31 Gennaio 2016

IL MIRACOLO DEL PANE

TERZA
DOMENICA DOPO L’EPIFANIA – Anno C

Num13, 1-2.17-27; Cor 9, 7-14;
Mt 15, 32-38

 

Domenica
del pane abbondante,
che trabocca
dalle ceste e dalle mani, domenica di profezia: ‘c’è qualcuno che darà vino e latte senza domandare nulla se non un po’
di fame di cose vere.’

Allora
prepariamoci anche noi a purificare i nostri desideri, nostra fame e sete,
facendo spazio in noi alle cose buone, quelle che fanno vivere.

Dice il Signore Gesù: Da tre giorni stanno con me! Saper stare con il Signore è l’inizio di ogni
miracolo. Per i giorni in cui non diamo tempo al Signore, Kyrie eleison

Dice Gesù: Sento
compassione per la folla!
Si commuove,
come una mano che gli stringe le viscere. Per noi incapaci di soffrire con chi
soffre, ma solo di giudicarlo, Kyrie eleison

Gesù prese il pane, lo diede ai discepoli e i discepoli lo davano alla
folla!
Dare per ottenere. Alla fine
sulle colonne dell’avere ritroveremo solo ciò che abbiamo dato ad altri. Perché
sia evangelico il cuore
, Kyrie
eleison

 

OMELIA

Al
cristiano non è richiesto di fornire pane al mondo, ma di fornire lievito’

(Miguel de Unamuno).

È
Gesù che fornisce il pane, i discepoli forniscono il lievito della
condivisione.

Il
miracolo del pane,
è riportato da
tutti e quattro gli Evangelisti, cosa che non avviene per nessun altro miracolo
di Gesù. Matteo e Marco raccontano addirittura di due moltiplicazioni, per sei
volte il pane passa di mano in mano, non finisce mai e sazia.

Sei
volte perché è una lezione difficile: anche il credente mangia e rimangia questo
pane, ne ha bisogno ogni giorno come del battito del cuore, come del respiro.
Proprio questa ripetizione, domenica dopo domenica ci guarisce.

 Fateli sedere – dice – e presi i pani ringraziò e
cominciò a distribuirli
”. Diceva Turoldo:
la mia tentazione è di non chiamarlo mai miracolo della moltiplicazione ma
miracolo della distribuzione’.
Li dava ai discepoli e i discepoli li
davano alla folla e mentre davano il pane non finiva. E’ il gesto di dare che rende
‘in-finito’ il pane.

C’è tanto di quel pane sulla
terra che a distribuirlo basterebbe per tutti. Invece tutti lì ad accumulare e
a moltiplicare i beni, nessuno a distribuire.

Manca
il lievito della compassione. Ci
scandalizza sapere che esiste cibo sufficiente per tutti e che la fame si deve
a due cause: alla cattiva distribuzione del reddito e allo spreco (EV 189-191)
.

Ma la compassione  non si accontenta di qualche atto
sporadico di generosità.  Richiede
una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di
tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni.  In termini di vangelo. Di un’altra
architettura del mondo.

In invidio quei quattromila
nel deserto, li invidio, ma non per lo stupore dei pochi pesciolini che tutti
ne prendono e le sporte sono sempre piene.

Li invidio per la seduzione
che li ha presi. Tre giorni dietro a Lui, lasciando casa e lavoro, tre giorni
con Gesù, ad ascoltarlo: lo ascoltano e vivono, lo ascoltano e brucia il cuore,
lo ascoltano e risplende la vita.

Quale forza li ha fatti
partire e camminare; che cosa li ha trattenuti lì, lontano da casa, incuranti
del tempo che passa, portandosi dietro i bambini e le donne?

Sono le mani di Gesù che
risanano i malati, sono le sue parole che risanano il cuore. Ascoltarlo è
vivere, è riscoprire la vita.

Sono andati da Lui ascoltano
e vivono, ascoltano e brucia il cuore, ascoltano e splende la speranza: più
vivo di così non sarò mai! Il pane buono è Lui!

Ci
sono molti miracoli in questo racconto:

il primo è quello della
folla
che dopo tre giorni ancora non se ne va.

-il secondo miracolo: ”Quanti
pani avete?

Non c’è da cercare lontano, non c’è da cercare negli altri, ma
dentro di te, in ciò che hai.

Quanto pane hai? Quanto pane io già possiedo? E vuol dire tempo, intelligenza, cultura,
competenza, cuore, beni, ben più di sette pani, ben più di pochi pesciolini.

Quanto pane hai? E preferiamo non rispondere, perché temiamo il
seguito. Sette pani ho, numero perfetto, il poco che ho è perfetto se dato con
tutto il cuore.

Io
sono il dono perfetto: con la mia piccola misura e il grande coraggio. Date loro da mangiare:   La religione non deve limitarsi
all’ambito privato, non esiste solo per preparare le anime per il cielo:
sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra,  (EG 182).

– e il terzo miracolo:
poco pane condiviso fra tutti basta.
Ed
è una misteriosa logica divina: quando il mio pane diventa il nostro pane scatta
il miracolo. La fame, invece, comincia quando io tengo stretto il mio pane per
me, quando l’Occidente sazio tiene stretto il suo pane e i suoi beni per sé e
li spreca o li distrugge piuttosto che condividere;

– e poi l’altro miracolo è
l’intrecciarsi delle mani dei discepoli, di Gesù e della folla.
Rileggiamo: “Prese il pane e lo dava ai discepoli
e i discepoli lo davano alla folla”.

Il
miracolo è raccontato come una questione di mani. Un moltiplicarsi di mani, più
che di pane. Che passa di mano in mano: dai discepoli a Gesù, da lui ai
discepoli, dai discepoli alla folla. Il pane, simbolo di tutti i beni della
terra, che non mi appartengono, che vengono da prima di me e vanno oltre me, che
mi attraversano. Di chi sono le montagne, e l’aria, e l’acqua? Di tutti.

Allora apri le tue mani. Qualunque pane tu possa donare, non
trattenerlo, apri il pugno chiuso. Imita il germoglio che si schiude, il seme
che si spacca, la nuvola che sparge il suo contenuto.

 

Che diritto hanno i quattromila di ricevere pane e pesce?
L’unico loro diritto è la fame, il solo titolo è il bisogno. Davanti a Dio,
siamo sempre così.

C’è un momento in cui si prolungano i miracoli del
pane e della misericordia di Dio, ad ogni eucaristia quando ci incamminiamo in
fila a ricevere il pane comunione, che è dono:

non costringiamola all’alternativa meschina tra pane
meritato o pane proibito, essa è pane donato, con lo slancio della divina compassione.
Pane gioioso e immeritato per i quattromila sulla riva del lago, per tutti noi
sulla riva di ogni nostra notte.

Io sono uno di quella folla, io ho bisogno di
Qualcuno che si accorga di me, che si prenda cura di me, che guarisca la mia
vita.

Vedo venire la sera, quante volte, quante
sere!, e non ho pane a sufficienza, la vita è deserta,
ho bisogno
delle tue cure Signore, per questo resto con te.
Mi siedo con gli altri, ho
fame. Fame di più vita. Di più respiro.

Allora
il pane che riempie le mani, che riempie le sporte, il pane è un simbolo,
indica tutto ciò che mi mantiene in vita.

Il
pane è qualcosa che si avvicina alla felicità, questa parola imponente, ma
felicità e tutto ciò il cui desiderio mi mantiene in vita. Dio mi mantiene in
vita, come il pane.

Il
problema della nostra terra non è la mancanza di pane, ma la mancanza di quel
lievito che ci spinge alla condivisione, la mancanza di quel lievito che si
chiama compassione, che è come un morso alle viscere, un crampo allo stomaco:
ci manca il lasciarsi ferire dalle ferite dell’altro.

Donaci Signore il pane, la vita e l’amore

Perché per il pane, per la vita e per l’amore Tu ci
hai creati.

 

 

PREGHIERA ALLA COMUNIONE

 

Del mare e della terra faremo pane,


coltiveremo a grano la terra e i pianeti,

 


il pane di ogni bocca,


di ogni uomo,
ogni giorno
arriverà

 

 perché andammo a seminarlo
e a
produrlo

non per un uomo
ma per tutti,

 


il pane,

 il pane


per tutti i popoli

 


e con esso

 ciò che ha
forma e sapore di
pane


divideremo:


la terra,
la bellezza,
l’amore,


tutto questo ha sapore di pane

 

( Pablo
Neruda)

 

 

 

 

p. Ermes Ronchi

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