Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
III Domenica di Quaresima – Anno C – Marzo 2019
Quell’invito a cambiare rotta su ogni fronte
Vangelo – Luca 13,1-9
In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Commento di p. Ermes
Che colpa avevano i diciotto morti sotto il crollo della torre di Siloe? E quelli colpiti da un terremoto, da un atto di terrorismo, da una malattia sono forse castigati da Dio? La risposta di Gesù è netta: non è Dio che fa cadere torri o aerei, non è la mano di Dio che architetta sventure. Ricordiamo l’episodio del “cieco nato”: chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché nascesse così? Gesù allontana subito, immediatamente, questa visione: né lui, né i suoi genitori. Non è il peccato il perno della storia, l’asse attorno al quale ruota il mondo. Dio non spreca la sua eternità e potenza in castighi, lotta con noi contro ogni male, lui è mano viva che fa ripartire la vita. Infatti aggiunge: Se non vi convertirete, perirete tutti. Conversione è l’inversione di rotta della nave che, se continua così, va diritta sugli scogli.
Non serve fare la conta dei buoni e dei cattivi, bisogna riconoscere che è tutto un mondo che deve cambiare direzione: nelle relazioni, nella politica, nella economia, nella ecologia. Mai come oggi sentiamo attuale questo appello accorato di Gesù. Mai come oggi capiamo che tutto nel Creato è in stretta connessione: se ci sono milioni di poveri senza dignità né istruzione, sarà tutto il mondo ad essere deprivato del loro contributo; se la natura è avvelenata, muore anche l’umanità; l’estinzione di una specie equivale a una mutilazione di tutti.
Convertitevi alla parola compimento della legge: ” tu amerai”. Amatevi, altrimenti vi distruggerete. Il Vangelo è tutto qui. Alla gravità di queste parole fa da contrappunto la fiducia della piccola parabola del fico sterile: il padrone si è stancato, pretende frutti, farà tagliare l’albero. Invece il contadino sapiente, con il cuore nel futuro, dice: “ancora un anno di cure e gusteremo il frutto”. Ancora un anno, ancora sole, pioggia e cure perché quest’albero, che sono io, è buono e darà frutto.
Dio contadino, chino su di me, ortolano fiducioso di questo piccolo orto in cui ha seminato così tanto per tirar su così poco. Eppure continua a inviare germi vitali, sole, pioggia, fiducia. Lui crede in me prima ancora che io dica sì. Il suo scopo è lavorare per far fiorire la vita: il frutto dell’estate prossima vale più di tre anni di sterilità. E allora avvia processi, inizia percorsi, ci consegna un anticipo di fiducia. E non puoi sapere di quanta esposizione al sole di Dio avrà bisogno una creatura per giungere all’armonia e alla fioritura della sua vita. Perciò abbi fiducia, sii indulgente verso tutti, e anche verso te stesso. La primavera non si lascia sgomentare, né la Pasqua si arrende. La fiducia è una vela che sospinge la storia. E, vedrai, ciò che tarda verrà.
(Letture: Esodo 3,1-8a.13-15; Salmo 102; 1Corinzi 10,1-6. 10-12; Luca 13,1-9)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/quell-invitoa-cambiarerotta-su-ogni-fronte
V di Pasqua, Gv 15,1-8
Omelia (di p. Ermes Ronchi)
Stupendo brano di Giovanni, dove Gesù fa piazza pulita di tanto cascame di fede stantia e di pesi caricatici sulle spalle.
E ci comunica Dio attraverso lo specchio delle creature più semplici… Cristo vite, io tralcio: io e lui la stessa cosa! Stessa pianta, stessa vita, unica radice, una sola linfa. Lui in me e io in lui come figlio nella madre, madre nel figlio.
Indipendentemente da ciò che faccio o non faccio, dai miei sbagli e dalle mie virtù. Perché: Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato: siamo già puri per intervento solo suo, per la sua parola, che libera. Che ci fa liberi dalla sterilità e dal senso di colpa, resi ala leggera per poter volare al soffio dello Spirito.
E poi la meravigliosa metafora del Dio contadino, un vignaiolo profumato di sole che si prende cura, si affanna, suda intorno alla pianta della mia vita, che adopera tutta la sua intelligenza, per farmi fiorire e fruttificare.
La Bibbia è piena di viti e di vigne. Per capire ritorno alle mia casa contadina, nel Friuli sotto le colline. Fra tutti i campi, la vigna era il campo preferito di mio padre, quello in cui andava più volentieri, dove investiva più tempo e cura, quello da cui si aspettava il raccolto più importante. E credo sia così per tutti i contadini.
Narrare di vigne è narrare di un amore di preferenza da parte del nostro Dio contadino. Noi, io, tu sei il campo preferito di Dio.
“Io sono la vite, quella vera”. E mentre nei profeti e nei Salmi dell’Antico Testamento, Dio appariva come il proprietario, il contadino sapiente e operoso, il vendemmiatore, tutt’altra cosa rispetto alle viti, ora Gesù afferma qualcosa di inedito: “Io sono la vite, voi siete i tralci”. Facciamo parte della stessa pianta, siamo come scintille di quel fuoco, come una goccia di quella sorgente.
Con l’incarnazione è accaduta una cosa straordinaria: il vignaiolo si è fatto vite, il seminatore si è fatto seme, il vasaio si è fatto argilla, il Creatore si è fatto creatura.
Perché? Per passione di unirsi, per ansia di comunione.
Rimanete in me e io in voi. Non sono parole astratte, ma quelle che usa anche l’amore umano. Lo stare insieme dei due che si amano, nonostante tutte le distanze e gli inverni, e tutte le forze che ci trascinano via: tu in me, io in te.
Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto.
Potare la vite non significa amputare, significa dare forza, qualsiasi contadino lo sa.
Inaccettabile leggere la potatura come le sofferenze portate dalla vita.
Potare è rinunciare al superfluo, per concentrarsi sull’essenziale.
Potare è togliere il vecchio perché nasca il nuovo.
Potare ci fa capire che “meno è di più”. Che si costruisce bene solo sull’essenziale, non sulla ridondanza o sull’accumulo.
Gesù è quasi sempre semplice nel suo parlare e non chiede interpretazioni complicate.
Mi chiede: vai in una vigna e guarda le viti. Io vado, e quando guardo per queste colline qualche vigna abbandonata, vedo un’immagine di sofferenza, questa sì!
La vite non potata soffre, si aggroviglia su se stessa, cade dal palo, si allunga in tralci sempre più esili e arruffati, si ammala, dà pochissimi acini minuscoli e aspri, persino le foglie sbiadiscono.
La vite potata invece è rigogliosa e bella, le foglie sono grandi e di un verde brillante, sostenuta sta eretta e riesce così a non perdersi neppure un raggio di sole, che convoglia nei suoi grandi grappoli dagli acini gonfi e pieni di succo dolcissimo. Esplode di vita, è tracimante di una gioia di vivere. Nessuna vite sofferente porta buon frutto.
Prima di tutto, devo essere sano io, gioioso io. La potatura è per gustare meglio la vita.
E lo dice nel versetto successivo: vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi (un Dio gioioso!). E la vostra gioia sia piena.
Tra il ceppo e i tralci della vite la comunione è data dalla linfa che sale. Questo è il tesoro che portiamo nei nostri vasi d’argilla. Un DNA divino scorre in noi.
Il Dio contadino dice a me, piccolo tralcio:
“Ho bisogno di te per una vendemmia di sole e di miele”.
Non ho bisogno di sacrifici ma di grappoli saporosi;
non di penitenza io ho bisogno, ma che tu maturi;
non di mortificazione, ma di più gusto di vivere,
da donare a grappoli, per la pienezza dell’uomo e la pienezza di Dio.
C’è un amore che ascende lungo i ceppi di tutte le viti del mondo, l’ho visto aprire esistenze che sembravano finite, far ripartire famiglie che sembravano distrutte. E perfino le mie spine ha fatto rifiorire. Dobbiamo salvare il cromosoma di Dio in noi.
“Per portare frutto!” ripetuto tre volte.
A partire da me, ma non per me: la vite non produce grappoli per se stessa, nessun albero fa e consuma i propri frutti, essi sono per la creazione, per le creature tutte della terra e dell’aria.
Se una pianta vivesse per se stessa, con il solo scopo di riprodursi, basterebbe un frutto ogni dieci anni, ogni 20 anni, invece ad ogni estate è uno spreco, uno scialo, un eccesso, una gioia, per uomini e animali
Ma qual è il frutto che io devo portare?
Se la mia radice è Dio, io devo fare i frutti di Dio.
Allora mi immergo nella Bibbia e cerco le sue azioni,
mi immergo nel mondo e cerco le mani di Dio,
mi chino sulla Bibbia e scopro che Dio è il liberatore,
il costruttore di alleanze, il guaritore, la tenerezza.
Allora mi chinerò sul mondo e anch’io farò alleanza con tutto ciò che vive. Il mio frutto saranno relazioni solari e benedicenti con tutti!
Un’altra parola centrale: “Rimanete in me, rimanete nel mio amore”
E non è difficile!
Non è qualcosa che devo conquistare. Siamo già nel suo amore! Devo solo aprirmi. C’è un amore che scorre già in noi, che ci ha raggiunto, ci avvolge, bussa alla porta, penetra, e non verrà mai meno, una sorgente a cui possiamo sempre attingere. Il nostro compito è mantenere aperto e libero il canale.
Il nome nuovo, il nome vero della morale evangelica non è sacrificio ma fecondità, non rinuncia ma centuplo: una terra che non maturi più grappoli rossi di sangue e amari di lacrime. Ma che produca una vendemmia di giustizia e di pace, la rivoluzione della tenerezza, un vino di gioia.
Sento la tua voce che suona in mezzo all’anima,
voce che rende spazioso il cuore e che mi dice:
“Ho bisogno di te, di te piccolo tralcio,
ho bisogno che tu mi accolga e che tu fiorisca,
ho bisogno anche di un grappolo solo
ma che sia pieno di sole e di bontà,
ho bisogno di te, piccolo tralcio,
piantato come un giardino amato
nel cuore della terra perché di un vino migliore
anche tu possa dissetare l’arsura del mondo e l’arsura di Dio. Amen.
V di Quaresima Gv 12,20-33
p. Ermes Ronchi
Vogliamo vedere Gesù.
Grande domanda dei cercatori di sempre, domanda che è mia. Ed è per questa stessa domanda che anche noi siamo qui, stamattina.
Risposta sorprendente. Invece di dire: venite e vedete, come altre volte ha fatto, Gesù risponde per immagini, che chiedono occhi profondi.
La prima: se volete vedere me, guardate il chicco di grano.
E la seconda: “se volete vedere/capire davvero guardate la croce”, quando sarò innalzato attirerò tutti a me…
Il chicco di grano e la croce, due immagini per sintesi umile e vitale di Gesù.
Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
Una frase difficile, e perfino pericolosa se capita male. perché può legittimare una visione doloristica e infelice della religione. Ma leggiamola con attenzione. Dove cade l’accento del discorso? Qual è il verbo principale della frase?
Noi siamo colpiti subito, suscita emozione immediata, l’espressione: se non muore, se muore. Il velo della morte pare oscurare tutto il resto, ma è la distorsione di una lettura solo emotiva.
E invece No. Il verbo principale verso cui tutto converge è: produce, porta molto frutto. “Se il chicco non muore” è una frase subordinata, con le condizioni perché lo scopo principale si realizzi, il chicco possa produrre molto frutto. L’accento non è sulla morte, ma sulla vita.
Gloria di Dio non è il morire del chicco, ma il molto frutto.
Al centro del brano è posta una promessa di fecondità.
Osserviamo un granello di frumento, un qualsiasi seme: sembra un guscio secco, spento e inerte, in realtà è una piccola bomba di vita. Caduto in terra, il seme non marcisce e non muore, altrimenti non succede niente, sono metafore temporanee, allusive.
Se guardi dentro il chicco, il cuore è costituito dal germe, il nucleo intimo e vivo da cui germoglia la spiga. Tutto ciò che è attorno al germe serve come suo nutrimento.
Nella terra non sopraggiunge la morte del seme, ma un lavorio infaticabile e meraviglioso, che è una donazione continua, ininterrotta: la terra dona i suoi elementi minerali preziosi, il chicco dona al germe il suo nutrimento, come una madre offre al bimbo il suo seno. E quando il chicco ha dato tutto, il germe si lancia verso il basso con le radici e poi verso l’alto con la punta fragile e potentissima delle sue foglioline.
Allora sì che il chicco muore, ma nel senso che la vita non gli è tolta, ma trasformata in una forma di vita più evoluta e potente.
Non sono due cose diverse il chicco e il germe. Sono la stessa cosa.
Tutto insieme, chicco e germe, si trasformano in più vita, in molto frutto, per un processo di donazione!
Quello che il bruco chiama fine del mondo tutti gli altri chiamano farfalla.
Il bruco muore alla vita di prima, ma vive in una forma più alta; è sempre lui, ma non striscia più, vola.
Continua Gesù con ancora parole difficili:
chi ama la propria vita la perde
e chi odia la propria vita in questo mondo,
la conserverà per la vita eterna.
Nella mentalità ebraica parlare di odio/amore ha il significato di preferire o meno. E si traduce così:
Chi ama la vita, cioè chi pensa solo a se stesso, chi preferisce l’interesse personale a tutto il resto…, essere così attaccati al proprio interesse è distruggersi, viene il momento in cui Narciso si toglie da sé la vita, niente più lo soddisfa.
Chi odia la proprio vita, la conserverà. Significa: chi guarda al di fuori di sé, chi dice “prima vieni tu e dopo io”, come fa ogni innamorato: preferisco che viva tu. Come fa il chicco con il germe. Chi si spende per un sogno di bene comune,
La conserva, Per la vita eterna. E qui vediamo che la vita eterna è già iniziata, già data, da conservare, non un premio al futuro, ma una possibilità presente.
Chi vive così, come fa il chicco di frumento, ha in sé una qualità della vita capace di non morire, di superare la morte, di moltiplicare la vita attorno a sé, fa cose che meritano di non morire, ha in sé una vita indistruttibile, la vita risorta.
Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato agli altri.
Sulle colonne dell’avere alla fine troveremo solo ciò che abbiamo perduto per amore di qualcuno.
La seconda immagine dell’auto-presentazione di Gesù è la croce: quando sarò innalzato attirerò tutti a me.
Germoglio di vita che si innalza sul campo della morte. Io sono cristiano per attrazione, lo siamo tutti. Il cristianesimo ha al suo centro non quello che io faccio per Dio, ma quello che Dio fa per me.
Io non sono cristiano perché amo Dio,
ma perché credo che Dio mi ama!
C’è una bella notizia da passarci, tanti uomini e tante donne del nostro tempo hanno il desiderio di vedere Gesù, non sempre frequentano chiese e parrocchie, eppure sono affascinati da qualcosa che Gesù sa dare e nessun altro è in grado di dare. E noi dovremmo gioire di una buona notizia: Attirerò tutti a me: dalla croce erompe una forza di attrazione universale, una forza di gravità celeste.
Con che cosa mi attira il Crocifisso? con i miracoli? Non c’è nessun miracolo sul calvario…con il dolore di un corpo piagato?
Ho ricevuto via wattshapp una bellissima vignetta: una persona sul calvario chiede al crocifisso: “ma se Dio è onnipotente, controlla tutto e comanda tutti, tu che ci fai lì?”
E il crocifisso risponde: “hai sbagliato Dio, il mio ama da morire..”.
Ecco con che cosa mi attira: con la bellezza dell’amore, la grande bellezza.
La regola, la norma di ogni bellezza è l’amore.
La verità e la bellezza apparse in quel Crocifisso
rivelano che bello è chi ama
bellissimo è chi, uomo o Dio, ama fino all’estremo!
Sulla croce l’arte divina di amare si offre alla contemplazione cosmica.
“A un Dio umile non ci si abitua mai” (papa Francesco), a questo Dio capovolto che scompiglia le nostre immagini ancestrali, tutti i punti di riferimento con un chicco e una croce, l’umile seme e l’estremo abbassamento, non ci si abitua mai:
Dio ama racchiudere
il grande nel piccolo:
l’universo nell’atomo
l’albero nel seme
l’uomo nell’embrione
la farfalla nel bruco
l’eternità nell’attimo
l’amore in un cuore
sé stesso in noi.
Alla comunione
Quando in questi giorni di primavera
Fissi il cielo nero
e senti come tutto viaggia eternamente
Quando compi un dovere che non nuoce
Anzi aiuta e dà gioia
Quando accarezzi
Una persona addormentata
Quando coltivi un orto
e sogni di regalare i suoi frutti
Ecco in quella piccolezza
Che ci costa fatica consiste il sogno di Dio
E il suo invito a sognarla con lui.
Non offendere la vita piccola.
Coltiva la speranza
Di una umanità più umana
(Luigi Verdi)
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
La vita come un chicco di grano
V Domenica di Quaresima – Anno B – 2018
In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori […].
Vogliamo vedere Gesù. Grande domanda dei cercatori di sempre, domanda che è mia. La risposta di Gesù dona occhi profondi: se volete capire me, guardate il chicco di grano; se volete vedermi, guardate la croce. Il chicco di grano e la croce, sintesi umile e vitale di Gesù. Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Una frase difficile e anche pericolosa se capita male, perché può legittimare una visione doloristica e infelice della religione.
Un verbo balza subito in evidenza per la sua presa emotiva: se non muore, se muore. E pare oscurare tutto il resto, ma è il miraggio ingannevole di una lettura superficiale. Lo scopo verso cui la frase converge è “produrre”: il chicco produce molto frutto. L’accento non è sulla morte, ma sulla vita. Gloria di Dio non è il morire, ma il molto frutto buono.
Osserviamo un granello di frumento, un qualsiasi seme: sembra un guscio secco, spento e inerte, in realtà è una piccola bomba di vita. Caduto in terra, il seme non marcisce e non muore, sono metafore allusive. Nella terra non sopraggiunge la morte del seme, ma un lavorio infaticabile e meraviglioso, è il dono di sé: il chicco offre al germe (ma seme e germe non sono due cose diverse, sono la stessa cosa) il suo nutrimento, come una madre offre al bimbo il suo seno. E quando il chicco ha dato tutto, il germe si lancia verso il basso con le radici e poi verso l’alto con la punta fragile e potentissima delle sue foglioline. Allora sì che il chicco muore, ma nel senso che la vita non gli è tolta ma trasformata in una forma di vita più evoluta e potente.
La seconda immagine dell’auto-presentazione di Gesù è la croce: quando sarò innalzato attirerò tutti a me. Io sono cristiano per attrazione, dalla croce erompe una forza di attrazione universale, una forza di gravità celeste: lì è l’immagine più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso.
Con che cosa mi attira il Crocifisso? Con i miracoli? Con lo splendore di un corpo piagato? Mi attira con la più grande bellezza, quella dell’amore. Ogni gesto d’amore è sempre bello: bello è chi ami e ti ama, bellissimo è chi, uomo o Dio, ti ama fino all’estremo. Sulla croce l’arte divina di amare si offre alla contemplazione cosmica. «A un Dio umile non ci si abitua mai» (papa Francesco), a questo Dio capovolto che scompiglia le nostre immagini ancestrali, tutti i punti di riferimento con un chicco e una croce, l’umile seme e l’estremo abbassamento:
Dio ama racchiudere / il grande nel piccolo: /
l’universo nell’atomo / l’albero nel seme /
l’uomo nell’embrione / la farfalla nel bruco /
l’eternità nell’attimo / l’amore in un cuore / se stesso in noi.
(Letture: Geremia 31,31-34; Salmo 50; Ebrei 5,7-9; Giovanni 12,20-33)
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