10 Luglio 2018

LO SCANDALO DI VEDERE DIO COME UNO DI NOI (p. Ermes Ronchi)

 

Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi

Lo scandalo di vedere Dio come uno di noi

XIV Domenica – Tempo ordinario – Anno B – 2018

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando. (Marco 6,1-6)

Commento a cura di Ermes Ronchi

Gesù andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono.
Missione che sembra un fallimento e invece si trasforma in una felice disseminazione: «percorreva i villaggi insegnando».

A Nazaret non è creduto e, annota il Vangelo, «non vi poté operare nessun prodigio»; ma subito si corregge: «solo impose le mani a pochi malati e li guarì». Il rifiutato non si arrende, si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo. L’amante respinto non si deprime, continua ad amare, anche pochi, anche uno solo. L’amore non è stanco: è solo stupito («e si meravigliava della loro incredulità»). Così è il nostro Dio: non nutre mai rancori, lui profuma di vita.

Dapprima la gente rimaneva ad ascoltare Gesù stupita. Come mai lo stupore si muta così rapidamente in scandalo? Probabilmente perché l’insegnamento di Gesù è totalmente nuovo. Gesù è l’inedito di Dio, l’inedito dell’uomo; è venuto a portare un «insegnamento nuovo» (Mc 1,27), a mettere la persona prima della legge, a capovolgere la logica del sacrificio, sacrificando se stesso. E chi è omologato alla vecchia religione non si riconosce nel profeta perché non si riconosce in quel Dio che viene annunciato, un Dio che fa grazia ad ogni figlio, sparge misericordia senza condizioni, fa nuove tutte le cose. La gente di casa, del villaggio, della patria (v.4) fanno proprio come noi, che amiamo andare in cerca di conferme a ciò che già pensiamo, ci nutriamo di ripetizioni e ridondanze, incapaci di pensare in altra luce.

E poi Gesù non parla come uno dei maestri d’Israele, con il loro linguaggio alto, “religioso”, ma adopera parole di casa, di terra, di orto, di lago, quelle di tutti i giorni. Racconta parabole laiche, che tutti possono capire, dove un germoglio, un grano di senape, un fico a primavera diventano personaggi di una rivelazione.

E allora dove è il sublime? Dove la grandezza e la gloria dell’Altissimo? Scandalizza l’umanità di Dio, la sua prossimità. Eppure è proprio questa la buona notizia del Vangelo: che Dio si incarna, entra dentro l’ordinarietà di ogni vita, abbraccia l’imperfezione del mondo, che per noi non è sempre comprensibile, ma per Dio sempre abbracciabile.

Nessun profeta è bene accolto nella sua casa. Perché non è facile accettare che un falegname qualunque, un operaio senza studi e senza cultura, pretenda di parlare da profeta, con una profezia laica, quotidiana, che si muove per botteghe e villaggi, fuori dal magistero ufficiale, che circola attraverso canali nuovi e impropri. Ma è proprio questa l’incarnazione perenne di uno Spirito che, come un vento carico di pollini di primavera, non sai da dove viene e dove va, ma riempie le vecchie forme e passa oltre.

(Letture: Ezechiele 2,2-5; Salmo 122; 2 Corinzi 12,7-10; Marco 6,1-6)

 

 

Domenica XIV Marco 6,1-6

 

Dio prende da parte il suo profeta Ezechiele e gli parla duro: tu vai, lo so che sono un popolo dal cuore duro, ma tu profetizza, ascoltino o non ascoltino…

Introduzione forte e diretta al vangelo del ritorno di Gesù a Nazaret, un villaggio di 3/400 abitanti, dove si conoscono tutti, per nome e per parentela, dove tutti sanno tutto di tutti. O almeno credono!

E i suoi paesani prima stupiti, poi spazientiti: ma che cos’è sta sapienza? E questi prodigi, in quelle mani da carpentiere?

Poche pagine prima questi stessi fratelli, Joses, Giuda, Simone, Giacomo erano scesi a Cafarnao per prenderselo questo cugino strano, e riportarlo a casa perché dicevano: è andato, è fuori di testa. Dà scandalo, dobbiamo proteggerlo anche da se stesso.

E adesso tutta la sua patria si scandalizzava di lui. E gli dicono chiaramente: ma chi credi di essere? Tu – sei – il – falegname. Punto.

 

Gesù è il falegname, è vero, ma è più che questo.

cresce nella bottega di un artigiano, le sue mani diventano forti a forza di stringere manici, il suo naso fiuta le colle, la resina, il sudore di chi lavora, sa riconoscere dall’odore il tipo di legno. Ma è più che questo.

Cos’ha di meglio di noi quest’uomo, che se n’è andato dal paese, che vive per le strade, come un senza fissa dimora?

E i suoi discepoli, questi ragazzi di fuori, pratici solo di barche, cos’hanno di più di Joses, Giacomo, Giuda e Simone? Non erano meglio i giovani del paese?

Non è il falegname? Sì, ma non solo.

E vale per tutti, per tutti noi. Ogni uomo e ogni donna è più che la sua attività. Se non sono di più di quello che faccio c’è qualcosa che non quadra.

Che siamo di più, che ognuno è oltre, lo capisci semplicemente se guardi di una persona com’è il suo rapporto con le cose e con la gente: se dà vita o se ne toglie, se aggiunge gioia oppure no, se vive un rapporto luminoso, rasserenante, libero.

E vale per tutti: siamo tutti di più, c’è in tutti noi qualcosa di più grande: da dove gli viene questa sapienza? siamo tutti sapienti di una sapienza del vivere di cui non facciamo uso, che non facciamo circolare.

Siamo tutti principi, cui è affidata una porzione di mondo e di umanità da custodire, proteggere, far fiorire. In virtù del battesimo.

Siamo tutti sacerdoti, un ponte per Dio, scovatori del sacro che è dappertutto, che è in tutte le cose.

Nessun profeta è accolto in casa sua. Ma siamo tutti profeti, abbiamo una sillaba della parola di Dio, del progetto di Dio, della logica di Dio dentro di noi. Un cromosoma almeno della sua coscienza alta.

 

Loro scandalizzati, Gesù meravigliato.

Scandalizzati perché rifiutano che Gesù sia di più di ciò che pensano.

Gesù meravigliato del fatto che non sappiano, che noi non ci rendiamo conto che siamo molto più che falegnami, o casalinghe, o impiegati, o preti; che siamo una sorpresa, a noi stessi prima di tutti.

Si meraviglia che non viviamo da principi, da sacerdoti, che la nostra vita non sia piena di luce, che non viviamo della sua vita che è venuto a portare… Che siamo così bravi a banalizzare tutto.

 

Gesù è l’inedito di Dio; è l’inedito dell’uomo. e noi ci nutriamo di ripetitività

E chi è omologato alla vecchia religione non si riconosce in GESù perché non si riconosce in quel Dio che viene annunciato, un Dio che fa grazia ad ogni figlio, sparge misericordia senza condizioni, fa nuove tutte le cose, che mette la persona prima della legge, capovolge la logica del sacrificio, sacrificando se stesso.

Perché preferiamo nutrici delle solite cose, ci nutriamo tutti di ripetitività e di ridondanze. Andiamo in cerca solo di persone, di letture e discorsi che ci confermino nelle nostre opinioni. Incapaci di pensare in altra luce.

 

Come si fa a non essere come quelli di Nazaret, ad essere aperti al nuovo? Un amico mi diceva con una battuta: Gesù va a predicare nella sua città, tra la sua gente. È come se oggi fosse andato a predicare ai preti. Non lo avrebbero ascoltato. Sono impermeabili al nuovo.

Difficilissimo convertire i buoni (A. Maggi), quelli che si credono a posto. La sottomissione – acritica – all’insegnamento ricevuto rende davvero refrattari al nuovo. Difficile anche accettare che la profezia circoli nel mondo, nella chiesa attraverso canali impropri. Fuori dall’istituzione.

Che un profeta sia un uomo consacrato, carismatico, ce lo aspettiamo.

Ma che la profezia sia nel quotidiano, nella bottega del falegname, in uno che non ha cultura e titoli, con i calli alle mani, questo ci pare impossibile. E poi Gesù non parla come uno dei maestri d’Israele, con il loro linguaggio alto, ‘religioso’, ma adopera parole di casa, di terra, di orto, di lago, quelle di tutti i giorni.

Racconta parabole laiche, che tutti possono capire, dove un germoglio, un grano di senape, un fico a primavera diventano personaggi di una rivelazione.

E allora dove è il sublime? Dove la Grandezza e la Gloria dell’Altissimo? Scandalizza l’umanità di Dio, la sua vicinanza. Eppure è proprio questa la buona notizia del vangelo: che Dio si incarna, entra dentro l’ordinarietà di ogni vita, abbraccia l’imperfezione del mondo, che per noi non è sempre comprensibile, ma per Dio sempre abbracciabile.

 

La risposta di Gesù al rifiuto dei compaesani non è recriminazione né condanna, nessun successo lo esalta e nessuna sconfitta lo deprime: Andiamo per altri villaggi, il mondo è pieno di cuori aperti.

La sua risposta appare alla fine del brano quando Marco dice: “Non vi poté operare nessun prodigio”

Ma subito si corregge: “Solo impose le mani a pochi malati e li guarì”. Ecco la risposta. Il Dio rifiutato si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo.

L’innamorato respinto continua ad amare anche pochi, anche uno solo. L’amore non è stanco: è solo meravigliato. Stupore doloroso. Il nostro Dio non nutre rancori, continuerà sempre a inviare segnali di vita.

Per lui non sempre siamo comprensibili, ma sempre abbracciabili.

 

Nessun profeta è bene accolto nella sua casa. Perché non è facile accettare che un falegname qualunque, un operaio senza studi e senza cultura, pretenda di parlare da profeta, con una profezia laica, quotidiana, che si muove per botteghe e villaggi, fuori dal magistero ufficiale, che circola attraverso canali nuovi e impropri. Ma è proprio questa l’incarnazione perenne di uno Spirito che, come un Vento carico di pollini di primavera, non sai da dove viene e dove va, ma riempie le vecchie forme e passa oltre.

 

Alla comunione. Parole che hanno girato sui social e che sento profetiche

 

Se fosse tuo figlio

Riempiresti il mare di navi

Di qualsiasi bandiera.

Vorresti che tutte insieme a milioni

Facessero ponte per farlo passare.

Premuroso

non lo lasceresti mai da solo.

Faresti ombra

per non far bruciare i suoi occhi.

Lo copriresti per non farlo bagnare

Dagli schizzi d’acqua salata.

 

Se fosse tuo figlio

ti getteresti in mare,

urleresti per chiedere aiuto

busseresti alle porte dei governi

per rivendicarne la vita.

 

Se fosse tuo figlio

oggi saresti a lutto

Odieresti il mondo odieresti i porti

Pieni di navi attraccate

Odieresti chi le tiene ferme e lontane…

 

Se fosse tuo figlio

li chiameresti disumani e vigliacchi.

Dovrebbero fermarti

Tenerti bloccarti legarti

Vorresti spaccargli il muso…

 

Ma stai tranquillo

Non è tuo figlio,

non è tuo figlio.

Puoi dormire tranquillo

E sicuro. Nella tua casa tiepida.

Non è tuo figlio.

È solo un figlio

dell’umanità perduta

Dell’umanità sporca

che non fa rumore.

 

Non è tuo figlio.

Dormi tranquillo, certamente non è il tuo.

È un figlio di Dio.

(Sergio Guttilla)