Tutta la Sacra Scrittura è ispirata da Dio e contiene delle verità di fondo che sono ancora da scoprire, nonostante il testo sia stato scritto alcune migliaia di anni fa.
Adamo è il “CULMINE” della Creazione ed era destinato alla beatitudine eterna.
Ma Dio, essendo fonte di ogni libertà, non gli ha tolto il libero arbitrio perché Adamo è stato creato “a sua immagine e somiglianza”.
Adamo ed Eva, anche se tentati dal serpente maligno, hanno liberamente trasgredito il comando divino di non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, perché, per orgoglio, volevano essere come Dio.
In questo modo si sono macchiati del peccato originale trasmettendolo a tutte le generazioni, fuorché a Gesù Cristo, nuovo Adamo, e a Maria nuova Eva (quindi Nuova Umanità).
Nel piano amoroso di Dio, però, la disobbedienza di Adamo ed Eva ha consentito l’Incarnazione, per cui Dio si è fatto uomo in Gesù Cristo per riscattarci e restituire la dignità umana a tutti coloro che credono nella sua Risurrezione
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Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
XXXII Dom.T. O. – Anno C – 2019
Vita eterna, non durata ma intensità senza fine
Vangelo – (Luca 20,27-38)
[…] Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. […]
I sadducei si cimentano in un apologo paradossale, quello di una donna sette volte vedova e mai madre, per mettere alla berlina la fede nella risurrezione. Lo sappiamo, non è facile credere nella vita eterna. Forse perché la immaginiamo come durata anziché come intensità. Tutti conosciamo la meraviglia della prima volta: la prima volta che abbiamo scoperto, gustato, visto, amato… poi ci si abitua.
L’eternità è non abituarsi, è il miracolo della prima volta che si ripete sempre. La piccola eternità in cui i sadducei credono è la sopravvivenza del patrimonio genetico della famiglia, così importante da giustificare il passaggio di quella donna di mano in mano, come un oggetto: «si prenda la vedova… Allora la prese il secondo, e poi il terzo, e così tutti e sette».
In una ripetitività che ha qualcosa di macabro. Neppure sfiorati da un brivido di amore, riducono la carne dolorante e luminosa, che è icona di Dio, a una cosa da adoperare per i propri fini.
«Gesù rivela che non una modesta eternità biologica è inscritta nell’uomo ma l’eternità stessa di Dio» (M. Marcolini). Che cosa significa infatti la «vita eterna» se non la stessa «vita dell’Eterno»? Ed ecco: «poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio», vivono cioè la sua vita.
Alla domanda banale dei sadducei (di quale dei sette fratelli sarà moglie quella donna?) Gesù contrappone un intero mondo nuovo: quelli che risorgono non prendono né moglie né marito.
Gesù non dice che finiranno gli affetti e il lavoro gioioso del cuore. Anzi, l’unica cosa che rimane per sempre, ciò che rimane quando non rimane più nulla, è l’amore (1 Cor 13,8).
I risorti non prendono moglie o marito, e tuttavia vivono la gioia, umanissima e immortale, di dare e ricevere amore: su questo si fonda la felicità di questa e di ogni vita. Perché amare è la pienezza dell’uomo e di Dio.
I risorti saranno come angeli. Come le creature evanescenti, incorporee e asessuate del nostro immaginario? O non piuttosto, biblicamente, annuncio di Dio (Gabriele), forza di Dio (Michele), medicina di Dio (Raffaele)? Occhi che vedono Dio faccia a faccia (Mt 18,10)?
Il Signore è Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è Dio di morti, ma di vivi. In questa preposizione « di », ripetuta cinque volte, in questa sillaba breve come un respiro, è inscritto il nodo indissolubile tra noi e Dio.
Così totale è il legame reciproco che Gesù non può pronunciare il nome di Dio senza pronunciare anche quello di coloro che Egli ama.
Il Dio che inonda di vita anche le vie della morte ha così bisogno dei suoi figli da ritenerli parte fondamentale del suo nome, di se stesso:
« sei un Dio che vivi di noi » (Turoldo).
(Letture: 2 Maccabei 7,1-2.9-14; Salmo 16; 2 Tessalonicesi 2,16-3,5; Luca 20,27-38)
Immacolata 2018 (di p. Ermes Rochi)
Una festa oggi piena di ali e di fessure aperte sull’infinito.
Stai sulla soglia prima di entrare
Scuci tutte le paure, sciogli le vele, scendi nel cuore,
ora fatti mancare le parole,
come un fiore che si spoglia fino al frutto.
Il silenzio ti fa nudo e semplice, carezza di Dio su di te:
che ti fa vivere, che apre il tempo,
che colma il vuoto, che svela il senso,
che ci fa restare umani.
Omelia
Adamo, dove sei? Mi sono nascosto perché ho avuto paura. Ed entra nel mondo la paura, la grande nemica. Adamo ha paura di Dio: è la madre di tutte le paure.
Poi verrà un angelo, un angelo migratore, che vola via dal cuore del tempio e si posa nel cuore di una casa, a Nazaret, a portare la fine della paura di Dio: “non temere Maria”.
Dio viene come gioia, come bacio caduto sulla terra, un seme di vita nella voce di un angelo. Verrà come un bambino fra le tue braccia: non puoi avere paura di un bambino.
Ciò che vince la paura non è il coraggio, è la fame, fame di vita. Che con la paura della morte combatte una guerra infinita. Raccontata così dalle parole della Genesi: Porrò inimicizia tra il serpente e la donna, ed essa ti schiaccerà il capo.
Inimicizia tra la Donna, che porta la fame di vita, e il serpente che porta la morte. È il nome profetico dell’umanità, nome dato da Dio: la nostra stirpe è nemica del male. Adamo ed Eva lo hanno appena tradito, hanno appena ceduto al male, e Dio, in modo irragionevole, per una fiducia insensata, contro ogni evidenza, li chiama nemici e avversari del male.
Senza ingenuità, ma con totale sicurezza, la Bibbia annuncia: nonostante tutto, vincerà la stirpe dei nati da donna.
Io sarò colpito, avrò molte volte paura, qualche volta cadrò, ma non sarò mai amico del male, mai amico della violenza e della menzogna, mai amico dell’odio e della cattiveria.
Tu le insidierai il calcagno, lei ti schiaccerà la testa. Il male può ferire l’umanità, ma può solo ferirla, e non sopraffarla.
È in basso, è inferiore, non sale fino al centro dell’uomo. Il cuore delle creature è buono.
Il serpente è dietro, è un passato che talvolta ritorna e fa tanto male, ma non è davanti a te, non è il futuro che ti attende.
La donna e l’uomo hanno un anticipo, un vantaggio sul male. Questo ritardo del male, per grazia, sarà un ritardo eterno.
Essa ti schiaccerà la testa: il male non vincerà. La rabbia, la corruzione, il veleno possono aggredire la speranza, ma il disumano non vincerà sull’umano.
Adamo ed Eva escono dal paradiso terrestre portando con sé una benedizione, un annuncio di vittoria: il bene è più forte del male, più antico, più profondo, più originale del peccato originale.
In ogni persona c’è un posto dove solo Dio abita, dove il male non può arrivare, dove Dio si è riservato un posto e solo lui vi ha preso casa. In noi c’è una parte che è rimasta pura, bella, sana, divina, dove nessun male può arrivare: in cielo c’è una stella per ciascuno di noi, sufficientemente lontana perché i nostri errori non possano mai offuscarla (Bobin).
In noi c’è un pezzetto di Dio sufficientemente luminoso perché il peccato non possa mai oscurarlo.
Quello è il luogo della Immacolata Concezione. Un punto preservato dal male, in ognuno. Ciò che è accaduto in Maria non è esclusivo, accade in ciascuno. Come lei tu hai radice santa, sei una persona cui arrivano angeli, sei gravido di Dio, incinto di luce, stai accanto alle infinite croci, sei sollevato continuamente verso l’alto…
La prima parola dell’angelo a Maria, la prima della nuova storia, è ‘rallegrati’. Non un qualsiasi saluto, ave o salve, un ciao, è invece un imperativo: kaire, gioisci, sii felice.
L’angelo non dice: prega, inginocchiati, fai questo o quello.
Ma semplicemente: apriti alla gioia, come una porta si spalanca al sole.
Sussurra l’angelo alla ragazza: vedrai, credere è una festa.
“Sii felice Maria, Dio si è chinato su di te, ti stringe in un abbraccio; si è innamorato di te, si è dato a te e ti ha riempita di luce. Ora hai un nome nuovo: amata per sempre”. Teneramente, liberamente, senza rimpianti amata. Si capisce che Maria sia senza parole.
Quel suo nome è anche il nostro nome: buoni e meno buoni, tutti amati per sempre. Piccoli o grandi, tutti riempiti di cielo.
Maria non è piena di grazia perché ha risposto ‘sì’ a Dio, ma perché Dio per primo le ha detto ‘sì’.
E dice ‘sì’ a ciascuno di noi, prima di qualsiasi risposta.
Che io sia amato dipende da Dio, non dipende da me.
Ognuno pieno di grazia, tutti amati come siamo, per quello che siamo. Perché la grazia sia grazia e non merito o calcolo.
Santa Maria è colmata di grazia non perché senza peccato, ma perché Dio è venuto, ha bussato e lei ha aperto. Così noi: ridiventiamo santi ogni volta che apriamo la porta a quel Dio che sta alla porta e bussa, se gli apriamo entrerà portando amore. È solo l’amore di Dio che rende santi.
L’angelo continua: il Signore è con te. Il nome bello di Dio: Io-sono-con-te: ‘dovunque tu andrai, in tutti i passi che farai, quando cadrai e ti farai male, quando ti rialzerai e sorriderai di nuovo, io sarò con te”.
È con te Colui che non manda via nessuno, Colui che mai abbandona, Colui che prova gioia a starti vicino. È con te, vicino come il cuore, vicino come il respiro. E non ti mollerà, mai. Con te, tutti i giorni fino al consumarsi del mondo.
E tu concepirai e darai alla luce. Dio cerca madri, ancora. Ha sempre da nascere, ha sempre da venire al mondo. Tocca a noi aiutare Dio a essere vivo nel nostro mondo, a incarnarsi nella nostra storia. Dio vivrà in questi paesi distratti, in queste case inospitali, solo se noi gli daremo tempo e cuore.
Rispondendo come ha fatto santa Maria: ‘eccomi, sono la serva del Signore’. La parola che cambia il mondo
‘Serva del Signore’ non significa la badante, la servetta, la sguattera, la cenerentola. Nella Bibbia, il ‘servo del re’ è il secondo dopo il re; e la regina è detta la ‘serva del re’, la più vicina al sovrano, la prima della casa.
Tu sei il Dio dell’alleanza e io sarò la tua alleata il tuo progetto sarà il mio, la tua storia la mia storia, il tuo sogno sarà il mio sogno.
Anche il nostro “eccomi!” può cambiare la storia, il mio “sì”,
vivrò secondo il mio nome vero: amato per sempre e nemico del male.
Eccomi, sarò, come tu hai detto, amico della vita e amato per sempre!
Sono la Serva del Signore, l’alleata del Dio dell’alleanza
Oggi sei tu l’alleata, Maria; ieri Mosè, oggi tu.
Ieri Abramo e Giacobbe, oggi tu
Tu lo concepirai nel grembo, e sarai più grande di Mosè,
Tu lo darai alla luce, e sarai più grande di Eva.
Come te, anch’io dico “sì”; come te, alleato del Dio dell’alleanza.
Preghiera di p. Giovanni Vannucci
A tutti i frammenti di Maria,
a tutti gli atomi di Maria
sparsi nel mondo e che hanno nome donna,
rivolgiamo oggi il saluto dell’angelo:
Ave o donna, rallegrati, sii felice
che tu sia piena di grazia,
che con te sia lo Spirito Santo,
che benedetto e benefico sia agli umani
il frutto del tuo grembo e dell’intera tua vita.
Che tu possa pacificare la terra,
conciliare i fratelli nemici,
cancellare Caino, far risorgere Abele,
ricondurre tutta la terra al Padre,
nell’amore del Figlio,
nella grazia dello Spirito. Amen
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Il sogno di Dio è che nessuno sia solo, senza sicurezza
XXVII Dom. – T.O. – Anno B 2018
Vangelo – Marco 10, 2-16
In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio» (…).
Alcuni farisei si avvicinarono a Gesù per metterlo alla prova: «è lecito a un marito ripudiare la moglie?». Chiaro che sì, è pacifico, non solo la tradizione religiosa, ma la stessa Parola di Dio lo legittimava.
Gesù invece prende le distanze dalla legge biblica: «per la durezza del vostro cuore Mosè scrisse per voi questa norma». Gesù afferma una cosa enorme: non tutta la legge, che noi diciamo di Dio, ha origine divina, talvolta essa è il riflesso di un cuore duro. Qualcosa vale più della lettera scritta.
Simone Weil lo dice in modo luminoso: «Mettere la legge prima della persona è l’essenza della bestemmia». E per questo Gesù, infedele alla lettera per essere fedele allo spirito, ci «insegna ad usare la nostra libertà per custodire il fuoco e non per adorare la cenere!» (G. Mahler). La Bibbia non è un feticcio, vuole intelligenza e cuore.
Gesù non intende redigere altre norme, piantare nuovi paletti. Non vuole regolamentare meglio la vita, ma ispirarla, accenderla, rinnovarla. E allora ci prende per mano e ci accompagna dentro il sogno di Dio, sogno sorgivo, originario, a guardare la vita non dal punto di vista degli uomini, ma del Dio della creazione. Dio non legifera, crea: «dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina, per questo l’uomo lascerà il padre e la madre, si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola». Il sogno di Dio è che nessuno sia solo, nessuno senza sicurezza, più che di padre, senza tenerezza, più che di madre. Gesù ci porta a respirare l’aria degli inizi: l’uomo non separi quello che Dio ha congiunto. Il nome di Dio è dal principio “colui-che-congiunge”, la sua opera è creare comunione.
La risposta di Gesù provoca la reazione non dei farisei, ma dei discepoli che trovano incomprensibile questo linguaggio e lo interrogano di nuovo sullo stesso argomento. «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei». Gesù risponde con un’altra presa di distanza dalla legislazione giudaica: «E se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Nella legge non c’era parità di diritti; alla donna, la parte più debole, non era riconosciuta la possibilità di ripudiare il marito. E Gesù, come al suo solito, si schiera dalla parte dei più deboli, e innalza la donna a uguale dignità, senza distinzioni di genere. Perché l’adulterio sta nel cuore, e il cuore è uguale per tutti. Il peccato vero più che nel trasgredire una norma, consiste nel trasgredire il sogno di Dio. Se non ti impegni a fondo, se non ricuci e ricongiungi, se il tuo amore è duro e aggressivo invece che dolce e umile, tu stai ripudiando il sogno di Dio, sei già adultero nel cuore.
(Letture: Genesi 2,18-24; Salmo 127; Ebrei 2, 9-11; Marco 10, 2-16)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/il-sogno-di-dio-e-che-nessuno-sia-solo-senza-sicurezza
L’uomo non divida ciò che Dio ha congiunto.
+ Dal Vangelo secondo Marco 10,1-12
In quel tempo, Gesù, partito da Cafarnao, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare. Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
ALCUNI LIBRI DI PIER ANGELO PIAI
GUARIRE LA MENTE PER GUARIRE IL CORPO: http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
LA SPIRALE DELLA VITA (riedizione) : http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
L’ANIMA ESISTE ED È IMMORTALE ed. Segno http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
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FIAMMA D’AMORE DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
CONCETTA BERTOLI – La donna che vide la terza guerra mondiale http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
IL RESPIRO DELL’ANIMA INNAMORATA http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
MARCELLO TOMADINI il pittore fotografo dei lager https://www.edizionisegno.it/libro.as…
DIARIO DI UN PELLEGRINO CARNICO https://www.edizionisegno.it/libro.as…
GESÙ CHIEDE TOTALE FIDUCIA IN LUI (nel “Colloquio interiore” di suor Maria della Trinità) https://www.edizionisegno.it/libro.as…
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(p.Ermes Ronchi)
XX domenica A Matteo 15,21-28
La donna delle briciole
La donna delle briciole, questa madre straniera, intelligente e indomita, che non si arrende ai silenzi e alle risposte brusche di Gesù, è uno dei personaggi più simpatici del vangelo. E Gesù, uomo di incontri, esce trasformato dall’incontro con lei. Quello che ci cambia nella vita non sono le idee, sono gli incontri. Se noi cambiamo poco, è perché incontriamo poco e male.
Una donna di un altro paese e di un’altra religione, in un certo senso “converte” Gesù, gli fa cambiare strada, gli apre il cuore alla fame e al dolore di tutti i bambini, che siano d’Israele oppure di Tiro e Sidone, figli di Raqqa o dei barconi, di Barcellona o delle discoteche, poco importa: la morte è uguale, il dolore è lo stesso, identico l’amore delle madri.
Gesù ha una visione: sono venuto solo per le pecore perdute di Israele. La donna gliela fa cambiare: No, tu appartieni al dolore dei figli, tu sei Pastore di tutto il dolore del mondo.
La donna nel racconto parla tre volte. La sua prima parola è la più evangelica, la più antica di tutte le preghiere cristiane: Kyrie eleyson. Abbi pietà. Pietà del nostro dolore, di questa mia bimba malata.
E Gesù non le rivolse neppure una parola. Ma una madre non si arrende, segue il gruppo continuando a gridare il suo dolore e quello della sua bambina. Coinvolge anche gli apostoli, ma la risposta di Gesù è molto netta e brusca: io sono venuto solo per quelli della mia gente, della mia religione.
La donna straniera invece di adeguarsi e di farsene una ragione, si avvicina di più, si prostra a sbarrare il passo a Gesù, e grida la seconda preghiera più semplice di tutto il vangelo: aiutami.
Gesù ha una reazione ancora più ruvida: Non si toglie il pane ai figli per gettarlo ai cani. I pagani, dai giudei, erano chiamati “cani” e disprezzati come tali.
E qui arriva la risposta geniale della donna, la sua terza parola: è vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. È la svolta del racconto. Questa immagine illumina Gesù. Nel regno di Dio, non ci sono figli e no, uomini e cani. Ma solo fame e creature da saziare, e figli sono anche quelli che pregano un altro dio.
Donna, grande è la tua fede! Lei che non va al tempio, che non conosce la bibbia, che prega gli idoli di Canaan, per Gesù è donna di grande fede.
La sua grande fede sta nel credere che Dio prova dolore per il dolore di ogni bambino, che la sofferenza di un uomo conta più della sua religione.
Una donna che non conosce la fede dei catechismi, ma possiede quella delle madri che soffrono.
Che conosce Dio dal di dentro, lo sente in empatia con il suo cuore di madre, lo sente pulsare nel profondo delle sue piaghe. Lei sa che Dio è felice quando una madre, qualsiasi madre, si stringe felice la carne della sua carne, finalmente guarita.
“Grande è la tua fede!” Allora grande è ancora la fede sulla terra, dentro e fuori la Chiesa, perché grande è il numero delle madri di Tiro e Sidone, che non sanno il Credo ma sanno il cuore di Dio.
Usano un altro nome per invocare Dio, ma ne conoscono il cuore. Un cuore di madre. È con il cuore che si crede, scrive Paolo ai Romani (Rom 10,10).
Grande è ancora la fede sulla terra: le madri sanno che Dio appartiene al dolore e ai dolenti del mondo, che la sofferenza viene prima di ogni religione, di ogni razza, di ogni appartenenza. Per lui non ci sono figli e cagnolini.
Dove c’è dolore, lì c’è tutta la pietà di Dio.
Può sembrare una briciola, può sembrare poca cosa la compassione di Dio, ma le briciole di Dio sono grandi come Dio stesso.
Avvenga per te come desideri. Gesù ribalta la domanda della madre, gliela restituisce: Sei tu e il tuo desiderio che comandate. La tua fede e il tuo desiderio sono come un grembo che partorisce il miracolo.
Tutto questo diventa consolazione: perché nel giorno in cui avremo poca fede, nel giorno in cui saremo sopraffatti dal dolore, quando la sofferenza sarà così forte da impedirci perfino di pregare, quando verrà, dal fondo dell’essere, solo una parola muta «Ho paura, aiutami, sto affondando», in quel momento Dio si farà vicino come pane per i figli, come briciole per ogni cucciolo d’uomo.
E sono contento, perché so che allora non importerà più merito o demerito; Dio non conterà i miei peccati, conterà solo a una a una tutte le mie lacrime, e queste riporrà nei suoi otri misteriosi. E il giudizio ultimo sarà l’apertura di questi immensi forzieri di fede e di dolore.
Questo Dio ora si rivolge a noi, al nostro modo di abitare la terra: la terra come un’unica grande casa, con una tavola ricca di pane e ricca di figli. Dove tutti, tutti sono dei nostri.
La svolta nel racconto evangelico è tracciata dall’immagine che «anche i cuccioli sotto la tavola mangiano le briciole cadute ai loro padroni» (Mt 15, 27). La madre cananea sembra dire: non puoi fare delle briciole di miracolo, delle briciole di prodigio, per questi cani di pagani? La coscienza umile che tutti siamo uguali, e al contempo l’affermazione di essere là a cercare solo briciole, avanzi, pane perduto, è ciò che commuove Gesù.
Se noi riuscissimo ad applicare questa frase al nostro mondo, al nostro presente di vacanze e di miseria, di festa e di dolore, che morde sul ferragosto, alla fiumana di madri cananee che implorano briciole per i loro cuccioli, stritolati dal demone della fame o della malattia, del terrorismo o della violenza allora capiremmo che cos’è il Regno, la nuova terra come Dio la sogna.
Il mondo domanda a noi, discepoli di Gesù di Nazaret: Fate anche voi dei segni, fate dei piccolissimi segni, delle briciole di miracolo per noi, i cagnolini della terra. Una briciola di generosità…
Allora la terra sarà la patria grande, la casa comune, tante volte sognata e descritta dai migliori uomini del nostro tempo, una tavola ricca di pane, una corona di figli, briciole, e dei cuccioli non più affamati.
La pietà di Dio viene sempre a smuovere la nostra idea di giustizia, ci chiama a chinarci sugli ultimi, a prenderli da sotto la tavola, dalle periferie del banchetto, a tirarli su, a metterli tra i figli,
anzi a metterli come lampade sopra il lucerniere
perché anch’essi hanno occhi di luce,
perché ci sia più luce sulla tavola del pane,
più luce sul futuro del mondo.
Preghiera alla comunione
Signore, vorrei anch’io la fede della donna Cananea,
la donna delle briciole
che non si arrende, che intuisce, sotto i tuoi no,
l’impazienza di dire sì.
Vorrei la fede della madre Cananea
Lei sa che davanti a Dio
niente vale quanto la sua bambina malata,
lei viene prima di ogni credo, di ogni religione.
Lei sa che Dio è pastore di tutto il dolore del mondo.
A noi, seduti a tavole ricche di pane,
dona di fare dei piccoli segni,
delle briciole di miracolo
per i cagnolini della terra.
E tu, donna Cananea,
donna delle briciole e della grande fede,
insegnaci che non ci sono figli di Dio e cagnolini
che c’è una sola casa grande, che è di tutti.
E continua ancora indomita a intercedere
per noi, come tua figlia malati,
per noi, come tua figlia affamati.
Per noi, grati per tutte le madri come te,
che illuminano la terra,
che insegnano la fede.
Amen
Prima l’uomo, poi la sua fede.
In cima a tutti i diritti umani sta il diritto del dolore e della fame.
Il Vangelo – a cura di Ermes Ronchi
XX Domenica – Tempo Ordinario – Anno A –
agosto 2017
E Dio si arrese alla fede indomita di una madre
Matteo 15,21-28
In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.
La donna delle briciole, una madre straniera, intelligente e indomita, che non si arrende ai silenzi e alle risposte brusche di Gesù, è uno dei personaggi più simpatici del Vangelo. E Gesù, uomo di incontri, esce trasformato dall’incontro con lei.
Una donna di un altro paese e di un’altra religione, in un certo senso “converte” Gesù, gli fa cambiare mentalità, lo fa sconfinare oltre Israele, gli apre il cuore alla fame e al dolore di tutti i bambini, che siano d’Israele, di Tiro e Sidone, figli di Raqqa o dei barconi, poco importa: la fame è uguale, il dolore è lo stesso, identico l’amore delle madri. No, dice la donna a Gesù, tu non sei venuto solo per quelli di Israele, ma anche per me, tu sei Pastore di tutto il dolore del mondo.
Anche i discepoli sono coinvolti nell’assedio tenace della donna: Rispondile, così ci lascia in pace. Ma la posizione di Gesù è molto netta e brusca: io sono stato mandato solo per quelli della mia nazione, quelli della mia religione e della mia cultura.
La donna però non si arrende: aiuta me e mia figlia! Gesù replica con una parola ancora più ruvida: Non si toglie il pane ai figli per gettarlo ai cani. I pagani, dai giudei, erano chiamati “cani” e disprezzati come tali.
E qui arriva la risposta geniale della donna: è vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. È la svolta del racconto. Questa immagine illumina Gesù. Nel regno di Dio, non ci sono figli e no, uomini e cani. Ma solo fame e figli da saziare, e figli sono anche quelli che pregano un altro Dio.
Donna, grande è la tua fede! Lei che non va al tempio, che non conosce la Bibbia, che prega altri dei, per Gesù è donna di grande fede.
La sua grande fede sta nel credere che nel cuore di Dio non ci sono figli e cani, che Lui prova dolore per il dolore di ogni bambino, che la sofferenza di un uomo conta più della sua religione. Lei non conosce la fede dei catechismi, ma possiede quella delle madri che soffrono. Conosce Dio dal di dentro, lo sente all’unisono con il suo cuore di madre, lo sente pulsare nel profondo delle sue piaghe: «è con il cuore che si crede», scrive Paolo (Rm 10,10). Lei sa che Dio è felice quando una madre, qualsiasi madre, abbraccia felice la carne della sua carne, finalmente guarita.
Avvenga per te come desideri. Gesù ribalta la domanda della madre, gliela restituisce: Sei tu e il tuo desiderio che comandate. La tua fede e il tuo desiderio sono come un grembo che partorisce il miracolo.
Matura, in questo racconto, un sogno di mondo da abbracciare: la terra come un’unica grande casa, con una tavola ricca di pane e ricca di figli. E tutti, tutti sono dei nostri.
(Letture: Isaia 56,1.6-7; Salmo 66; Romani 11,13-15.29-32; Matteo 15,21-28)
DOMENICA DI PASQUA 2017
p. Ermes Ronchi
Gv 20,11-18
Buona Pasqua, fratelli sorelle amici, sconosciuti compagni di fede, a voi e a tutti quelli che portate nel cuore. Noi che celebriamo la Pasqua, siamo presi oggi dentro la potenza della risurrezione di Cristo Gesù, sospinti da lui, trascinati in alto da lui, forza ascensionale del cosmo, nella grande migrazione verso la vita.
Pasqua è questo: di fronte a chi decide di “amare e donare”, non c’è morte che tenga, non c’è tomba che chiuda, non c’è macigno che non rotoli via.
Signore, nostra vita, donaci speranza,
Signore, nostra risurrezione, donaci cuore
Signore, nostra Pasqua, donaci vita
La Pasqua è tornata, Pasqua è qui, testarda e lieve come il battito del cuore, in un vangelo dove tutto si colora di urgenza e di passione.
Urgenza del seme che si apre, del masso che rotola via, e il sepolcro vuoto e risplendente nel fresco dell’alba è come un grembo che ha partorito, come il guscio di un seme aperto.
Passione fino alle lacrime. Donna perché piangi?
Prima parola del Risorto, e non per dirle: spiegami, oppure non piangere più, smettila con il pianto. Ma per piegarsi su di lei, per abbracciarla, per stringersi a lei, e condividere e coinvolgersi.
“Diglielo perché piangi, Maria. Per un motivo grande, per il più grande dei motivi: Tu piangi per amore. Piange chi ama. Piange molto chi ama molto”. Maria, la chiama Gesù. Pronunciando il suo nome come nessuno sapeva fare. E lei si volta e il vangelo riporta questa parola: Rabbunì. Ma io credo che a Maria nel giardino è uscito dal cuore: amore, sei qui.
Perché tutte quelle lacrime non sono per un maestro che viene a mancare. Si piange così perché manca una parte della propria vita.
Le lacrime di Maddalena sono il tesoro del Risorto, Lui le raccoglie ad una ad una nel suo cuore, nei suoi archivi eterni, sono dichiarazioni d’amore.
Donna, perché piangi? Umanità, perché?
Eccolo il Dio che prova dolore per il dolore dell’uomo, del mondo che è un immenso pianto, che è tutto una collina di croci.
Ma ora Cristo si è innestato nel mondo, attraverso la croce e le ferite, ogni innesto avviene per ferita, lo sa bene la sapienza contadina. Innestato sul calvario, e la sua e nostra vita ormai una vita sola.
Donna perché? E’ lo stile inconfondibile di Gesù. Il Risorto riprende a fare ciò che ha sempre fatto, l’ha fatto nell’ultima ora del venerdì, occupandosi della paura e della speranza di un ladro giustiziato accanto a lui (oggi sarai con me…) lo fa nella prima ora di Pasqua, quando si occupa delle lacrime di Maria. E trema insieme al tremante cuore della sua amica. Ma poi innesta vita.
Gesù risorge dopo essere disceso agli inferi, diciamo nel Credo. E se risorge oggi è perché oggi è sceso negli inferi della storia, nella catacombe dei fuggiaschi, nei buchi dei dannati della terra, nei barconi che affondano.
È disceso nelle profondità della materia e della persona, nella vittima e anche nel carnefice, ed è qui, adesso come forza di risurrezione, come forza di gravità celeste, come forza di attrazione verso l’alto, verso la bontà, annuncio che i carnefici non avranno ragione delle loro vittime in eterno.
Eppure la morte sembra vincere. Il male del mondo mi fa dubitare, è troppo, è feroce, è pazzo: sembra contestare l’esistenza stessa di un Padre buono e provvidente;
terrorismo, armi sempre più potenti, milioni privati di cibo, acqua, casa, amore; il cancro, la corruzione, il nocciolo duro del cinismo e dell’indifferenza, milioni di Pilati che si lavano le mani, mi fanno dubitare; la terra avvelenata per denaro e che avvelena i figli, mi fanno dubitare. La mia vita accidentata, alle volte mi fa dubitare.
Tutto questo è certo. E tuttavia è altrettanto certo che nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo.
Dove la terra è stata spianata, osservo e vedo spuntare un filo d’erba testardo, e poi un fiore che si impunta a fiorire, ostinato, e poi un prato dal verde inestirpabile.
Vedo mucchi di macerie, eppure sulle macerie torna ad apparire un germoglio di vita, ostinata e invincibile. E anche in me.
Vedo che la bellezza rinasce ogni giorno nel mondo.
E questo perché?
Perché il Risorto è all’opera, in alto silenzio e con piccole cose.
Per la risurrezione di Cristo, io credo che
“non va perduta nessuna delle opere svolte con amore.
Non va perduta nessuna delle sincere preoccupazioni per gli altri. Non va perduto nessun atto d’amore,
non va perduta nessuna generosa fatica,
non va perduta nessuna dolorosa pazienza.
Tutto ciò circola attraverso il mondo,
circola come una forza di vita”(Ev Ga 278).
Una vita di una qualità indistruttibile. Questa è la linfa profonda che scorre nelle arterie del mondo, Dio si è innestato per ferita, nella ferita, e ci sospinge in avanti in una corrente di atti buoni, di parole buone, di gesti puliti, che hanno principio e futuro da Lui.
Il mondo ha molti tesori nascosti nei suoi vasi di creta (2 Cor 4,7).
Il mondo combatte per fiorire. Sono fioriti i prati, i glicini, le prime rose in questi giorni:
“è Dio che in essi fiorisce / si espande, dilaga / e poi torna a fiorire” (Turoldo).
Il Risorto combatte per far fiorire il mondo;
ad ogni mattino combatte per svegliarmi dal sonno del cuore.
E potranno tagliare tutti i germogli, potranno recidere tutti i fiori ma non potranno impedire alla primavera di ritornare. Io lo credo.
La Pasqua non si lascia sgomentare. Io lo credo.
La Risurrezione non si arrende, ha già penetrato la trama nascosta di questa storia. Io lo credo
Lo credo e sento che io sono nato davvero il mattino di Pasqua,
con lui che è innestato nel mio cuore, irrevocabile innesto
Pasqua è il tema più arduo e più bello di tutta la Bibbia.
Balbettiamo, come gli evangelisti, che per tentare di raccontarla, si fecero piccoli, non inventarono parole, ma presero in prestito i verbi delle nostre mattine: svegliarsi e alzarsi: si svegliò e si alzò il Signore.
Ed è così bello pensare che Pasqua, l’inaudito, è raccontata con i verbi semplici del mattino, di ognuno dei nostri mattini, quando anche noi ci svegliamo e ci alziamo. Nella nostra piccola risurrezione quotidiana.
Quel giorno, raccontato con i verbi di ogni giorno.
Pasqua è qui, adesso. Ogni giorno è quel giorno.
Perché la forza della Risurrezione non riposerà finché non abbia raggiunto l’ultimo ramo della creazione, rovesciato la pietra dell’ultima tomba(Luzi).
Allora questo è l’annuncio di Pasqua:
“ Rimane, continua, è più forte la potenza dell’amore.
Anche se non ho niente, mani inchiodate dal dolore,
rimane la potenza dell’amore.
In un luogo che non conosco, sorgente delle mie sorgenti,
cielo del mio cielo, terra profonda delle mie radici,
rimane la potenza dell’amore!”
Rimane Cristo, vivo, e questo mi fa dolce e fortissima compagnia:
io appartengo a un Dio vivo.
Sia con noi il Signore, sia in noi la forza della risurrezione,
la compagnia del risorto sulla strada di Emmaus,
la dolcezza amica del giardiniere con la Maddalena,
sia con noi l’ansia di Pietro e di Giovanni che corrono al sepolcro.
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6 luglio 2005
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