2 Dicembre 2015

SEI TU COLUI CHE DEVE VENIRE?

TERZA DOMENICA DI AVVENTO – Anno C

Is 45, 1-8 ; Rom 9, 1-5 ; Lc
7, 18.28

 

Avvento è un tempo di domande.
Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro? Gesù risponde
educandoci alla fede attraverso le sue domande: Che cosa state guardando? Avete
fissato il vostro sguardo sui profeti e sui poveri?

Ci chiama a vedere gli invisibili
della storia. Abitati dalle domande dei Profeti e da quelle di Gesù, chiediamo
che sia lui a cambiarci lo sguardo e il cuore.

Signore, tu che conosci meglio di noi stessi i segreti
del nostro cuore,
Kyrie eleison

Signore, tu che conosci le nostre ferite, quelle che abbiamo ricevuto, quelle che abbiamo
inferto, Kyrie eleison

Signore, tu che conosci i nostri desideri buoni, i
sogni grandi e i pensieri meschini
,
Kyrie eleison

 

Omelia

Sei Tu Colui che deve venire? ‘Deve’, altrimenti la storia non si salva. ‘Deve venire’, camminando lui verso di noi, per
sentieri e dirupi, per lande e paludi dove ci siamo perduti.

Sei Tu o
dobbiamo aspettare un altro?

Giovanni, che pure è il più grande dei profeti, non capisce. Una cosa però sa:
che lui non si arrende. Se non sei tu, io
aspetto ancora. Io resisto e attendo. Io e i miei attenderemo!

Attendere, voce del verbo
amare. Diceva don Milani: Finché c’è
fatica c’è speranza. Giovanni ha speranza e la speranza innerva la fatica
dell’attesa. Invece, quando vedi uno che rifugge dalla fatica, quello sta
entrando nella depressione.

I dubbi del Battista non
cambiano la stima immensa che Gesù nutre per lui, e non diminuiscono la
grandezza di questo gigante dello spirito.

E così accade anche per me. Nella
fede c’è sempre tanta luce quanto basta per camminare e tanta oscurità quanto
basta per dubitare.

L’uomo biblico crede e
dubita insieme, perché così e non altrimenti può fare ogni uomo.

Penso a Pietro che chiede di
camminare sulle acque: lo fa, eppure il miracolo non gli impedisce di dubitare:
Vedendo il forte vento ebbe paura. Pietro dubita proprio nel momento in
cui è avvolto dal miracolo.

Allora comincia ad
affondare, e mentre affonda nel lago e nel dubbio, sorge la fede che gli fa
gridare: “Signore, aiutami”.

Mentre cammina sull’acqua
dubita, mentre affonda nell’acqua crede: fede e dubbio, misterioso intreccio
che non sorprende il Signore.

Giovanni dubita e Gesù
ribadisce: E’ il più grande!

Pietro dubita e Gesù lo ama,
a mano tesa!

Io dubito, e Dio continua a
volermi bene, come prima.

Dubito, e la sua stima, la
sua fiducia continuano.

E risponde ai miei dubbi,
come a quelli di Giovanni, con le parole proprie della vita, convocando a
guarigione ciechi, storpi, sordi, lebbrosi,
morti, poveri.

Questa è la misericordia di
Dio, che non bada se sono virtuosi o canaglie, mendicanti o principi, e si
rivolge a tutti con la stessa voce solare, come se non ci fossero buoni o
cattivi, ma solo persone dalla vita diminuita, ferita, piagata.

Non perché buono o cattivo
sia lo stesso, ma per far entrare tutti nella vita. Non chiama a giudizio chi
zoppica e cade, ma lo sostiene. Non condanna al fuoco chi non sa ascoltare, ma
apre i suoi orecchi; non colpevolizza chi sta male, ma lo fa rinascere. È,
nella vita, datore di vita.

Forse la risposta non ha
fatto che aumentare i dubbi di Giovanni. Non è questo il Messia che lui aspettava:
attendeva uno armato di scure, nel fuoco e nel turbine. E Gesù anziché fare
piazza pulita e bruciare tutti gli scarti, va a cercare gli ultimi della fila, ricomincia
dagli scarti del mondo.

Elenca sei categorie, sei
nomi dell’uomo: poveri, ciechi, storpi, zoppi,
lebbrosi, morti perfino. E tra loro non distingue, spezzando lo schema
buoni/cattivi, giusti/ingiusti, meritevoli e non meritevoli.

Si è incarnato per tutti,
buoni e cattivi; è entrato nelle case di tutti, buoni e cattivi; ha versato il
suo sangue per tutti, buoni e cattivi. Ciò che vuole, come padre e madre, è
rispondere alla fame di vita di tutti, alla fame di salute, di amore, di gioia.

Siamo noi che abbiamo
moralizzato il vangelo, ma il vangelo non è moralistico. A sorpresa parla molto
più di malati che di peccatori; ricorrono più spesso le parole del soffrire che
quelle del peccare; sulle labbra di Gesù fioriscono i nomi della povertà e non
del peccato.

P. Vannucci: il vangelo non è una morale ma una
sconvolgente liberazione. Che afferma: è possibile per tutti vivere meglio
e Gesù ne possiede la chiave. Un altro mondo è possibile e il vangelo ne
possiede il segreto.

Sarebbe fin troppo facile
rispondere a Cristo che i suoi miracoli, in fondo, non hanno cambiato il mondo,
che per un cieco guarito legioni di ciechi sono rimasti nella notte, che il
mondo è ancora un immenso pianto, che nessun deserto si è coperto dei gigli di
Isaia, che, anzi, il deserto sembra crescere.

Ma Gesù non ha mai promesso
di risolvere i nostri problemi con l’evidenza illusoria dei miracoli. Ha
promesso qualcosa di più forte ancora: il miracolo del seme, la non
evidenza del lievito invisibile e potente. Ha detto: voi risolverete la storia,
voi costruirete la pace, lo farete prendendo su di voi la mia passione per
l’uomo e per Dio, non la mia potenza.

Il segno di riconoscimento
dei discepoli del Vangelo non è la potenza, ma la passione. La com-passione, la
misericordia, caduta in noi come una goccia di fuoco, e che divampa. Come la
notte comincia dalla prima stella, così il mondo nuovo comincia con il primo
samaritano buono, con il suo primo gesto

buono.

Oggi papa Francesco apre nel
cuore dell’Africa la prima porta santa per il Giubileo della Misericordia.

Misericordia è una parola
composta di queste due parole: misero e cuore. Due termini molto cari alla Bibbia,
che anzi è scritta a partire dal punto di vista dei poveri: i migranti come
Abramo, gli schiavi come il popolo d’Israele in Egitto, gli esuli di Babilonia,
tutti i piccoli che da soli non ce la fanno.

I poveri riempiono la storia
e la Scrittura, la Scrittura a sua volta li convoca nella legge chiave: amerai con tutto il cuore.

La misericordia è dunque il
cuore che parte in pellegrinaggio verso il misero. Oppure, perché no?,
suggerisce che i miseri costituiscono il cuore di Dio, della storia, del
futuro.

Il vangelo offre oggi una
beatitudine strana: beato chi non trova
in me un motivo di scandalo! Gesù scandalizza ancora, la misericordia senza
condizioni scandalizza, il vangelo scandalizza: lo ascolti e il cielo appare
come un cielo con alberi che volano, agnelli che danzano e pesci che ardono, un
cielo impraticabile, popolato di zoppi, di ciechi, di prostitute, di folli e di
festaioli, di bambini che scoppiano in risate e di donne che non tornano più a
casa per seguirlo: tutto un mondo dimenticato dal mondo e festeggiato là subito,
adesso, sulla terra come in cielo.

Beato chi non troverà in me motivo di scandalo, beato chi non si scandalizzerà della bontà,
dell’eccessiva bontà di Dio.

Beato chi va in cerca, come Lui, dei sei volti
dell’uomo dolente: per sostenere il ripartire della vita, la possibilità di
ricominciare. E di quei gesti di misericordia, Dio dirà alla sera della nostra
vita: li avete fatti a me! Un altro
motivo di scandalo: i poveri sono la carne di Dio!

E non lo dirà solo ai
discepoli, ma anche a quelli che non lo conoscono: quando mai Signore ti abbiamo visto sofferente?

 Lo dirà a credenti e non credenti, a pagani e atei, a
quelli che non sanno il nome di Dio, però sanno il suo
cuore, un cuore dai battiti strani:

solo il suo amore senza
condizioni creerà amanti senza condizioni.

 

Preghiera
alla comunione

Signore, donami la fede inquieta e coraggiosa di
Giovanni,
che non smette di cercare sorgenti.
Sappi, Signore, che se anche avrò mille dubbi
 io
continuerò a cercare.
Sappi, che se anche non rispondi
io non mi arrendo, continuerò a bussare.
 Sappi,
che se anche ritardi io continuerò ad attendere:
 attenderti sarà il mio modo di amare.
E Tu continua a volermi bene, soprattutto quando
dubito,
continua ad aver stima di me.
Continua a venire vicino
Tu, buono come nessuno,
 piccolo,
fortissimo seme di fuoco in me, che nulla spegne,
tu unico miracolo di cui ho bisogno.
Amen

 

 

p: Ermes Ronchi