18 Febbraio 2003

Il senso della gratuità

25° Capitolo

Prendi quel che ti spetta e vattene…o non mi è permesso di fare quel che voglio della mia roba? O il tuo occhio è maligno perché io sono buono? (Mt.20,1..)

Se vogliamo vivere felici dobbiamo sviluppare nella nostra coscienza il senso della gratuità dell’esistenza. Raramente pensiamo che tutto quel che abbiamo in noi e fuori di noi sia un dono del Creatore. Troppe cose vengono date per scontate. L’aria che respiriamo, il battito cardiaco, la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto, il tatto. Il cibo che mangiamo e che abbiamo guadagnato lavorando. Se ci fermiamo a riflettere in qualsiasi situazione ci trovamo, per un istante ci si accorge che sono molte di più le cose che abbiamo ricevuto che quelle che abbiamo dato.
Stiamo passeggiando in una stradina di campagna?

Riflettiamo per un istante il fatto che abbiamo la possibilità di muovere le gambe su un terreno solido, respirando ed ammirando il paesaggio pre-autunnale. Ci chiniamo a raccogliere una noce : in quel momento con un semplice atto della volontà abbiamo messo in moto milioni di cellule, quelle che costituiscono il nostro corpo, generando un cambiamento alla situazione microambientale nell’ambito in cui agiamo.

Non è una banalità. Passeggiando, diamo uno sguardo all’ambiente circostante: in ogni momento lo stesso paesaggio cambia, anche se di poco, in base alla nostra prospettiva ed anche al nostro umore, come in una sorta di caleidoscopio.Cambia infinite volte. Non può essere una banalità. Ascoltiamo i nostri passi, il respiro, l’aria che ci accarezza. Osserviamo il volo degli uccelli e i contadini che faticano. Prima che noi nascessimo tutto già preesisteva, anche se non ne avevavamo coscienza.

Eravamo nel nulla più assoluto, il nostro nome preesisteva solo nel progetto di Dio, alla cui coscienza tutto ciò che è accaduto ed accadrà è presente. Eternamente presente. Non esistevamo, non avevamo un corpo, un’anima, uno spirito, una coscienza. Ora esistiamo, respiramoi, camminiamo, ci siediamo, parliamo , mangiamo, beviamo, dormiamo, corriamo, pensiamo, preghiamo, odiamo ed amiamo,piangiamo e gioiamo, ci annoiamo e stupiamo, soffriamo e godiamo. In una parola esistiamo gratuitamente, senza alcun sforzo e siamo chiamati ad una forma di esistenza superiore, infinitamente più piena di quello che immaginiamo.

Questa forma di esistenza è un dono ancora più incredibilmente grande, un dono che richiede una certa preparazione. I porci non possono apprezzare le perle, ma sceglieranno le ghiande. Per intuire il valore immenso della vita che ci aspetta oltre questa dimensione terrena è necessario faticare, soffrire, sopportare, umiliarsi nelle ricadute e chiedere al Creatore di aiutarci a superare la forza di gravità che ci schiaccia sulla terra e non ci dà la possibilità di elevare il nostro spirito.

Ci stiamo allenando a ricevere un dono immenso: diventare realmente figli di Dio raggiungendo la sua somiglianza in Gesù Cristo, tramite la forza dello Spirito Santo. Anche la sofferenza, in questo caso, è un dono. Un dono di cui faremmo spesso volentieri a meno, ma dopo capiremo meglio, quando saremo unificati in Dio. Tutto ci sarà più trasparente e la nostra coscienza purificata dalle scorie della dispersività, della molteplicità, accoglierà con gioia tutti i doni preparati.

Eccomi, Signore, a dirti grazie di tutto anche di quello che tu vedi e sai che è amaro per la nostra vita; amaro che amareggia il cuore, l’anima, i pensieri e perfino lo sguardo. Sì, anche lo sguardo. Grazie di tutto, Signore, grazie, perché ciò che permetti e ci doni è espressione del tuo amore, un Amore che nasconde ogni dolcezza e fa sentire soltanto l’amarezza e con questo non significa che tu non ami, ma vuol dire che ci lavori talmente in profondità da condurci avanti e renderci capaci di portare con te la croce, fino al punto più alto della montagna dove la croce, dove l’amarezza muta natura per diventare dolcezza e luce…(p.Albino, Diario,p.319)

Dobbiamo vivere nell’ottica del dono. Tutto è dono. Anche il fatto che Dio permetta che noi pecchiamo e poi ci pentiamo. Lo stesso pentimento è dono, perché è Lui che fa vibrare le corde del nostro spirito. Il dono va ricevuto nella gioia, non nella tristezza. Ci troviamo spesso, a causa della durezza del nostro cuore,a fingere di gradire un dono da parenti, amici e conoscenti. Ma in Dio non si può fingere: Egli conosce in profondità il nostro stato d’animo. Sa bene se riceviamo i suoi doni nella tristezza o nella gioia. Probabilmente non abbiamo piena coscienza di quello che ci ha dato, ci dà e ci sarà.

Siamo troppo superficiali, addormentati, induriti. La vera gioia dovrebbe accompagnare ogni evento, ogni sensazione, ogni vibrazione dell’animo, perché sappiamo che Egli ci ha creati per godere della vera felicità . Ci ha creati per la gioia, non per la tristezza. Ogni tristezza momentanea dovrebbe tramutarsi in gioia. Cristo era profondamente triste prima di bere il calice amaro della sofferenza, nel Getsemani.

Ma poi si è completamente abbandonato nella mani del Padre. Ha portato la sua croce soffrendo terribilmente. Ma sapeva che quella era la volontà del Padre, pertanto nelle profondità più nascoste del suo animo regnava la gioia del dono totale: si offriva per salvare l’intera umanità dal peccato. Tutti noi dobbiamo cercarlo di imitare in qualche modo, ognuno trascinando la sua croce. Uno dei peccati più gravi e che offendono il cuore di Dio è la non riconoscenza dei suoi immensi doni: l’esistenza, il creato, tutti gli altri uomini e Lui stesso nella persona di Gesù Cristo, che patì e morì per noi.

Patì e morì per noi, affinché possiamo far parte di questa meravigliosa attività cosmica dell’amore: Egli si dona perché anche noi ci doniammo. Ci doniamo a Lui donandocii agli altri. Donando il nostro tempo, il nostro essere e mettendo a disposizione i nostri averi affinché anche gli altri possano fare altrettanto. Il dono è sempre contagioso. Anche nella vita pratica notiamo che qualsiasi dono richiede riconoscenza da parte di chi lo riceve.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.

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