“O anima cristiana, se sarai fedele nella prova terrena, un giorno vedrai quel che mai occhio umano contemplò.
Per te, infatti, è detto nella Scrittura: «Quelle cose che occhio non vide, ne orecchio udì, ne mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (1 Cor 2.9)…
Allora sarà veramente sazio il tuo occhio, perché vedrai Colui che tutto vede. Allora sarai veramente regina tu, che ora sei schiava in esilio; sarai piena di delizia nel corpo e nell’anima glorificati.
Il tuo cuore si dilaterà in una gioia indicibile. Ora, come pellegrini del Cielo, posiamo stanchi la testa sulla pietra che è la costanza nella fede… ma un giorno reclineremo il capo sul petto di Gesù, come Giovanni apostolo nell’ultima Cena.
Quanto grande è la tua dolcezza, o Signore! Tu la tieni nascosta per coloro che Ti onorano. Si, la tieni nascosta perché più ferventemente la cerchiamo, perché cercandola la troviamo, perché amandola la gustiamo in eterno!”.
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XIII domenica omelia
Hai posto mano all’aratro, non voltarti indietro sulle tue sconfitte.
Il Signore Gesù «rese forte» il suo volto, dice Luca, e si avviò verso Gerusalemme. Come uno che serra le labbra, stringe i denti, raccoglie le forze per il grande viaggio.
Alcuni ricorderanno il vangelo secondo Matteo di Pasolini: quel volto di Cristo che esprimeva grande decisione, quel Cristo sempre in cammino come se avesse il fuoco dentro, come se tutto il vangelo dovesse diffondersi a passo di corsa.
Ma era anche violentemente mite! Infatti:
Un villaggio di Samaria rifiuta di accogliere Gesù. «Vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» Eterna tentazione dei discepoli di imporsi.
“Gesù si volta, li rimprovera e si avvia verso il villaggio dopo.
Egli non ha nulla da spartire con chi invoca fuoco e fiamme sugli altri, fossero pure ostili, eretici o nemici.
Uno che difende perfino la libertà di chi non la pensa come lui. L’uomo viene prima della sua fede; l’uomo conta più delle sue idee.
L’uomo, e guai se ci fosse un aggettivo.
Difende quei samaritani per difenderci tutti.
“Andiamo in un altro villaggio!” Perché c’è sempre un’altra casa cui bussare, un’altra casa cui augurare pace; c’è sempre un altro paese dove trovare un cieco da guarire, un peccatore da perdonare, un povero cui annunciare la bontà di Dio.
Si volta, li rimprovera, si avvia. Nella concisione di questi tre verbi, nella loro sobrietà appare tutta la grande forza interiore di Gesù. La forza di affrontare una sconfitta, di non abbattersi per un rifiuto, di deprimersi per un fallimento.
Avvìati di nuovo, riparti, ricomincia. Un rifiuto non fermerà la storia di Dio, né il cammino del bene. Un rifiuto, un villaggio chiuso, un porto chiuso non fermerà la storia dei poveri, non bloccherà la storia del bene. Appena dopo c’è un altro villaggio, un altro povero, un altro naufrago, e altre braccia aperte.
Nella seconda parte del Vangelo Luca racconta tre personaggi che in tre brevi dialoghi si misurano su come si va dietro a Gesù.
Il primo è un generoso: “Ti seguirò dovunque tu vada!” E Gesù deve avere gioito per lo slancio, deve avere apprezzato l’entusiasmo giovane di questo ascoltatore, ma vuole togliergli ogni illusione. Le volpi hanno tane, gli uccelli nidi, ma io non ho dove posare il capo.
Eppure non era esattamente così. Gesù aveva cento case di amici e amiche felici di accoglierlo a condividere pane e sogni. Con la metafora delle volpi e degli uccelli Gesù traccia il ritratto della sua esistenza sempre minacciata, cacciato e inseguito; e della sua visione della vita sempre in movimento, con la follia giovanile dell’andare e ancora andare. Per tre anni ha camminato, senza mai sentirsi arrivato
Chi vuole vivere tranquillo e in pace nel suo nido sicuro, nella sua tana non potrà essere suo discepolo.
Neanche un nido, neanche una tana, solo strada, niente altro che strada. Tutti si annidano, tutti si intanano, io no. Io poso il capo sulla strada.
Cercano la loro zona di conforto, le sedie più alte. Io no. Io vado, avanti. Smontando il presente e seminandovi futuro.
Il secondo personaggio riceve lui una chiamata: “Seguimi!” e la sua risposta è positiva, dice “Si”, soltanto chiede una concessione: “Permettimi di andare prima a seppellire mio padre” e la sua richiesta è la più legittima che si possa pensare.
“Lascia che i morti seppelliscano i morti!” parole estreme, tra le più dure del Vangelo, io, tu puoi essere nient’altro che morto seppellitore di morti. Gesù non censura gli affetti: Quando incontra a Nain la donna che va a seppellire il figlio, si lascia ferire da quelle lacrime, ferma il corteo, prende per mano il ragazzo morto, lo riconsegna alla madre. Una madre che piange non è una morta che seppellisce i suoi morti ma è l’emblema della vita ferita che Gesù è venuto a guarire.
Sono parole simboliche, mi dicono che dicono a me e a ciascuno che è possibile vivere una vita morta, essere dei morti dentro, e anche vivere una religiosità che mortifica.
Il poeta Charles Péguy ha scritto così: Di un peccatore si può fare un santo, di un pagano si può fare un cristiano, ma di coloro che non sono niente, né peccatori né santi, né cristiani né pagani, né caldi né freddi, di loro, i vivi-morti, che cosa faremo? (C. Péguy).
Parole simboliche: chiudi i conti con il tuo passato, con la tua infanzia, non tirarti dietro le cose di ieri, memorie morte, solo memorie vive. E infine il terzo dialogo: “Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che mi congedi da quelli di casa”. Ancora una richiesta delicata e naturale. E’ così duro il cammino senza affetti! A Eliseo (I Lettura) è stato concesso di salutare quelli di casa, ma ora Gesù risponde: “Non guardare indietro”, non puoi arare con la testa altrove,
non puoi costruire niente guardando da un’altra parte.
Non guardare indietro, neppure alla colpa di ieri:
non appesantirti delle tue sconfitte, risali sulla strada.
Non guardare alle difficoltà, ma all’orizzonte che si apre, ai grandi campi del mondo.
Chi ha messo mano all’aratro… Un aratore è ciascuno, chiamato a dissodare una minima porzione di mondo, che traccia un solco e nient’altro: poi passerà il Signore a seminare di vita i campi della vita.
Ma Io un solco di bontà cercherò di lasciare. Almeno questo: un piccolo solco senza mai cattiveria.
Però una parola mi mette in difficoltà: Signore, chi non ha mai guardato da un’altra parte? Chi è davvero adatto al Regno?
Non Pietro, non Giacomo e Giovanni, tanto meno io se guardo alla mia coerenza. Ma ti ho visto andare in cerca della pecora perduta, aspettare il figlio prodigo e dichiarare per tre volte Pietro, che per tre volte si è girato indietro, adatto ancora a prendersi cura di pecore e agnelli.
Forse, allora, sono adatto anch’io, se penso che le pietre scartate ti sono servite meglio delle altre per la tua casa.
Sarà un solco poco profondo, il mio;
un solco forse poco diritto, ma il mio ci sarà.
Il mio piccolo solco non mancherà sui campi della vita.
Poi tu ne farai qualcosa che serva a qualcuno.
Preghiera alla comunione
Signore, sono qui a calcolare se conviene, se non conviene,
a elencare tutti i miei ma e i miei se…
Mi sento un aratore con i solchi storti, colmi di rimpianti
Non sarò mai pronto, se guardo alla mia coerenza,
forse sì se guardo a te,
e vedo che tanti che si sono girati indietro,
Pietro fra tutti, e figli prodighi e pecore perdute,
tante pietre pentite ti sono servite,
meglio delle altre, a costruire la tua casa.
Signore, sono l’ultimo dei coraggiosi,
sono il primo dei paurosi
eppure ti seguirò,
traccerò il mio solco, forse poco profondo,
certo poco diritto, ma sarà il mio solco.
Che tu riempirai di speranza.
Il Vangelo – Ermes Ronchi
XXXIII Domenica – Tempo ordinario – Anno C
13 novembre 2016
O Dio, principio e fine di tutte le cose,
che raduni tutta l’umanità
nel tempio vivo del tuo Figlio,
fa’ che, attraverso le vicende,
liete e tristi, di questo mondo,
teniamo fissa la speranza del tuo regno,
certi che nella nostra pazienza
possederemo la vita.
(II Colletta)
Non un capello andrà perduto
Luca 21,5-19
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». (…)
Il Vangelo ci guida lungo il crinale della storia: da un lato il versante oscuro della violenza, il cuore di tenebra che distrugge; dall’altro il versante della tenerezza che salva: neppure un capello del vostro capo andrà perduto.
Il Vangelo non anticipa le cose ultime, svela il senso ultimo delle cose. Dopo ogni crisi annuncia un punto di rottura, un tornante che svolta verso orizzonti nuovi, che apre una breccia di speranza. Verranno guerre e attentati, rivoluzioni e disinganni brucianti, ansie e paure, ma voi alzate il capo, voi risollevatevi.
Ma voi… è bellissimo questo «ma»: una disgiunzione, una resistenza a ciò che sembra vincente oggi nel mondo. Ma voi alzate il capo: agite, non rassegnatevi, non omologatevi, non arrendetevi. Il Vangelo convoca all’impegno, al tenace, umile, quotidiano lavoro dal basso che si prende cura della terra e delle sue ferite, degli uomini e delle loro lacrime, scegliendo sempre l’umano contro il disumano (Turoldo).
È la beatitudine degli oppositori: loro sanno che il capo del filo rosso della storia è saldo nelle mani di Dio. È la beatitudine nascosta dell’opposizione: nel mondo sembrano vincere i più violenti, i più ricchi, i più crudeli, ma con Dio c’è sempre un dopo. Beati gli oppositori: i discepoli non sono né ottimisti né pessimisti, sono quelli che sanno custodire e coltivare speranza. «Mentre il creato ascende… / tutto è doglia di parto / quanto morir perché la vita nasca» (Clemente Rebora).
E quand’anche la violenza apparisse signora e padrona della storia, voi rialzatevi, risollevatevi, perché nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto; espressione straordinaria ribadita da Matteo 10,30 – i capelli del vostro capo sono tutti contati, non abbiate paura. Uomo e natura possono sprigionare tutto il loro potenziale distruttivo, eppure non possono nulla contro l’amore. Davanti alla tenerezza di Dio sono impotenti. Nel caos della storia, il suo sguardo è fisso su di me. Lui è il custode innamorato d’ogni mio più piccolo frammento. La visione apocalittica del Vangelo è la rivelazione che il mondo quale lo conosciamo, col suo ordine fondato sulla forza e sulla violenza, già comincia a essere rovesciato dalle sue stesse logiche. La violenza si autodistruggerà.
Ciò che deve restare inciso negli occhi del cuore è l’ultima riga del vangelo: risollevatevi, alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. In piedi, a testa alta, liberi, coraggiosi: così il Vangelo vede i discepoli di Gesù. Sollevate il capo, e guardate lontano, perché la realtà non è solo questo che si vede: c’è un Liberatore, il suo Regno viene, verrà con il fiorire della vita in tutte le sue forme.
(Letture: Malachia 3,19-20; Salmo 97; 2 Tessalonicesi 3,7-12; Luca 21,5-19).
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6 luglio 2005
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