Oggi c’è la tendenza a non meravigliarsi della vita e di tutto ciò che appare ai nostri sensi e alla nostra mente. Esiste una forma di assuefazione che anestetizza la capacità di stupirsi di fronte agli infiniti fenomeni che ci circondano.
Se siamo convinti che moltissime cose sono scientificamente spiegabili, allora il pericolo è quello di prestare poca attenzione a ciò che ci succede dentro e fuori di noi.
I mass-media, soprattutto quelli il cui target è il mondo giovanile, adeguano i loro contenuti alle aspettative della massa degli spettatori assetata di prodigi. Imprese titaniche e leggendarie, fiction fantascientifiche, magie ed incantesimi… tutti indicatori emblematici di un certo delirio di onnipotenza che aleggia sulle masse frustrate dal vuoto della quotidianità, privata del “sensus vitae” più intrinseco.
Strana contraddizione : da una parte disponiamo di mezzi tecnologici sempre più sofisticati che ci consentono di svelare attraverso gli studi scientifici molti fenomeni naturali sinora sconosciuti, dall’altra c’è l’esigenza in molti di proiettare i propri desideri più irrealizzabili nei monitors e negli schermi di cui si servono i mass-media con i loro effetti speciali.
C’è quindi la caccia al miracolistico ed al prodigioso, con il rischio di trascurare il senso di ciò che al nostro sguardo distratto appare “comune”.
Noi spesso pensiamo che i veri miracoli, in senso stretto, siano i fenomeni che superano tutte le forze della natura (miraculum = cosa meravigliosa). Essi provengono solo da Dio, diciamo.
Ma tutto l’Universo con le sue leggi proviene da Dio ed è sorretto da Lui.
In senso lato, tutto è un miracolo, perché tutto è “meraviglioso”, per chi sa meravigliarsi.
La vita, l’attività della propria mente, l’Universo, la storia personale e sociale, gli incontri quotidiani e i diversi fenomeni: se tutto venisse filtrato attraverso una coscienza recettiva ed attenta anche ai minimi dettagli, diventerebbe autentico “miraculum”. Il prodigio è proprio qui, sotto i nostri occhi che vedono, nelle nostre mani che toccano, nelle nostre orecchie che ascoltano, nella nostra mente che elabora ricordi ed idee.
A questo proposito mi viene in mente un famoso film che ho recentemente visto : “Una settimana da Dio”, il cui folle protagonista è l’emblema planetario della sindrome da onnipotenza di cui è afflitto il comune business-man del mondo occidentale. Nella finale, unico momento intelligente della sceneggiatura, il regista vuole farci capire che il maggior prodigio umano è l’esercizio del libero arbitrio da cui emergono le scelte costruttive: la ricerca, il lavoro, la meditazione, le opere di solidarietà, il senso del dovere quotidiano.
I mistici dell’antichità ci insegnano: è necessario guardare le cose tenendo presente il detto “comunia non comuniter” – vedere, cioé, le cose comuni in modo non comune.
Tutto, se si vuole, diventa davvero straordinario, come la vita stessa è un miracolo. �