far sì che ognuno possa godere la bellezza
che ricopre il luogo, a valorizzare anche la storia che lì vi si è concentrata.
Ma questo, purtroppo, succede
dappertutto per questioni economiche di bilancio.
Essendo, allora, gestito da un
ente privato, le cose erano ben curate.
Se quella parte di territorio
aveva un’anima in quanto i ragazzi l’occupavano nei momenti di libertà, non
meno vi era un’anima in quel “ fuori territorio “.
Un respiro d’altro tenore vi si
aggirava a vivificare le cose lì.
Quel laghetto, ormai abbandonato
ad una trascuratezza, ospitava una coppia di cigni bianchi che nuotavano
maestosamente, mentre da una voliera, quasi nascosta dagli alberi, risuonavano
le voci di alcune tortore; poi ecco ancora la voce di un pavone e l’abbaiare di
un cane a guardia di un recinto.
Risuonavano su tutto ciò le ore
più spensierate.
Scendendo la scalinata, ricordo
di quando, allora, quel sentierino che divideva le due parti, era solo un sentierino sterrato e che proprio sotto i miei occhi ne
vidi quell’ammodernamento che lo rendeva più sicuro.
Vidi le palme appena piantate ai
due lati e che oggi si elevano snelle al mio sguardo, denunciando la loro
progressiva crescita nulla rimane come lo sguardo lo ha colto nell’ultima
sua occhiata.
Ripenso a quelle due parole: “
fuori territorio “; beccati in flagranza, la punizione si risolveva con lo scrivere per cento volte “ Non devo
andare fuori territorio “.
Proseguendo la visita del luogo,
una considerazione viene a rafforzare il pensiero che sembra coinvolgere lo
sguardo e la memoria in un’antitesi di sentimenti.
Già i sentimenti di allora, non
sono quelli di oggi; quelli di ieri vivevano il presente ma quelli di oggi?
Mentre quelli di ieri vivevano
una loro freschezza, quelli di oggi sembrano soffrire una loro pesantezza; in
tal modo la nostalgia viene a mediare una sintesi tra il passato che il tempo
ha eclissato e il presente.
Come eravamo ieri; come siamo
oggi? Senza accorgersi, ognuno cade nel labirinto del tempo ci si è entrati
attirati da qualcosa che, colpendo la propria curiosità ha fatto sì di
inoltrarsi in un’avventura esistenziale che par dilatarsi indefinitamente su una scena gravida di
successioni.
Ma realmente, cosa accade?
Il nostro io, balzando in avanti
la sua proiezione, sembra essere coinvolto in una successione che par
esasperare la realtà.
La realtà la si vive in un modo
convulso che impedisce un suo discernimento; ed ecco che, improvvisamente, l’io
rivolgendo lo sguardo al tempo, è assalito proprio dalla nostalgia.
Ci si è impadroniti, per mezzo
della nostalgia, di quel “ fuori territorio “ di allora, precipitando però in
un “ fuori tempo “ di oggi.
Noi saremo sempre, in qualche
modo, in un fuori territorio scandito dal tempo.
Maurizio Basso (scrittore)