V
DI QUARESIMA – Lazzaro- 2016
Gv 11,1-53
E’ la domenica di Lazzaro: il racconto della sua risurrezione è la
pagina evangelica dove Gesù appare più turbato. Lo vediamo fremere, piangere, commuoversi,
gridare. Ciascuno di noi è lì, personaggio di questo vangelo.
E per tutti Gesù è ancora risurrezione e vita. Per questo, prendiamoci
un momento di silenzio per accoglierlo, dire grazie, sentirlo al centro.
E ora chiediamo il suo aiuto per togliere via la pietra che blocca
l’imboccatura del cuore, i macigni che bloccano la vita.
Ho visto il volto di Dio cosparso di sangue lungo le strade della vita sempre
uguale, nei sentieri indifesi della storia dell’uomo. Signore, perdona la
nostra indifferenza! Kyrie eleison
Il suo aspetto era miserabile a vedersi, la pelle flagellata da infami torture, da uomo era
ridotto a un morto sopravvissuto. Signore perdona le nostre oppressioni! Kyrie
eleison
Nella carne dell’uomo Figlio di Dio ho visto l’effetto del mio peccato, del mio egoismo l’estrema
espressione, l’oltraggio al volto di Dio. Signore, perdona il nostro egoismo! Kyrie
eleison
Omelia
Di Lazzaro sappiamo solo che
era di Betania, fratello di Marta e Maria e amico di Gesù. Sulla sua carta
d’identità, i segni particolari sono due: fratello e amico. Ed è la definizione
di ogni essere umano.
Se
Tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto. Parole stupende: “ Tu,
emani vita, contagio di vita”. Se tu sei con noi, la morte, la notte non
verrà.
Gesù risponde: “Tuo fratello
risorgerà”. Ma alle sorelle appare come una frase consolatoria, parole formali che
tutti ripetono, e Marta risponde come delusa: “so bene che risorgerà
nell’ultimo giorno. Ma quel giorno è così lontano da questo dolore che morde”.
Mentre Marta parla con verbi al
futuro, Gesù parla al presente: “Io sono”, e
seguono parole tra le più importanti del vangelo: “Io sono la risurrezione e la vita”. Lo sono adesso.
Notiamo la disposizione delle parole. Prima
viene la Risurrezione e non,
come si saremmo aspettati, la vita.
Per Gesù prima viene la liberazione e poi la vita autentica.
Vivere in pienezza è il risultato di molte
risurrezioni, di molti riscatti: dal peccato, dalla paura, dalla disperazione,
dalla violenza, dalla solitudine, dall’indifferenza. Risorgere è questione di
adesso, di questo momento: risorgere dalle vite spente e immobili. Risorgere dalle vite senza sogno e senza fuoco.
Io sono la
risurrezione: una linfa potente e
fresca che si dirama per tutto il cosmo e che non riposerà finché non abbia
raggiunto e fatto fiorire l’ultimo ramo della creazione, l’ultimo angolo del
cuore.
Una forza ascensionale che ci sospinge in alto lungo
tre direttrici: risorgere è crescere a
più coscienza, a più libertà, a più amore (Vannucci), ascendere a più
coscienza, a più libertà, a più amore.
Riascoltiamo le tre parole finali di Gesù come tre
gradini di questa risurrezione: togliete
la pietra! Rotolate via quei macigni sotto i quali vi siete seppelliti con
le vostre stesse mani; via i sensi di colpa, rovesciate l’incapacità di
perdonare a voi stessi e agli altri; togliete via la memoria amara del male
ricevuto, che vi inchioda ai nostri ergastoli interiori, e crea legami
mortificanti. Togliete la durezza del cuore. E fate entrare la combattiva
tenerezza del vangelo.
La seconda parola: Gesù
gridò a gran voce: Lazzaro, vieni
fuori!
Fuori nel sole, fuori è primavera. Fuori dalla grotta
nera dei rimpianti, dal guardare solo a te stesso, lui tira fuori dal bruco che
credevo di essere la farfalla che sono.
Non è il tuo angolino o la tua tana, il luogo dove sei
al sicuro, al chiuso, da solo, allo stretto: vieni fuori, incontro al mondo. Incontro agli altri. Fuori c’è forza e
sole. Chiesa in uscita, tante volte invocata da papa Francesco.
Davanti al grande mare aperto capisco che posso avere
paura con la mia piccola barca fragile. Le navi sono al sicuro quando restano ormeggiate
nel porto, ma non è per questo che sono state costruite, non siamo nati per restare
ancorate ai bassifondi della vita.
Vieni fuori: non è vero ciò che diceva Bertold Brecth: “le madri tutte del mondo partoriscono a
cavallo di una tomba”. Come se la vita fosse risucchiata subito dalla morte
o camminasse sempre sul ciglio del sepolcro, sull’orlo dell’assurdo.
Le madri partoriscono a cavallo di una speranza, di
una grande bellezza, di uno spazio aperto, di molti abbracci. A cavallo di un
sogno!
Ad ogni nascituro Cristo e il mondo gridano insieme
all’unisono: vieni! Esci, e portaci più
coscienza, più libertà, più amore!
Ed ecco la terza parola: Liberatelo e lasciatelo andare! Lazzaro esce avvolto in bende come
un neonato. Morirà una seconda volta, ma ormai gli si apre davanti un mondo
abitato da una altissima speranza: Qualcuno
gli vuole bene, e questo Qualcuno è più forte della morte.
Liberatelo e
lasciatelo andare. Lo ripete per
ciascuno di noi: liberati come si liberano le vele al vento, come si sciolgono le
catene, i nodi della paura, i grovigli del cuore. Liberati da maschere e paure.
E poi: lasciatelo
andare l’uomo è un inventore di strade; dategli una stella polare per il
suo viaggio e la certezza di un approdo, e sarà creativo.
Dove sta il perché ultimo della risurrezione di
Lazzaro? Sta nelle lacrime di Gesù, sacramento, rivelazione, dichiarazione
d’amore di Dio.
Noi tutti risorgiamo per le lacrime di Dio, risorti perché
amati.
Dio è padre e non ha figli da buttare; la risurrezione
è prima di tutto un bisogno di Dio: Dio non è padre se non ha dei figli vivi!
L’eloquenza delle lacrime, vera teologia, che è la più
potente lente d’ingrandimento della vita: guardi attraverso una lacrima e
capisci cose che non potresti mai imparare sui libri.
Io invidio Lazzaro, non perché ritorna in vita una
seconda volta, ma perché è circondato da gente che gli vuole bene, pieno di
amici quel suo mondo. Presagio di vita vera.
Gesù ripete anche a noi le tre parole di ogni
ricominciamento: togliete le pietre,
uscite fuori, e poi andate! Che senso di futuro e di libertà emana da
questo Rabbi che sa amare, piangere e gridare, e liberare senza legare a
sé.
Lui è il Dio coinvolto e coinvolgente, il Dio che ride
e piange e gioca con i suoi figli, nei caldi giochi dell’estate e del sole.
Quante volte sono morto, quante volte mi sono
addormentato, era finito l’olio nella lampada, era finita la voglia di
impegnarmi e di amare, forse era finita anche la voglia di vivere. L’anima era
nella tomba, mentre una voce, che era mia e non era mia, diceva: non mi interessa niente, non mi interessa
nessuno, basta, è finita.
E poi un seme ha cominciato a germogliare, non so da
dove, non so perché; una pietra si è smossa, è entrato un raggio di sole, un
grido di amico ha spezzato il silenzio, delle lacrime hanno bagnato le mie
bende. Ciò è accaduto per segrete, misteriose, sconvolgenti ragioni d’amore: Dio in noi, come amico, come risurrezione e
vita.
Dio in noi come un tarlo luminoso e instancabile, che
rode le bende, spezza le catene, abbatte la grotta che ci rinchiude.
Dio in noi. È Lui che apre il passaggio, Lui che sta nel
riflesso più profondo delle nostre lacrime, e si fa argine alla paura, argine
alla morte; e toglie la dura pietra. Lui è la Risurrezione, energia che non riposerà finché non abbia raggiunto l’ultimo ramo
della creazione, finché non sia spezzata la pietra dell’ultima tomba.
PREGHIERA ALLA COMUNIONRE
Signore, colui che ami è
malato.
Sono io il tuo amico, malato
e amato,
sono Lazzaro, sono Marta e
Maria.
Non restare lontano, vieni
vicino,
Amico mio, così vicino
che possa contare a una a
una le tue lacrime.
Per le tue lacrime io
risorgerò,
per il tuo amore
appassionato, io vivrò per sempre.
Sono io il tuo amico malato, io sono Lazzaro.
Santo solo di amicizia,
santo solo perché amato.
Io sono Marta e Maria
sorelle a infiniti morti,
derubato di amici, o di
padre, o di figlio, o di marito,
ma io credo. I miei sono
morti, ma non per sempre,
perché il tuo amore non
accetta di finire.
Io morirò, ma non per
sempre,
perché tu sei risurrezione
che non riposerà
finché non sia spezzata la
tomba dell’ultima anima
finché le tue forze non
siano pervenute
sull’ultimo ramo della
creazione.
Amen
p.Ermes Ronchi