Gv 6,41-51
Tuffo nel mistero
«Ora basta, Signore!». Elia, il più grande dei profeti, vuole morire. Lui, così grande che Gesù stesso gli fu paragonato, è talmente scoraggiato, così disperato da dire: ora basta Signore, prenditi la mia vita.
La parabola di Elia è quella di ogni cristiano. Quante volte gli eventi ci fanno dire “non ce la faccio più, non serve a niente essere buoni, non cambia nulla, non vale la pena vivere il vangelo”. Troppo cammino, troppo deserto, troppo dolore.
Ma Dio interviene. Non per offrire ad Elia un cavallo bardato per divorare le distanze desolate del deserto; non per togliere fatica, ma solo un po’ di pane, un po’ d’acqua. Il quasi niente. Lo stile di Dio, che interviene con la forza delle cose quotidiane, con l’umiltà e la povertà delle cose essenziali; il pane, l’acqua, l’aria, la luce, un amico.
La nervatura del vangelo di oggi è il verbo mangiare. Mentre le religioni orientali si concentrano sul respiro, il cristianesimo ha come gesto centrale il mangiare: Dio che entra in me come Pane buono. Dio vicino a me, Dio sotto la mia pelle, che si insedia al centro della mia povertà, come un re sul trono.
I giudei si misero a mormorare contro Gesù. Ma come? Pretendi di essere il pane piovuto dal cielo? Ma sei venuto come tutti da tua madre e da tuo padre. Tu vuoi cambiarci la vita con il tuo pane? No, il Dio onnipotente dovrebbe fare ben altro: miracoli potenti, definitivi, evidenti, solari.
Ma Dio non fa spettacolo. Ed è la stessa critica che mormoriamo anche noi: che pretese ha su di me quest’uomo di duemila anni fa? Lui pensa davvero di farci vivere meglio?
Non mormorate tra voi! Non sprecare parole a discutere di Dio, puoi fare di meglio: tuffati nel suo mistero, nel suo segreto: è cibo che sazia la tua fame di vita e di felicità, ed esiste. Cerca pane vivente per la tua fame, per cambiare la qualità della vita, per darle un colore divino. Non accontentarti di altri bocconi, tu sei figlio di Dio, figlio di Re. Prepàrati allo stupore dell’inedito: un rapporto d’amore al centro del tuo essere.
Mangiare la carne e il sangue di Cristo, non si riduce però al rito della Messa. Cristo non sta solo sull’altare, del suo Spirito è piena la terra! Mangiare il pane di Dio è nutrirsi di Vangelo, respirare aria pulita, affacciarsi al sole, continuamente.
Domandiamoci allora: di cosa nutro anima e pensieri? Sto mangiando generosità, bellezza, profondità? Oppure mi nutro di intolleranza, miopia dello spirito, insensatezza del vivere, paure?
Se accogliamo pensieri degradati, questi ci fanno come loro. Se accogliamo pensieri di Vangelo e di bellezza, essi faranno come il pane fa nel nostro corpo: si nasconderanno per sparire nell’intimo, senza fare rumore. Ma ci trasformeranno in custodi di tenerezza, di gioia. E saremo pane umano per la fame del mondo.
XIX B Giovanni 6,41-51
Io sono il pane disceso dal cielo. In una sola frase Gesù raccoglie e intreccia tre immagini: pane, cielo, discendere. Potenza della scrittura creativa dei vangeli, e prima ancora del linguaggio pieno di immaginazione e di sfondamenti proprio del poeta di Nazaret.
Io sono pane, ma non come lo è un pugno di farina e di acqua passata per il fuoco: pane perché il mio lavoro è nutrire il fondo della vita.
Io sono cielo che discende sulla terra. Terra con cielo è giardino. Senza, è polvere che non ha respiro.
Nella sinagoga si alza la contestazione: ma quale pane e quale cielo! Sappiamo tutto di te e della tua famiglia…
E qui è la chiave del racconto. Gesù ha in sé un portato che è oltre. Qualcosa che vale per tutta la realtà: c’è una parte di cielo che compone la terra; un oltre che abita le cose; il nostro segreto non è in noi, è oltre noi.
Come il pane, che ha in sé la polvere del suolo e l’oro del sole, le mani del seminatore e quelle del mietitore; ha patito il duro della macina e del fuoco; è germogliato chiamato dalla spiga futura; si è nutrito di luce e ora può nutrire. Come il pane, Gesù è figlio della terra e figlio del cielo.
E aggiunge una frase bellissima: nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato. Ecco una nuova immagine di Dio: non il giudice, ma la forza di attrazione del cosmo, la forza di gravità celeste, la forza di coesione degli atomi e dei pianeti, la forza di ogni comunione.
Dentro ciascuno di noi è al lavoro una forza instancabile di attrazione divina, che chiama ad abbracciare bellezza e tenerezza. E non diventeremo mai veri, mai noi stessi, mai contenti, se non ci incamminiamo sulle strade dell’incanto per tutto ciò che chiama all’abbraccio.
Gesù dice: lasciate che il Padre attiri, che sia la comunione a parlare nel profondo, e non il male o la paura.
Allora sì che “tutti saranno istruiti da Dio”, istruiti con gesti e parole e sogni che ci attraggono e trasmettono benessere, perché sono limpidi e sani, sanno di pane e di vita.
Il pane che io darò è la mia carne data per la vita del mondo. Sempre la parola ‘vita’, martellante certezza di Gesù di avere qualcosa di unico da dare affinché possiamo vivere meglio.
Ma non dice il mio “corpo”, bensì la mia “carne”. Nel vangelo di Giovanni carne indica l’umanità originaria e fragile che è la nostra: il verbo si è fatto carne.
Vi do questa mia umanità, prendetela come misura alta e luminosa del vivere. Imparate da me, fermate l’emorragia di umanità della storia. Siate umani, perché più si è umani più si manifesta il Verbo, il germe divino che è nelle persone.
Se ci nutriamo così di vangelo e di umanità, diventeremo una bella notizia per il mondo.
Fb 18 aprile ’21
Un sogno dal sapore di pane
di p. Ermes Ronchi
Lc 24,35-48
Com’è difficile credere! Si fondono insieme dubbi ed una gioia eccessiva: troppo bello per essere vero! Non basta nemmeno il cuore che balza nel petto.
«Non sono un fantasma», dice sottovoce Gesù: non sono un’illusione, non sono un mantello di parole, pieno di vento. E sento il suo umile desiderio di essere abbracciato come un amico che torna da lontano, di essere stretto con lo slancio diretto di chi ti vuole bene.
Non si ama un fantasma, e io voglio l’amore. Io ho vita piena: guardate! Vedete! Toccate! Mangiamo insieme!
Ma come toccarlo oggi, dove vederlo?
Quando scorre l’amore. Quando tocco, con emozione e venerazione, le piaghe della terra: «ecco io carezzo la vita perché profuma di Te» (Rumi).
Non alla gioia, non alla visione, non alle profezie, gli apostoli si arrendono ad una porzione di pesce arrostito, al più semplice dei segni, al più umano e primitivo bisogno. Signore così umile che ti avvicini a questi nostri sensi, che lamenti il tuo bisogno piccolo e concreto, perché ti possiamo toccare, per venirci più vicino possibile!
Gli apostoli, ora segnati per sempre, lo daranno come prova: abbiamo mangiato con lui dopo la sua risurrezione (At 10,41).
Lui è l’amico che dà sapore al pane. E mi assicura che la salvezza non sta nei miei digiuni per lui, ma nel suo mangiare con me pane e sogni.
Lo conoscevano bene Gesù, dopo tre anni di vento, pesci, villaggi, di fame di pane e di occhi negli occhi. Eppure ora non lo riconoscono, perché la Risurrezione non è semplicemente tornare alla vita di prima: è trasformazione.
Gesù è lo stesso ed è diverso, è il medesimo ed è trasformato, è quello di prima ed è altro.
Mi consola la fatica dei discepoli a credere, il loro oscillare tra paura e gioia. È la garanzia che Gesù risorto non è una loro invenzione, ma è l’evento che, spiazzandoli, li costringe ad andare avanti, dentro il tocco di Dio che entra nella carne, e la trasfigura.
E si fa pace (pace a voi!) più grande di ogni mio diritto; e si fa intelligenza che io non ho conquistato (svelò loro il senso delle scritture), perché finora avevano capito solo ciò che li confermava nelle loro idee.
Non è un mito, è parola come spada, che svela e apre la vita; pane e vino che bastano ai giorni: abita in me, mi chiama e mi sorride come nessuno.
Talvolta vive al posto mio e cose più grandi di me mi accadono: c’è bisogno di pace per cogliere il senso delle cose, e quando sentiamo il cuore in tumulto è bene fermarci, fare silenzio, non parlare.
E conclude il Vangelo: di me voi siete testimoni. Non predicatori, ma testimoni, è un’altra cosa. Con la semplicità di bambini che hanno una bella notizia da dare, e non ce la fanno a tacere, e gli fiorisce dagli occhi.
Potenza di vita che mi avvolge di pace, di perdono, di risurrezione. E tutto si fa umano, e tutto si fa vivente.
Avvenire III DOMENICA DI PASQUA Luca 24, 35-48
Stanno ancora parlando, dopo la gioiosa corsa notturna di ritorno a Gerusalemme, quando Gesù di persona apparve in mezzo a loro.
In mezzo: non sopra di loro; non davanti, affinché nessuno sia più vicino di altri. Ma in mezzo: tutti importanti allo stesso modo e lui collante delle vite.
Pace è la prima parola. La pace è qui: pace alle vostre paure, alle vostre ombre, ai pensieri che vi torturano, ai rimorsi, ai sentieri spezzati, pace anche a chi è fuggito, a Tommaso che non c’è, pace anche a Giuda…
Sconvolti e pieni di paura credevano di vedere un fantasma. Lo conoscevano bene, dopo tre anni di Galilea, di olivi, di lago, di villaggi, di occhi negli occhi, eppure non lo riconoscono. Gesù è lo stesso ed è diverso, è il medesimo ed è trasformato, è quello di prima ma non più come prima: la Risurrezione non è un semplice ritorno indietro, è andare avanti, trasformazione, pienezza. Gesù l’aveva spiegato con la parabola del chicco di grano che diventa spiga: viene sepolto come piccola semente e risorge dalla terra come spiga piena.
Mi consola la fatica dei discepoli a credere, è la garanzia che non si tratta di un evento inventato da loro, ma di un fatto che li ha spiazzati.
Allora Gesù pronuncia, per sciogliere paure e dubbi, i verbi più semplici e familiari: “Guardate, toccate, mangiamo insieme! Non sono un fantasma”. Mi colpisce il lamento di Gesù, umanissimo lamento: non sono un fiato nell’aria, un mantello di parole pieno di vento… E senti il suo desiderio di essere accolto come un amico che torna da lontano, da abbracciare con gioia. Un fantasma non lo puoi amare né stringere a te, quello che Gesù chiede. Toccatemi: da chi vuoi essere toccato? Solo da chi è amico e ti vuol bene.
Gli apostoli si arrendono ad una porzione di pesce arrostito, al più familiare dei segni, al più umano dei bisogni, ad un pesce di lago e non agli angeli, all’amicizia e non a una teofania prodigiosa.
Lo racconteranno come prova del loro incontro con il risorto: noi abbiamo mangiato con lui dopo la sua risurrezione (At 10,41). Mangiare è il segno della vita; mangiare insieme è il segno più eloquente di una comunione ritrovata; un gesto che rinsalda i legami delle vite e li fa crescere. Insieme, a nutrirsi di pane e di sogni, di intese e reciprocità.
E conclude: di me voi siete testimoni. Non predicatori, ma testimoni, è un’altra cosa. Con la semplicità di bambini che hanno una bella notizia da dare, e non ce la fanno a tacere, e gliela leggi in viso. La bella notizia è questa: Gesù è vivo, è potenza di vita, avvolge di pace, piange le nostre lacrime, ci cattura dentro il suo risorgere, ci solleva a pienezza, su ali d’aquila, nel tempo e nell’eternità.
Vuole il Signore che ci comportiamo
come un umile bambino,
che confida sempre nella madre,
in modo soave e forte insieme,
dicendo: madre gentile, madre amabile,
madre carissima
abbi pietà di me.
Mi sono sporcato, e non riesco a ripulirmi
Senza il tuo aiuto.
Le sue dolci mani graziose
Sono pronte e attente nel curarsi di noi
Lui è la gentile madre
che non ha altro da fare
se non occuparsi della salvezza del suo bambino.
(Giuliana di Norwich).
Il processo di “visualizzazione” ha sempre influenzato la psiche e spesso il nostro comportamento. Ci sono studiosi che sostengono che fissare nella mente immagini altamente positive, ricche di simmetrie, forme e colori, aiuta l’equilibrio interiore e mette in risalto la positività della vita quotidiana.
Durante l’Eucaristia noi vediamo dei semplici segni che indicano la presenza di realtà molto profonde. La nostra mente dovrebbe allenarsi a leggere questi segni attraverso un pacato ed interiore processo di visualizzazione.
La particola, ad esempio, è il pane che viene elaborato grazie all’intervento spazio-temporale dell’uomo e della natura. E così lo stesso per il vino. Gesù si offre interamente in corpo, sangue, anima e divinità in questo modo, eppure è realmente presente in tutte e due le specie. È la Trascendenza che si inabissa nell’immanenza per elevare l’uomo di buona volontà alle altezze a cui è destinato.
Questo tipo di visualizzazione ha un effetto più incisivo dopo l’assunzione della particola. Lo sguardo interiore, aiutandosi con la fede e l’immaginazione, è fisso sulla figura di Gesù, su quello che ha detto e fatto, sulla sua energia umana e divina. Allora Gesù stesso può operare meglio in noi perché trova l’ambiente più accogliente ed in questo modo trasmettere i frutti dello Spirito Santo. Egli ci fa comprendere che se compiamo la sua volontà con amore è Lui ad agire in noi, ed allora scaturisce la gioia interiore che ci aiuta ad apprezzare l’esistenza, i doni divini, a relazione col prossimo, l’operare il bene, la contemplazione di tutto ciò che esiste di bello, santo, buono. In questo modo diventiamo gradualmente “altri Cristi”, nel senso che continuiamo la sua missione nell’Amore verso il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
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di p. Ermes Ronchi
Vorrei essere uno dei cinquemila, quella sera, sul lago. Li invidio non per il miracolo dei pani, ma per la seduzione che hanno, più forte di ogni paura. Con Gesù, che ascoltano e bevono. Ascoltano e brucia loro il cuore, ascoltano e risplende la vita.
Stare con lui, quando scendono sera e notte su noi. E il lago, e il deserto, profumano di pane.
Stare con lui, e sentire che più vivo di così non sarò mai.
In quella infinita sera sul lago, due verbi opposti: comprare o dare. Comprare, dicono gli apostoli. Mentalità che è nostra: se vuoi qualcosa, lo devi pagare. Niente di scandaloso, ma diventa banale questa logica d’eterna illusione, in bilico tra dare e avere. In questo sistema chiuso, Gesù rilancia: date!
Date voi stessi da mangiare. Non già “vendete, scambiate, prestate”; ma radicalmente “date”. E sulla notte della necessità ecco spuntare l’alba della gratuità, dell’amore squilibrato e senza calcoli, del dare a fondo perduto senza aspettarsi nulla. Solo la gioia, forse.
Quante volte nel Vangelo lo si vede intento a condividere, felice, il pasto con altri, da Cana all’ultima cena, fino a Emmaus. Gesù amava così tanto mangiare insieme, che il tenerli vicini a sé è diventato il simbolo della sua vita: “quando me ne andrò, e non potrò più riunirvi e darvi il pane, e condividerlo, voi potrete unirvi e mangiare me”.
Dio ferma la fame del mondo solo quando le nostre mani imparano a donare. L’aveva detto: “Voi farete cose più grandi di me”.
E a noi, che sempre preghiamo dacci oggi il nostro pane, il Signore risponde: date voi il vostro pane.
Ecco che i cinque pani passano dalle mani di uno a quelle di tutti i cinquemila. Misteriosa e multipla regola del Regno: poco pane condiviso è sufficiente, perché solo così diventa pane di Dio. Cinque pani allora basteranno per una folla, e i pezzi rimasti riempiranno le ceste. Nulla andrà perduto. Cinque pani e due pesci: è poco, è solo una goccia nel mare, ma è quella goccia che può dare senso a tutta la vita (Madre Teresa). La fame inizia quando io tengo il mio pane per me, quando l’Occidente sazio tiene il proprio pane per sé. Fame che, allora, non finirà.
Sfamare la terra invece è un miracolo possibile se la condivisione si fa realtà. C’è pane sufficiente per tutti nel mondo, ma è diventato insufficiente per l’avidità di pochi.
Il profeta ripete: chi ha fame venga e mangi, senza denaro né spesa. Ma quale fame morde dentro di noi? Solo di pane? O fame di giustizia per noi e per tutti? Fame di avere o anche fame di dare?
Il Signore sia il nostro affamatore, e sapremo dare pane a chi ha fame e accendere fame di cose grandi in chi è sazio di solo pane. E la nostra sarà fame di un mondo nuovo, con mani di pane che conoscono il miracolo del dono.
Avvenire XVIII Matteo 14,13-21
Vangelo del pane che trabocca dalle mani, dalle ceste. Segno da custodire con particolare cura, raccontato per ben sei volte dai vangeli, carico di promesse e profezia.
Gesù vide la grande folla, sentì compassione di loro e curò i loro malati. Tre verbi rivelatori (vide, sentì, curò) che aprono finestre sui sentimenti di Gesù, sul suo mondo interiore. Vide una grande folla, il suo sguardo non scivola via sopra le persone, ma si posa sui singoli, li vede ad uno ad uno. Per lui guardare e amare sono la stessa cosa. E la prima cosa che vede alzarsi da tutta quella gente e che lo raggiunge al cuore è la loro sofferenza: e sentì compassione per loro. Gesù prova dolore per il dolore dell’uomo, è ferito dalle ferite di chi ha davanti, ed è questo che fa gli cambiare i programmi: voleva andarsene in un luogo deserto, ma ora chi detta l’agenda è il dolore dell’uomo, e Gesù si immerge nel tumulto della folla, risucchiato dal vortice della vita dolente.
Primo viene il dolore. Il più importante è chi patisce: nella carne, nello spirito, nel cuore. E dalla compassione fioriscono miracoli: guarì i loro malati. Il nostro tesoro più grande è un Dio appassionato che patisce per noi.
Il luogo è deserto, è ormai tardi, questa gente deve mangiare…i discepoli alla scuola di Gesù sono diventati sensibili e attenti, si prendono a cuore le persone. Gesù però fa di più: mostra l’immagine materna di Dio che raccoglie, nutre e alimenta ogni vita, e incalza i suoi: Voi stessi date loro… Le emozioni devono diventare comportamenti, i sentimenti maturare in gesti. Date da mangiare: “la religione non esiste solo per preparare le anime per il cielo: sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra” (Ev Ga 182). Dacci il pane noi invochiamo, donate ribatte Lui. Una religione che non si occupi anche della fame è sterile come la polvere.
Il miracolo del pane è raccontato come una questione di mani. Un moltiplicarsi di mani, più che di pane. Che passa di mano in mano: dai discepoli a Gesù, da lui ai discepoli, dai discepoli alla folla. Allora apri le tue mani. Qualunque sia il pane che tu puoi donare, non trattenerlo, apri il pugno chiuso. Imita il germoglio che si schiude, il seme che si spacca, la nuvola che sparge il suo contenuto.
Che diritto hanno i cinquemila di ricevere pane e pesce? L’unico loro titolo è la fame. E il pane di Dio, quello delle nostre eucaristie, non impoveriamolo mai all’alternativa meschina tra pane meritato o pane proibito: esso è il pane donato, con lo slancio della divina compassione. Pane gioioso e immeritato, per i cinquemila quella sera sulla riva del lago, per tutti noi sulla riva di ogni nostra notte.
Del mare e della terra faremo pane,
coltiveremo a grano la terra e i pianeti,
il pane di ogni bocca,
di ogni uomo,
ogni giorno
arriverà
perché andammo a seminarlo
e a produrlo
non per un uomo
ma per tutti,
il pane,
il pane
per tutti i popoli
e con esso
ciò che ha
forma e sapore di pane
divideremo:
la terra,
la bellezza,
l’amore,
tutto questo ha sapore di pane
( Pablo Neruda)
“Ecco ogni giorno Egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno Egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote.
E come ai santi Apostoli si si mostrò nella vera carne, così anche ora si mostra a noi nel Pane consacrato.
E come essi con gli occhi del loro corpo vedevano soltanto la carne di Lui, ma, contemplandolo con gli occhi dello spirito, credevano che Egli era lo stesso Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che questo è il suo Santissimo Corpo e Sangue vivo e vero.
E in tale maniera il Signore è sempre presente con i suoi fedeli, come Egli stesso dice: “Ecco, io sono con voi ogni giorno sino alla fine del mondo”.
san Francesco
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Siamo qui davanti a Te, o Signore, nascosto nel pane e nel vino, da Te trasformati, con la forza dello Spirito Santo, in tuo Corpo e tuo Sangue.
Ti rendiamo grazie di questa tua presenza, fatta speranza per le nostre città e per i nostri paesi, perché ritroviamo la gioia di camminare uniti e solidali. Cambia la nostra vita in uno stile di amore, vinci le nostre paure e trasforma il destino in progetto.
Fa’ di noi un solo popolo, radunato dalla tua mano di pastore, allontana le divisioni, abbatti i muri e fa’ crescere i ponti della gioia.
Fa’ che mangiando l’unico pane dell’altare, diveniamo un solo corpo in Te, spezzando in fraternità e letizia anche il pane sulle nostre tavole.
Benedici i nostri bambini, dà forza e lavoro ai giovani, serenità alle nostre case, conforto ai malati e agli anziani.
Al mondo intero dona giustizia e pace, pace per tutti, specie per chi viene da lontano, ci sia un cuore e una comunità che accoglie e condivide.
O Gesù, Pastore buono, dacci il gusto di una vita piena, che ci faccia camminare su questa terra come pellegrini, verso il traguardo della mensa celeste, dove tutti riuniti potremo cantare in eterno la tua lode.
Amen.
(di Mons. Bregantini)
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Gesú era considerato dalla folla e dai suoi discepoli un grande maestro ed un autentico profeta. Questo perché la sua predicazione era accompagnata da miracoli e da prodigi.
Le folle lo cercavano soprattutto per ottenere guarigioni e per il pane. Volevano persino farlo re. Ma non fu compreso.
Quando cominció a parlare del Regno dei Cieli e non dei regni di questo mondo, molti lo abbandonarono..
Allorchè predisse la sua morte imminente persino i discepoli piú intimi si scandalizzarono.
Quando fu preso prigioniero moltissimi pensarono ad un suo fallimento umano e la folla che Egli aveva beneficiato, di fronte a
Pilato fu addirittura a favore della sua eliminazione fisica.
I discepoli più intimi, poi lo tradirono (Giuda) o lo rinnegarono.
Sotto la croce, oltre alle pie donne ed a sua madre, c’era solo Giovanni, il discepolo amato. Gli altri si dileguarono.
Questo é l’Uomo. Il vero Uomo, colui che non ebbe paura della Veritá e che non fece compromessi con nessuno.
Colui che fu sempre coerente con se stesso, sia quando era all’apice del consenso popolare, sia quando cadde in disgrazia agli occhi del mondo per aver testimoniato la Veritá.
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Commento al Vangelo – di Ermes Ronchi – pubblicato su Avvenire
Quella porta «stretta» per aprirci all’essenziale
XXI Dom. T. O. – Anno C – agosto 2019
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. […]» (Luca 13,22-30)
Gesù è in cammino verso la città dove muoiono i profeti. Lungo la strada, un tale gli pone una domanda circa la salvezza: di Gerusalemme e di tutti. Tremore e ansia nella voce di chi chiede. E Gesù risponde con altrettanta cura: salvezza sarà, ma non sarà facile. E ricorre all’immagine della porta stretta. Un aggettivo che ci inquieta, perché «stretta» evoca per noi fatiche e difficoltà. Ma tutto il Vangelo è portatore non di dolenti, ma di belle notizie: la porta è stretta, cioè piccola, come lo sono i piccoli e i bambini e i poveri che saranno i principi del Regno di Dio; è stretta ma a misura d’uomo, di un uomo nudo ed essenziale, che ha lasciato giù tutto ciò di cui si gonfia: ruoli, portafogli gonfi, l’elenco dei meriti, i bagagli inutili, il superfluo; la porta è stretta, ma è aperta.
L’insegnamento è chiaro: fatti piccolo, e la porta si farà grande. Quando il padrone di casa chiuderà la porta, voi busserete: Signore aprici. E lui: non so di dove siete, non vi conosco. Avete false credenziali. Quelli che si accalcano per entrare si vantano di cose che contano poco: abbiamo mangiato e bevuto con te, eravamo in piazza ad ascoltarti. Ma questo può essere solo un alibi di comodo. «Quando è vera fede e quando è solo religione? Fede vera è quando fai te sulla misura di Dio; semplice religione è quando fai Dio a tua misura» (Turoldo).
Abbiamo mangiato in tua presenza… Non basta mangiare il pane che è Gesù, spezzato per noi, bisogna farsi pane, spezzato per la fame d’altri. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia. Non vi conosco. Il riconoscimento sta nella giustizia fattiva. Dio non ti riconosce per formule, riti o simboli religiosi, ma perché hai mani di giustizia. Ti riconosce non perché fai delle cose per lui, ma perché con lui e come lui fai delle cose per i piccoli e i poveri.
Non so di dove siete: il vostro modo di vedere è lontanissimo dal mio, voi venite da un mondo diverso rispetto al mio, da un altro pianeta. Infatti, quelli che bussano alla porta chiusa hanno compiuto sì azioni per Dio, ma nessun gesto di giustizia per i fratelli.
La conclusione della piccola parabola è piena di sorprese: la sala è piena, oltre quella porta Gesù immagina una festa multicolore: verranno da oriente e occidente, dal nord e dal sud del mondo e siederanno a mensa. Viene sfatata l’idea della porta stretta come porta per pochi, solo per i più bravi. Tutti possono passare, per la misericordia di Dio. Il suo sogno è far sorgere figli da ogni dove, per una offerta di felicità, per una vita in pienezza. Lui li raccoglie da tutti gli angoli del mondo, variopinti clandestini del regno, arrivati ultimi e per lui considerati primi.
(Letture: Isaia 66,18-21; Salmo 116; Ebrei 12,5-7.11-13; Luca 13,22-30)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/quella-porta-stretta-per-aprirciall-essenziale
Nessun uomo è senza peccato, eccetto Gesù – uomo e Maria Santissima.
Anche il giusto pecca sette volte al giorno, dice la Sacra Scrittura. Finché l’uomo terreno non muore non è possibile estirpare tutta la zizzania, però non dobbiamo pensare che essa sia solo inutile e completamente dannosa.
“Non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura” (Mt.13,24 – 30)
In effetti chi prende consapevolezza della propria miseria spirituale senza cadere nella disperazione si fortifica nell’umiltà.
Nel faticoso cammino spirituale il male che c’è in noi ha anche la funzione paradossale di farci progredire verso il bene se lo desideriamo.
I vizi sono spesso molto difficili da eliminare, anzi se si dovessero annullare completamente c’è il rischio di cadere nello scoraggiamento perché non siamo ancora in grado di digerire bene il pane spirituale.
(Una voce dal deserto)
ALCUNI LIBRI DI PIER ANGELO PIAI
GUARIRE LA MENTE PER GUARIRE IL CORPO: http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
LA SPIRALE DELLA VITA (riedizione) : http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
L’ANIMA ESISTE ED È IMMORTALE ed. Segno http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
“LA FORZA DELLA FRAGILITÀ” ed.Segno (In questo mio libro troverete preghiere per molti stati d’animo e situazioni personali) http://www.edizionisegno.it/libro.asp….
VERSO L’ETERNITÀ (commenti su 4 anni di messaggi della Regina della Pace) http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
LA STIMMATIZZATA DI UDINE (Storia autentica di Raffaella Lionetti, dotata di speciali carismi) http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
FIAMMA D’AMORE DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
CONCETTA BERTOLI – La donna che vide la terza guerra mondiale http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
IL RESPIRO DELL’ANIMA INNAMORATA http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
MARCELLO TOMADINI il pittore fotografo dei lager https://www.edizionisegno.it/libro.as…
DIARIO DI UN PELLEGRINO CARNICO https://www.edizionisegno.it/libro.as…
GESÙ CHIEDE TOTALE FIDUCIA IN LUI (nel “Colloquio interiore” di suor Maria della Trinità) https://www.edizionisegno.it/libro.as…
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di p. Ermes Ronchi
XXI domenica B Gv 6,61-69
Stiamo leggendo da un mese il lungo capitolo 6 di Giovanni: lo scontro di Cafarnao, che scoppia dopo il miracolo dei pani e dei pesci condivisi, il miracolo meno riuscito, verrebbe da dire, se porta con sé conflitti, crisi, l’abbandono di molti discepoli.
Ma Gesù tira dritto, non si piega ai sondaggi d’opinione, non attenua le sue posizioni, per qualche pugno di voti in più, o di discepoli in più.
Siamo alla resa dei conti all’interno del gruppo dei più fedeli. E molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui.
E spiegano: questa parola è dura. Chi può ascoltarla? Dura non perché indichi un’altra parete vertiginosa da scalare (sul tipo: amate i vostri nemici), ma perché ti chiama a pensare in grande, a volare alto, a capovolgere l’immagine di Dio: un Dio che si fa piccolo come un pezzo di pane, che ama l’umiltà del pane, e il suo silenzio e il suo scomparire… Un Dio capovolto.
E poi che ti chiama a metterti in gioco: non serve fare la comunione se non ti fai comunione; mangiare il pane senza farsi pane non giova a nulla. Questo significano le parole: è lo Spirito che da la vita, mentre la carne non giova a nulla. Il semplice gesto esteriore non serve a nulla. Fai tuo lo spirito che lo anima.
La svolta del racconto avviene attorno alle parole spiazzanti di Gesù: volete andarvene anche voi? Se ne vanno e lui non tenta di fermarli, di convincerli, non li prega: aspettate un momento, restate, vi spiego meglio.
Gesù si rivolge ai rimasti, ai dodici, a quelli del primo giorno, e lo fa con parole forti, libere: Forse volete andarvene anche voi? Gesù non impartisce ordini o lezioni: “ fate così o non fatelo”,
ma mette ciascuno davanti a una domanda, che scende dentro, come un amo da pesca, infatti la forma del punto di domanda è proprio quella di un amo da pesca, e lo cala dentro i suoi per tirar su dal profondo l’atteggiamento più vero e libero: vuoi andartene e vuoi restare? che cosa desideri davvero? Non fa appello al dovere ma all’autenticità.
Appello alla libertà ultima di ogni discepolo: siete liberi, andate o restate; io non costringo nessuno; guardate bene che cosa amate.
Come se dicesse a noi: tu che si qui adesso, a messa? Vuoi uscire, vuoi andartene? Io non dico a nessuno: devi andare in chiesa alla domenica, è solo carne che non giova a nulla… non dirò mai: devi, altrimenti qui o nell’altro mondo la pagherai…
No, Gesù, mi commuove ancora per la sua libertà, che non cede a compromessi, non prende in ostaggio nessuno, per raccattare un discepolo in più.
Dice: Io voglio vita, per te; voglio libertà, per te, voglio per te il desiderio più alto che c’è. Stelle in cuore. Camminare, correre, volare.
Meravigliosa la risposta di Pietro, tra le parole più belle del vangelo: ma da chi mai possiamo andare? Da chi vuoi che andiamo: Tu solo hai parole di vita eterna. Queste parole di Pietro sono da applausi, gli sono grato, le ripeto, le ripeteremo poi prima della comunione: da chi vuoi che vada? dove posso mai trovare tanta luce, tanta pace, desideri grandi, intensità, assoluto…invece di: non sono degno che tu entri, diremo con Pietro: in te trovo vita!
Attorno a te ricomincia la vita, tu tocchi il cuore e lo fai ripartire.
Con la tua parola, che è niente, è povera cosa, un soffio, una vibrazione nell’aria, una goccia d’inchiostro, che puoi ascoltare o rifiutare, fare tua o relegare nel repertorio delle follie.
Tu hai parole: qualcosa che non schiaccia nessuno e non si impone mai; bussa, si propone e ti lascia libero. E se l’accogli spalanca sepolcri, scioglie legami, insegna respiri, apre strade e carezze e incendi. Mette in moto la vita.
Parole che danno vita ad ogni parte di me.
Danno vita al cuore, allargano, dilatano, purificano il cuore, lo fanno grande. Un cuore spazioso mi dai. Dove c’è spazio per i miei cari, per Dio, per i fratelli e i poveracci sbarcati stanotte.
Danno vita alla mente, perché la mente vive di verità e tu sei senza inganno; la mente vive di libertà e tu sei libero come nessuno.
Danno vita allo spirito, perché tu custodisci il nostro cromosoma divino. L’assoluto in noi, l’essenziale.
Danno più vita anche al corpo, agli occhi, alle mani, all’andare e al venire. Al dono e all’abbraccio.
Parole di vita eterna, che è la vita dell’Eterno, che ora è qui a creare con noi cose che meritano di non morire. Cos’è questa cosa la vita eterna che sembra non interessare più ai cristiani d’oggi? La vita eterna non è una vita lunga, che non finisce mai, alla fine anche un po’ noiosa. La vita eterna vuol dire la vita dell’Eterno.
E tu capisci allora che è la vita del Creatore, del Liberatore, del Tutto-abbracciante. C’è dentro la pulsazione delle stelle, l’esultanza degli amanti, le grida di vittoria del popolo che attraversa il mar Rosso, c’è il volto stupefatto di tua madre quando ti ha preso in braccio la prima volta, il sorriso del povero. La vita dell’Eterno.
Ed entra in noi attraverso Gesù: Apri il vangelo e senti sapore di vita e non di morte, vita appassionata, vibrante, intensa.
Volete andarvene anche voi? Io no, io non me ne vado, Signore. Io non ti lascio, io scelgo te. Come Pietro, pronuncio anch’io la mia dichiarazione di amore:
io voglio te, voglio vivere, e tu solo hai parole che fanno viva, finalmente, la vita.
Dio non è un dovere, è un regalo.
Non è una esigenza, ma una offerta.
Non c’è niente da dare in cambio a Dio. Capite? Niente.
Dio dona tutto e non prende niente.
Non è vero che Dio ha qualcosa da chiederci, ha tanto da darci.
Una trasfusione di vita.
Dio è “prendete”, è dono, regalo, offerta, e noi abbiamo paura.
Ma che cosa tu potresti mai dare in cambio della vita dell’Eterno?
Sacrifici e rinunce? Non di certo, forse gioia e abbracci e carovane che avanzano nel sole.
Anzi è Lui felice di vedermi arrivare, che mi dice: sono contento che tu sia qui. Io posso solo accoglierlo stupito. Prima che io dica: “ho fame di vita”, ha detto: “Prendete e mangiate”.
Mi ha atteso e si dona.
Non è vero che Dio ha qualcosa da chiederci, ha tanto da darci.
Preghiera alla comunione
Signore, da chi mai possiamo andare?
Se oggi siamo qui, a parlarti, significa che non ce ne siamo andati,
perché vicino a te si risveglia la vita
tu hai parole sincere e libere come nessuno,
parole che fanno pulito il cuore, che sanno di eternità.
Da chi vuoi che andiamo? Lontano da te si scolorano i sogni.
Io non me ne vado. Io no, Signore.
Io non ti lascio, io scelgo te.
Come Pietro, pronuncio anch’io la mia dichiarazione di amore:
io voglio te, perché voglio vivere,
e tu solo hai parole che fanno viva, finalmente, la vita.
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Non discutere di Dio, tuffati nel suo mistero
XIX Domenica – Tempo ordinario – Anno B
Vangelo – Giovanni 6,41-51
In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo […]».
Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Potenza del linguaggio di Gesù, il suo mistero e la sua storia espressi non con ragionamenti ma per immagini: pane, vivo, discesa, cielo. Quattro parole e quattro metafore, ciascuna generativa, in quanto ricca di movimento, di esperienza, di sapore e di orizzonti. Non spiegano il mistero, ma lo fanno vibrare nella tua vita, mistero gioioso da godere e da assaporare. Il pane di cui parlano non è quel pugno di acqua e di farina passata per la macina e il fuoco, contiene molto di più: è il simbolo di tutto ciò che è buono per te e ti mantiene in vita.
I giudei si misero a mormorare contro Gesù. Ma come? Pretendi di essere il pane piovuto dal cielo? Ma sei venuto come tutti da tua madre e da tuo padre. Tu vuoi cambiarci la vita? E facendo quello che fa il pane con il nostro corpo, che si nasconde e scompare nell’intimo, e non fa rumore. No, il Dio onnipotente dovrebbe fare ben altro: miracoli potenti, definitivi, evidenti, solari. Ma Dio non fa spettacolo. In fondo è la stessa critica che mormoriamo anche noi: che pretese ha sulla mia vita quest’uomo di duemila anni fa? Lui pensa davvero di farci vivere meglio?
Non mormorate tra voi… Non sprecare parole a discutere di Dio, puoi fare di meglio: tuffati nel suo mistero. Pane che discende dal cielo. Nota: discende, per mille strade, in cento modi, come il pane nel corpo; discende verso di me, adesso, in questo momento, e continuamente. Io posso scegliere di non prenderlo come cibo, lo posso anche relegare nel repertorio delle fantasie, ma lui discende instancabilmente, mi avvolge di forze buone. Io sono immerso in lui e lui è immerso in me, e nutre la mia parte più bella.
Non mormorate, mangiate. Il brano del Vangelo di oggi si articola attorno al verbo mangiare. Un gesto così semplice e quotidiano, eppure così vitale e potente, che Gesù l’ha scelto come simbolo dell’incontro con Dio; ha raccontato la frontiera avanzata del Regno dei cieli con le parabole del banchetto, della convivialità. Il Pane che discende dal cielo è l’autopresentazione di Dio come una questione vitale per l’uomo. Il pane che mangi ti fa vivere, e allora vivi di Dio e mangia la sua vita, sogna i suoi sogni, preferisci quelli che lui preferiva. Bocconi di cielo.
Sorge una domanda: di cosa nutro anima e pensieri? Sto mangiando generosità, bellezza, profondità? Oppure mi nutro di egoismo, intolleranza, miopia dello spirito, insensatezza del vivere, paure? Se accogliamo pensieri degradati, questi ci fanno come loro. Se accogliamo pensieri di Vangelo e di bellezza, questi ci trasformeranno in custodi della bellezza e della tenerezza, il pane che salverà il mondo.
(Letture: 1 Re 19,4-8; Salmo 33; Efesini 4,30-5,2; Giovanni 6,41-51)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/non-discutere-di-dio-tuffati-nel-suo-mistero
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Quel Pane che alimenta l’esistenza senza fine
XVIII Dom. T. O, anno B – 2018
Vangelo – Giovanni 6,24-35
In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».
Commento di fra Ermes Ronchi
Chiedono a Gesù: che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio? Grande domanda. Compiere le opere di Dio è ben altro che osservare i suoi comandamenti.
Opera di Dio è la creazione, opera sua è la liberazione del popolo dalla schiavitù e poi la meravigliosa volontà di costruire, nonostante tutte le delusioni, una storia di alleanza. Compiere l’opera di Dio è parteciparvi, essere in qualche modo capaci di creare, inventori di strade che conducano a libertà e a legami buoni di alleanza con tutto ciò che vive. Una regola fondamentale per interpretare la Bibbia dice: ogni indicativo divino diventa un imperativo umano. Vale a dire che tutto ciò che è descrittivo di Dio diventa prescrittivo per l’uomo. Una proposizione riassume questa regola di fondo: «Siate santi perché io sono santo».
Il fondamento dell’etica biblica è posto nel fare ciò che Dio fa, nell’agire come agisce Dio, comportarsi come Lui si è comportato, come Gesù ha mostrato.
Infatti: Questa è l’opera di Dio, credere in colui che egli ha mandato.
Al cuore della fede sta la tenace, dolcissima fiducia che Dio è Gesù, uno che sa soltanto amare, guaritore del disamore del mondo. Nessun aspetto minaccioso, ma solo le due ali aperte di una chioccia che protegge e custodisce i suoi pulcini (Lc 13,34), con tenerezza combattiva.
Quale segno fai perché vediamo e possiamo crederti? La risposta di Gesù: Io sono il Pane della vita. Nutrire la vita è l’opera di Dio. Offrire bocconi di vita ai morsi dell’umana fame. Pane di cielo cerca l’uomo: vuole addentare la vita, goderla e gioirne in comunione, saziarsi d’amore, ubriacarsi del vino di Dio, che ha il profumo stordente della felicità.
Io sono il Pane della vita, il pane che alimenta la vita. L’uomo nasce affamato e il pane della vita sazia la fame, ma poi la riaccende di nuovo e sveglia in noi «il morso del più» (L. Ciotti), un desiderio di più vita che morde dentro e chiama, una fame di più libertà e più creatività e più alleanza.
Come un tempo ha dato la manna ai padri vostri nel deserto, così oggi ancora Dio dà. Due parole semplicissime eppure chiave di volta della rivelazione biblica:
Dio non domanda, Dio dà.
Dio non pretende, Dio offre.
Dio non esige nulla, dona tutto.
Ma Dio non dà cose, Egli non può dare nulla di meno di se stesso. Ma dandoci se stesso ci dà tutto. Siamo davanti a uno dei vertici del Vangelo, a uno dei nomi più belli di Dio: Egli è nella vita datore di vita. Dalle sue mani la vita fluisce illimitata e inarrestabile. E ci chiama ad essere come Lui, nella vita datori di vita. L’opera di Dio è una calda corrente d’amore che entra e fa fiorire le radici del cuore.
(Letture: Esodo 16,2-4.12-15; Salmo 77; Efesini 4,17.20-24; Giovanni 6,24-35)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/quel-pane-che-alimenta-l-esistenza-senza-fine
Commento al Vangelo domenica 5 agosto – fra Ermes – Quel Pane che alimenta l’esistenza senza fine
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
La legge della generosità: il pane condiviso non finisce
XVII Domenica – Tempo ordinario – Anno B – 2018
In quel tempo, Gesù (…) salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». (…) Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato (….).
E Gesù esulta: Fateli sedere! Adesso sì che è possibile cominciare ad affrontare la fame! Come avvengano certi miracoli non lo sapremo mai. Ci sono e basta!
C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci… Ma che cos’è questo per tanta gente? Quel ragazzo ha capito tutto, nessuno gli chiede nulla e lui mette tutto a disposizione: la prima soluzione davanti alla fame dei cinquemila, quella sera sul lago e sempre, è condividere. E allora: io comincio da me, metto la mia parte, per quanto poco sia. E Gesù, non appena gli riferiscono la poesia e il coraggio di questo ragazzo, esulta: Fateli sedere! Adesso sì che è possibile cominciare ad affrontare la fame. Come avvengano certi miracoli non lo sapremo mai. Ci sono e basta. Ci sono, quando a vincere è la legge della generosità. Poco pane condiviso tra tutti è misteriosamente sufficiente; quando invece io tengo stretto il mio pane per me, comincia la fame.
«Nel mondo c’è pane sufficiente per la fame di tutti, ma insufficiente per l’avidità di pochi» (Gandhi).
Il Vangelo neppure parla di moltiplicazione ma di distribuzione, di un pane che non finisce. E mentre lo distribuivano, il pane non veniva a mancare; e mentre passava di mano in mano restava in ogni mano.
Gesù non è venuto a portare la soluzione dei problemi dell’umanità, ma a indicare la direzione. Il cristiano è chiamato a fornire al mondo lievito più che pane (Miguel de Unamuno): a fornire ideali, motivazioni per agire, il sogno che un altro mondo è possibile. Alla tavola dell’umanità il vangelo non assicura maggiori beni economici, ma un lievito di generosità e di condivisione, profezia di giustizia. Non intende realizzare una moltiplicazione di beni materiali, ma dare un senso, una direzione a quei beni, perché diventino sacramenti vitali.
Gesù prese i pani e dopo aver reso grazie li diede a quelli che erano seduti.
Tre verbi benedetti: prendere, rendere grazie, donare. Noi non siamo i padroni delle cose. Se ci consideriamo tali, profaniamo le cose: l’aria, l’acqua, la terra, il pane, tutto quello che incontriamo, non è nostro, è vita che viene in dono da altrove, da prima di noi e va oltre noi. Chiede cura e attenzione, come per il pane del miracolo («raccogliete i pezzi avanzati perché nulla vada perduto…e riempirono dodici canestri»), le cose hanno una sacralità, c’è una santità perfino nella materia, perfino nelle briciole della materia: niente deve andare perduto.
Il pane non è solo spirituale, rappresenta tutto ciò che ci mantiene in vita, qui e ora. E di cui il Signore si preoccupa: «La religione non esiste solo per preparare le anime per il cielo: Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra (Evangelii gaudium 182)». Donaci Signore il pane, l’amore e la vita, perché per il pane, per la vita e per l’amore tu ci hai creati.
(Letture: 2 Re 4,42-44; Salmo 144; Efesini 4,1-6; Giovanni 6,1-6)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/la-legge-della-generosita-il-pane-condiviso-non-finisce
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Il suo sangue nelle nostre vene. Così l’eucarestia ci trasforma
Santissimo Corpo e Sangue di Cristo – Anno B
Vangelo – Marco 14,12-16.22-26
Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
Prendete, questo è il mio corpo. Il verbo è preciso e nitido come un ordine: prendete. Stringente e senza alibi. Gesù non chiede agli Apostoli di adorare, contemplare, venerare quel Pane, dice molto di più: io voglio stare nelle tue mani come dono, nella tua bocca come pane, nell’intimo tuo come sangue, farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita. Vi prego, prendete e dentro risuona tutto il bisogno di Dio di realizzare con noi una comunione senza ostacoli, senza paure, senza secondi fini. «Stringiti in me, stringimi in te» (G. Testori): il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola.
Lo esprime con una celebre formula Leone Magno: partecipare al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo. Che possiamo tutti diventare ciò che riceviamo: anche noi corpo di Cristo. E allora capiamo che Dio non è venuto nel mondo con il semplice obiettivo di perdonare i nostri peccati. Sarebbe una visione riduttiva, sia di Dio che dell’uomo.Il suo progetto è molto più grande, alto, potente: portare cielo nella terra, Dio nell’uomo, vita immensa in questa vita piccola. Molto più del perdono dei peccati: è venuto a portare se stesso.
Siamo abituati a pensare Dio come Padre, portatore di quell’amore che ci è necessario per venire alla vita; ma Dio è anche Madre, che nutre di sé i suoi figli, li nutre al suo petto, con il suo corpo. Ed è anche Sposo, amore esuberante che cerca risposta. Dice Gesù: i miei discepoli non digiunano finché lo sposo è con loro. E l’incontro con lui è come per gli amanti del Cantico: dono e gioia, intensità e tenerezza, fecondità e fedeltà.
Nel suo corpo Gesù ci dà tutta la sua storia, di come amava, come piangeva, come gioiva, ciò che lo univa agli altri: parola, sguardo, gesto, ascolto, cuore.Prendete questo corpo, vuol dire: fate vostro questo mio modo di stare nel mondo, il mio modo libero e regale di avere cura e passione per ogni forma di vita. Con il suo corpo Gesù ci consegna la sua storia: mangiatoia, strade, lago, volti, il duro della Croce, il sepolcro vuoto e la vita che fioriva al suo passaggio.
Con il suo sangue, ci comunica il rosso della passione, la fedeltà fino all’estremo. Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio. Che si estende fino ad abbracciare tutto ciò che vive quaggiù sotto il sole, i poveri, gli scartati, e poi i nostri fratelli minori, le piccole creature, il filo d’erba, l’insetto con il suo misterioso servizio alla vita, in un rapporto non più alterato dal verbo prendere o possedere, ma illuminato dal più generoso, dal più divino dei verbi: donare.
(Letture: Esodo 24,3-8; Salmo 115; Ebrei 9,11-15; Marco 14,12-16.22-26)
Dal libro di Tobia (5)
Ogni giorno, o figlio, ricordati del Signore; non peccare né trasgredire i suoi comandi.
Compi opere buone in tutti i giorni della tua vita e non metterti per la strada dell’ingiustizia. Se agirai con rettitudine, riusciranno le tue azioni, come quelle di chiunque pratichi la giustizia. Dei tuoi beni fa’ elemosina.
Non distogliere mai lo sguardo dal povero, così non si leverà da te lo sguardo di Dio. La tua elemosina sia proporzionata ai beni che possiedi: se hai molto, da’ molto; se poco, non esitare a dare secondo quel poco. Così ti preparerai un bel tesoro per il giorno del bisogno, poiché l’elemosina libera dalla morte e salva dall’andare tra le tenebre. Per tutti quelli che la compiono, l’elemosina è un dono prezioso davanti all’Altissimo.
Guardati, o figlio, da ogni sorta di fornicazione. Ama, o figlio, i tuoi fratelli; nel tuo cuore non concepire disprezzo per i tuoi fratelli. L’orgoglio infatti è causa di rovina e di grande inquietudine.
Nella pigrizia vi è povertà e miseria, perché l’ignavia è madre della fame. Non rimandare la paga di chi lavora per te, ma a lui consegnala subito; se così avrai servito Dio, ti sarà data la ricompensa.
Poni attenzione, o figlio, in quanto fai e sii ben educato in ogni tuo comportamento. Non fare a nessuno ciò che non piace a te. Non bere vino fino all’ebbrezza e non avere per compagna del tuo viaggio l’ubriachezza.
Da’ il tuo pane a chi ha fame e fa’ parte dei tuoi vestiti agli ignudi. Da’ in elemosina quanto ti sopravanza e il tuo occhio non guardi con malevolenza, quando fai l’elemosina. Chiedi il parere ad ogni persona che sia saggia e non disprezzare nessun buon consiglio.
In ogni circostanza benedici il Signore e domanda che ti sia guida nelle tue vie e che i tuoi sentieri e i tuoi desideri giungano a buon fine, poiché nessun popolo possiede la saggezza, ma è il Signore che elargisce ogni bene.
Il Signore esalta o umilia chi vuole fino nella regione sotterranea. Infine, o figlio, conserva nella mente questi comandamenti, non lasciare che si cancellino dal tuo cuore.
ALCUNI LIBRI DI PIER ANGELO PIAI
GUARIRE LA MENTE PER GUARIRE IL CORPO: http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
LA SPIRALE DELLA VITA (riedizione) : http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
L’ANIMA ESISTE ED È IMMORTALE ed. Segno http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
“LA FORZA DELLA FRAGILITÀ” ed.Segno (In questo mio libro troverete preghiere per molti stati d’animo e situazioni personali) http://www.edizionisegno.it/libro.asp….
VERSO L’ETERNITÀ (commenti su 4 anni di messaggi della Regina della Pace) http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
LA STIMMATIZZATA DI UDINE (Storia autentica di Raffaella Lionetti, dotata di speciali carismi) http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
FIAMMA D’AMORE DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
CONCETTA BERTOLI – La donna che vide la terza guerra mondiale http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
IL RESPIRO DELL’ANIMA INNAMORATA http://www.edizionisegno.it/libro.asp…
MARCELLO TOMADINI il pittore fotografo dei lager https://www.edizionisegno.it/libro.as…
Se volete essere aggiornati sui nuovi video che realizzo (più di 2100) iscrivetevi al mio canale youtube “piaipier”: http://www.youtube.com/user/piaipier a cura di https://mondocrea.it
(p.Ermes Ronchi)
XX domenica A Matteo 15,21-28
La donna delle briciole
La donna delle briciole, questa madre straniera, intelligente e indomita, che non si arrende ai silenzi e alle risposte brusche di Gesù, è uno dei personaggi più simpatici del vangelo. E Gesù, uomo di incontri, esce trasformato dall’incontro con lei. Quello che ci cambia nella vita non sono le idee, sono gli incontri. Se noi cambiamo poco, è perché incontriamo poco e male.
Una donna di un altro paese e di un’altra religione, in un certo senso “converte” Gesù, gli fa cambiare strada, gli apre il cuore alla fame e al dolore di tutti i bambini, che siano d’Israele oppure di Tiro e Sidone, figli di Raqqa o dei barconi, di Barcellona o delle discoteche, poco importa: la morte è uguale, il dolore è lo stesso, identico l’amore delle madri.
Gesù ha una visione: sono venuto solo per le pecore perdute di Israele. La donna gliela fa cambiare: No, tu appartieni al dolore dei figli, tu sei Pastore di tutto il dolore del mondo.
La donna nel racconto parla tre volte. La sua prima parola è la più evangelica, la più antica di tutte le preghiere cristiane: Kyrie eleyson. Abbi pietà. Pietà del nostro dolore, di questa mia bimba malata.
E Gesù non le rivolse neppure una parola. Ma una madre non si arrende, segue il gruppo continuando a gridare il suo dolore e quello della sua bambina. Coinvolge anche gli apostoli, ma la risposta di Gesù è molto netta e brusca: io sono venuto solo per quelli della mia gente, della mia religione.
La donna straniera invece di adeguarsi e di farsene una ragione, si avvicina di più, si prostra a sbarrare il passo a Gesù, e grida la seconda preghiera più semplice di tutto il vangelo: aiutami.
Gesù ha una reazione ancora più ruvida: Non si toglie il pane ai figli per gettarlo ai cani. I pagani, dai giudei, erano chiamati “cani” e disprezzati come tali.
E qui arriva la risposta geniale della donna, la sua terza parola: è vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. È la svolta del racconto. Questa immagine illumina Gesù. Nel regno di Dio, non ci sono figli e no, uomini e cani. Ma solo fame e creature da saziare, e figli sono anche quelli che pregano un altro dio.
Donna, grande è la tua fede! Lei che non va al tempio, che non conosce la bibbia, che prega gli idoli di Canaan, per Gesù è donna di grande fede.
La sua grande fede sta nel credere che Dio prova dolore per il dolore di ogni bambino, che la sofferenza di un uomo conta più della sua religione.
Una donna che non conosce la fede dei catechismi, ma possiede quella delle madri che soffrono.
Che conosce Dio dal di dentro, lo sente in empatia con il suo cuore di madre, lo sente pulsare nel profondo delle sue piaghe. Lei sa che Dio è felice quando una madre, qualsiasi madre, si stringe felice la carne della sua carne, finalmente guarita.
“Grande è la tua fede!” Allora grande è ancora la fede sulla terra, dentro e fuori la Chiesa, perché grande è il numero delle madri di Tiro e Sidone, che non sanno il Credo ma sanno il cuore di Dio.
Usano un altro nome per invocare Dio, ma ne conoscono il cuore. Un cuore di madre. È con il cuore che si crede, scrive Paolo ai Romani (Rom 10,10).
Grande è ancora la fede sulla terra: le madri sanno che Dio appartiene al dolore e ai dolenti del mondo, che la sofferenza viene prima di ogni religione, di ogni razza, di ogni appartenenza. Per lui non ci sono figli e cagnolini.
Dove c’è dolore, lì c’è tutta la pietà di Dio.
Può sembrare una briciola, può sembrare poca cosa la compassione di Dio, ma le briciole di Dio sono grandi come Dio stesso.
Avvenga per te come desideri. Gesù ribalta la domanda della madre, gliela restituisce: Sei tu e il tuo desiderio che comandate. La tua fede e il tuo desiderio sono come un grembo che partorisce il miracolo.
Tutto questo diventa consolazione: perché nel giorno in cui avremo poca fede, nel giorno in cui saremo sopraffatti dal dolore, quando la sofferenza sarà così forte da impedirci perfino di pregare, quando verrà, dal fondo dell’essere, solo una parola muta «Ho paura, aiutami, sto affondando», in quel momento Dio si farà vicino come pane per i figli, come briciole per ogni cucciolo d’uomo.
E sono contento, perché so che allora non importerà più merito o demerito; Dio non conterà i miei peccati, conterà solo a una a una tutte le mie lacrime, e queste riporrà nei suoi otri misteriosi. E il giudizio ultimo sarà l’apertura di questi immensi forzieri di fede e di dolore.
Questo Dio ora si rivolge a noi, al nostro modo di abitare la terra: la terra come un’unica grande casa, con una tavola ricca di pane e ricca di figli. Dove tutti, tutti sono dei nostri.
La svolta nel racconto evangelico è tracciata dall’immagine che «anche i cuccioli sotto la tavola mangiano le briciole cadute ai loro padroni» (Mt 15, 27). La madre cananea sembra dire: non puoi fare delle briciole di miracolo, delle briciole di prodigio, per questi cani di pagani? La coscienza umile che tutti siamo uguali, e al contempo l’affermazione di essere là a cercare solo briciole, avanzi, pane perduto, è ciò che commuove Gesù.
Se noi riuscissimo ad applicare questa frase al nostro mondo, al nostro presente di vacanze e di miseria, di festa e di dolore, che morde sul ferragosto, alla fiumana di madri cananee che implorano briciole per i loro cuccioli, stritolati dal demone della fame o della malattia, del terrorismo o della violenza allora capiremmo che cos’è il Regno, la nuova terra come Dio la sogna.
Il mondo domanda a noi, discepoli di Gesù di Nazaret: Fate anche voi dei segni, fate dei piccolissimi segni, delle briciole di miracolo per noi, i cagnolini della terra. Una briciola di generosità…
Allora la terra sarà la patria grande, la casa comune, tante volte sognata e descritta dai migliori uomini del nostro tempo, una tavola ricca di pane, una corona di figli, briciole, e dei cuccioli non più affamati.
La pietà di Dio viene sempre a smuovere la nostra idea di giustizia, ci chiama a chinarci sugli ultimi, a prenderli da sotto la tavola, dalle periferie del banchetto, a tirarli su, a metterli tra i figli,
anzi a metterli come lampade sopra il lucerniere
perché anch’essi hanno occhi di luce,
perché ci sia più luce sulla tavola del pane,
più luce sul futuro del mondo.
Preghiera alla comunione
Signore, vorrei anch’io la fede della donna Cananea,
la donna delle briciole
che non si arrende, che intuisce, sotto i tuoi no,
l’impazienza di dire sì.
Vorrei la fede della madre Cananea
Lei sa che davanti a Dio
niente vale quanto la sua bambina malata,
lei viene prima di ogni credo, di ogni religione.
Lei sa che Dio è pastore di tutto il dolore del mondo.
A noi, seduti a tavole ricche di pane,
dona di fare dei piccoli segni,
delle briciole di miracolo
per i cagnolini della terra.
E tu, donna Cananea,
donna delle briciole e della grande fede,
insegnaci che non ci sono figli di Dio e cagnolini
che c’è una sola casa grande, che è di tutti.
E continua ancora indomita a intercedere
per noi, come tua figlia malati,
per noi, come tua figlia affamati.
Per noi, grati per tutte le madri come te,
che illuminano la terra,
che insegnano la fede.
Amen
Prima l’uomo, poi la sua fede.
In cima a tutti i diritti umani sta il diritto del dolore e della fame.
Il Vangelo – a cura di Ermes Ronchi
XX Domenica – Tempo Ordinario – Anno A –
agosto 2017
E Dio si arrese alla fede indomita di una madre
Matteo 15,21-28
In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.
La donna delle briciole, una madre straniera, intelligente e indomita, che non si arrende ai silenzi e alle risposte brusche di Gesù, è uno dei personaggi più simpatici del Vangelo. E Gesù, uomo di incontri, esce trasformato dall’incontro con lei.
Una donna di un altro paese e di un’altra religione, in un certo senso “converte” Gesù, gli fa cambiare mentalità, lo fa sconfinare oltre Israele, gli apre il cuore alla fame e al dolore di tutti i bambini, che siano d’Israele, di Tiro e Sidone, figli di Raqqa o dei barconi, poco importa: la fame è uguale, il dolore è lo stesso, identico l’amore delle madri. No, dice la donna a Gesù, tu non sei venuto solo per quelli di Israele, ma anche per me, tu sei Pastore di tutto il dolore del mondo.
Anche i discepoli sono coinvolti nell’assedio tenace della donna: Rispondile, così ci lascia in pace. Ma la posizione di Gesù è molto netta e brusca: io sono stato mandato solo per quelli della mia nazione, quelli della mia religione e della mia cultura.
La donna però non si arrende: aiuta me e mia figlia! Gesù replica con una parola ancora più ruvida: Non si toglie il pane ai figli per gettarlo ai cani. I pagani, dai giudei, erano chiamati “cani” e disprezzati come tali.
E qui arriva la risposta geniale della donna: è vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. È la svolta del racconto. Questa immagine illumina Gesù. Nel regno di Dio, non ci sono figli e no, uomini e cani. Ma solo fame e figli da saziare, e figli sono anche quelli che pregano un altro Dio.
Donna, grande è la tua fede! Lei che non va al tempio, che non conosce la Bibbia, che prega altri dei, per Gesù è donna di grande fede.
La sua grande fede sta nel credere che nel cuore di Dio non ci sono figli e cani, che Lui prova dolore per il dolore di ogni bambino, che la sofferenza di un uomo conta più della sua religione. Lei non conosce la fede dei catechismi, ma possiede quella delle madri che soffrono. Conosce Dio dal di dentro, lo sente all’unisono con il suo cuore di madre, lo sente pulsare nel profondo delle sue piaghe: «è con il cuore che si crede», scrive Paolo (Rm 10,10). Lei sa che Dio è felice quando una madre, qualsiasi madre, abbraccia felice la carne della sua carne, finalmente guarita.
Avvenga per te come desideri. Gesù ribalta la domanda della madre, gliela restituisce: Sei tu e il tuo desiderio che comandate. La tua fede e il tuo desiderio sono come un grembo che partorisce il miracolo.
Matura, in questo racconto, un sogno di mondo da abbracciare: la terra come un’unica grande casa, con una tavola ricca di pane e ricca di figli. E tutti, tutti sono dei nostri.
(Letture: Isaia 56,1.6-7; Salmo 66; Romani 11,13-15.29-32; Matteo 15,21-28)
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Corpus Domini – Anno A – 2017
Così Gesù si fa pane vivo nella «messa del mondo»
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro (…). Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. (…) Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Io sono il pane vivo: Gesù è stato geniale a scegliere il pane. Il pane è una realtà santa, indica tutto ciò che fa vivere, e che l’uomo viva è la prima legge di Dio.
Che cosa andremo a fare domenica nelle nostre celebrazioni? Ad adorare il Corpo e Sangue del Signore? No. Oggi non è la festa dei tabernacoli aperti o delle pissidi dorate e di ciò che contengono.
Celebriamo Cristo che si dona, corpo spezzato e sangue versato? Non è esatto. La festa di oggi è ancora un passo avanti. Infatti che dono è quello che nessuno accoglie? Che regalo è se ti offro qualcosa e tu non lo gradisci e lo abbandoni in un angolo?
Oggi è la festa del prendete e mangiate, prendete e bevete, il dono preso, il pane mangiato. Come indica il Vangelo della festa che si struttura interamente attorno ad un verbo semplice e concreto “mangiare”, ripetuto per sette volte e ribadito per altre tre insieme a “bere”.
Gesù non sta parlando del sacramento dell’Eucaristia, ma del sacramento della sua esistenza, che diventa mio pane vivo quando la prendo come misura, energia, seme, lievito della mia umanità. Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio, perché ci incamminiamo a vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta lui.
Mangiare e bere la vita di Cristo non si limita alle celebrazioni liturgiche, ma si dissemina sul grande altare del pianeta, nella “messa sul mondo” (Theilard de Chardin).
Io mangio e bevo la vita di Cristo quando cerco di assimilare il nocciolo vivo e appassionato della sua esistenza, quando mi prendo cura con combattiva tenerezza degli altri, del creato e anche di me stesso. Faccio mio il segreto di Cristo e allora trovo il segreto della vita.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Determinante è la piccola preposizione : “in”. Che crea legame, intimità, unione, innesto, contiene “tutta la ricchezza del mistero: Cristo in voi” (Col 1,27). La ricchezza della fede è di una semplicità abbagliante: Cristo che vive in me, io che vivo in Lui. Il Verbo che ha preso carne nel grembo di Maria continua, ostinato, a incarnarsi in noi, ci fa tutti gravidi di Vangelo, incinti di luce.
Prendete, mangiate! Parole che mi sorprendono ogni volta, come una dichiarazione d’amore: “Io voglio stare nelle tue mani come dono, nella tua bocca come pane, nell’intimo tuo come sangue, farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita”.
Qui è il miracolo, il batticuore, lo stupore: Dio in me, il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola, con la stessa vocazione: non andarcene da questo mondo senza essere diventati pezzo di pane buono per qualcuno.
(Letture: Deuteronomio 8,2-3.14b-16a; Salmo 147; 1 Corinzi 10,16-17; Giovanni 6,51-58)
http://www.sancarloalcorso.it/scc/showPage.jsp?wi_number=35999&wmenuid=
Oggi è la festa del prendete e mangiate,
prendete e bevete,
il dono preso, il pane mangiato.
Gesù non sta parlando del sacramento dell’Eucaristia,
ma del sacramento della sua esistenza,
che diventa mio pane vivo quando la prendo come misura,
energia, seme, lievito della mia umanità.
Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita,
che nel cuore metta radici il suo coraggio, perché ci incamminiamo
a vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta lui.
Io mangio e bevo la vita di Cristo
quando cerco di assimilare il nocciolo vivo e appassionato della sua esistenza,
quando mi prendo cura con combattiva tenerezza degli altri, del creato e anche di me stesso.
Faccio mio il segreto di Cristo e allora trovo il segreto della vita.
(Ermes Ronchi – Ss. CORPO E SANGUE DI CRISTO – Anno A – 2017)
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/cosi-gesu-si-fa-pane-vivo-nella-messa-del-mondo
Il Vangelo a cura di Ermes Ronchi
Gesù, il compagno di viaggio che non riconosciamo
III Domenica di Pasqua – Anno A – 30 aprile 2017
Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». […]
La strada di Emmaus racconta di cammini di delusione, di sogni in cui avevano tanto investito e che hanno fatto naufragio. E di Dio, che ci incontra non in chiesa, ma nei luoghi della vita, nei volti, nei piccoli gesti quotidiani.
I due discepoli hanno lasciato Gerusalemme: tutto finito, si chiude, si torna a casa. Ed ecco che un Altro si avvicina, uno sconosciuto che offre soltanto disponibilità all’ascolto e il tempo della compagnia lungo la stessa strada.
Uno che non è presenza invadente di risposte già pronte, ma uno che pone domande. Si comporta come chi è pronto a ricevere, non come chi è pieno di qualcosa da offrire, agisce come un povero che accetta la loro ospitalità.
Gesù si avvicinò e camminava con loro. Cristo non comanda nessun passo, prende il mio. Nulla di obbligato. Ogni camminare gli va. Purché uno cammini. Gli basta il passo del momento, il passo quotidiano.
E rallenta il suo passo sulla misura del nostro, incerto e breve. Si fa viandante, pellegrino, fuggitivo, proprio come i due; senza distanza né superiorità li aiuta a elaborare, nel racconto di ciò che è accaduto, la loro tristezza e la loro speranza: Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?
Non hanno capito la croce, il Messia sconfitto, e lui riprende a spiegare: interpretando le Scritture, mostrava che il Cristo doveva patire.
I due camminatori ascoltano e scoprono una verità immensa: c’è la mano di Dio posata là dove sembra impossibile, proprio là dove sembra assurdo, sulla croce. Così nascosta da sembrare assente, mentre sta tessendo il filo d’oro della tela del mondo. Forse, più la mano di Dio è nascosta più è potente.
E il primo miracolo si compie già lungo la strada: non ci bruciava forse il cuore mentre ci spiegava le Scritture? Trasmettere la fede non è consegnare nozioni di catechismo, ma accendere cuori, contagiare di calore e di passione. E dal cuore acceso dei due pellegrini escono parole che sono rimaste tra le più belle che sappiamo: resta con noi, Signore, perché si fa sera. Resta con noi quando la sera scende nel cuore, resta con noi alla fine della giornata, alla fine della vita. Resta con noi, e con quanti amiamo, nel tempo e nell’eternità.
E lo riconobbero dal suo gesto inconfondibile, dallo spezzare il pane e darlo.
E proprio in quel momento scompare. Il Vangelo dice letteralmente: divenne invisibile. Non se n’è andato altrove, è diventato invisibile, ma è ancora con loro. Scomparso alla vista, ma non assente. Anzi, in cammino con tutti quelli che sono in cammino, Parola che spiega, interpreta e nutre la vita. È sulla nostra stessa strada, «cielo che prepara oasi ai nomadi d’amore» (G. Ungaretti). https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/ges-il-compagno-di-viaggio-che-non-riconosciamo?utm_content=buffer9782d&utm_medium=social&utm_source=facebook.com&utm_campaign=buffer
I DOMENICA DI QUARESIMA –2017
p. Ermes Ronchi
Mt 4, 1-11
OMELIA
Vangelo delle tentazioni, sul quale san Giacomo ci spiazza tutti:
considerate perfetta letizia subire ogni sorta di tentazioni.
Come se fosse una gioia, se fosse bello essere tentati.
Giacomo che dice: finalmente le tentazioni! Togliete le tentazioni e nessuno si salverà più (Antonio abate).
E potremmo aggiungere: finalmente Quaresima! Un’altra volta quaresima! Mi piace molto la quaresima, è la stagione dell’essenziale e delle ripartenze, della primavera che riparte, della vita che punta diritto verso la luce di Pasqua.
La primavera, la nostra e quella di Dio, non si lascia sgomentare da tutto ciò che accade. Lo dicono anche i due segni che chiudono la quaresima: le ceneri e l’acqua.
Le ceneri dell’inizio, il mercoledì, e l’acqua della conclusione, il giovedì santo. Le ceneri sul capo e l’acqua sui piedi. La strada sembra breve, meno di due metri e invece il percorso è lunghissimo, perché porta ai piedi dell’altro. Alla vita generosa.
Non ti sgomentare per la tua vita, se ti sembra una raccolta di ceneri o di fatiche senza frutto. Non ti deprimere: le ceneri non sono la fine. C’è l’acqua del giovedì santo, c’è la luce della Pasqua.
Il nostro chiostro oggi abbraccia i laboratori sull’acqua. Per nuovi stili di vita. Senza acqua non c’è vita. L’acqua, sorella umile preziosa e pura, è una delle questioni cruciali del mondo attuale (Laudato sì, 30). Un diritto e un dovere.
Quaresima vuol dire conversione, cioè novità di vita, uguale a nuovi stili di vita, concreti e semplici; piccoli gesti che forse non sono religiosi ma cristiani sì; sono gesti umani e proprio per questo atti religiosi; perché fede è scegliere sempre l’umano contro il disumano; gesti piccoli e umanissimi.
Considerate perfetta letizia… Le tentazioni non sono peccato, sono un decreto di libertà. Lo assicurano le parole che aprono tutta la sezione della Legge nella Bibbia: io metto davanti a te la vita e la morte, scegli!
Il primo comandamento è un decreto di libertà: scegli! Tocca a te imboccare una delle due strade, quella della vita o quella della morte.
Le tentazioni hanno dentro una logica pasquale, avviano una storia di contropiedi, una partita tutta di ripartenze contro ciò che fa male all’uomo.
Vediamo come accade:
In quel tempo, Gesù… ed è come dire: in questo tempo, io.
Perché ogni uomo è quell’uomo, ogni luogo è quel deserto, in cui lo Spirito ti spinge sul bivio che si apre davanti ad ogni scelta decisiva. Noi siamo ciò che scegliamo.
Il racconto di Matteo mette in scena il Nemico intelligente, il più intelligente degli spiriti, e le tentazioni sono da par suo, intelligenti: propone cose ragionevoli, baratti vantaggiosi, del buon pane, un governo nuovo del mondo.
Scrive O. Clément: “le grandi tentazioni non sono quelle di cui si è preoccupato e perfino ossessionato un certo cristianesimo moralistico, non sono quelle che ci saremmo aspettati, quelle, per es. che riguardano la sfera sessuale, ma sono quelle che vanno a demolire la fede”. Se Gesù avesse risposto in un altro modo alle tre proposte del diavolo, non avremmo avuto né la croce né il cristianesimo.
Dì che queste pietre diventino pane! Il pane è un bene, un valore indubitabile, che cosa c’è di male nel pane?
Se tu sei figlio di Dio, poiché lo sei Figlio di Dio, usa il tuo potere per te. Ma Gesù non ha mai cercato il pane a suo vantaggio, si è fatto pane a vantaggio di tutti. Non ha mai usato il suo potere per alimentare se stesso, ma lui si è fatto alimento e pane per tutti.
E risponde, citando la parola di Dio e giocando al rialzo, offrendo più vita: “Non di solo pane vivrà l’uomo”. Il pane dà vita ma più vita viene dalla bocca di Dio. Dalla sua bocca è venuta la luce, il cosmo, la creazione. È venuto il soffio che ci fa vivi, sei venuto tu fratello, amico, amore, che sei parola pronunciata dalla bocca di Dio per me. E anche di te io vivo.
L’uomo vive di ogni parola… Se osservi le parole che vengono dalla bocca di Dio non solo vivi ma avrai una vita capace di superare la morte, di risorgere sempre.
Seconda tentazione: Buttati, così potremo vedere uno stormo di angeli in volo…gettati giù dal punto più alto del tempio, perché tanto ci saranno angeli a farti da gradini.
Fai un bel miracolo, la gente ama i miracoli, e ti verranno dietro. E invece Gesù guarirà molti dicendo loro: torna a casa tua e non dire niente a nessuno. Gesù non cerca il successo, cerca uomini liberi e pieni.
Il diavolo non si presenta come un avversario, ma come un amico, come chi vuole aiutare Gesù a fare meglio il messia. E in più la tentazione è fatta con la bibbia in mano (sta scritto…).
La risposta è: non tentare Dio, attraverso ciò che sembra il massimo della fiducia nella provvidenza e invece ne è la caricatura, perché è solo ricerca del proprio vantaggio. Tu non ti fidi di Dio, vuoi solo sfruttarlo. Stai manipolando Dio, come chi lo prega solo se e quando ne ha bisogno.
Nella terza tentazione il diavolo alza ancora la posta: adorami e ti darò tutto il potere del mondo. Adorami, cioè segui la mia logica, la mia politica. Prendi il potere, occupa i posti chiave, cambia le leggi. Così risolverai i problemi, e non con la croce; con rapporti di forza, non con l’amore.
Vuoi avere gli uomini dalla tua parte? Assicuragli tre cose: pane, miracoli e un leader, e li avrai in mano. Ma Gesù non cerca uomini da dominare, vuole figli liberi e amanti. Per Gesù ogni potere è idolatria.
Allora angeli si avvicinarono e lo servivano.
Se in questa Quaresima ognuno di noi potesse avvicinarsi a una persona, anche una soltanto, che ha bisogno perché malata o sola o povera, regalando un po’ di tempo e un po’ di cuore, fatti non parole, allora per quella persona tu saresti come un angelo del deserto.
Siamo noi gli angeli di Dio.
Il Signore manda angeli anche nella mia casa:
li manda a prendersi cura di me,
sono i miei cari, quelle persone buone
che sanno inventare una nuova carezza, hanno occhi di luce,
ti sorreggono con le loro mani, instancabili e leggere,
tutte le volte che inciampi.
E se lo farò anch’io, vedrò accadere il sogno di Isaia:
“Illumina altri e ti illuminerai,
guarisci altri e guarirà la tua ferita.
Illumina altri e la tua luce sorgerà
come un’estate di sole.
Preghiera alla comunione
Non smettere di volermi bene, non smettere mai.
Ho sbagliato, sapevo che non era da fare,
l’ho fatto lo stesso, l’ho fatto apposta.
Non capisco cosa mi succede a volte, so che è sbagliato,
Tu me l’hai detto e ridetto che è sbagliato
ma io lo faccio lo stesso non posso farne a meno
è più forte di me. Mi hai insegnato ad essere sincero,
chi è sincero è buono, dici sempre.
Mi hai insegnato di non avere paura di quello che sono,
a non nascondermi, ma ora ti prego vieni a cercarmi.
Trovami, non dirmi che non ti fidi più di me
e fammi tornare ad essere contento,
dimentica i miei errori e non ci saranno più,
non mandarmi via, non mandarmi dove Tu non ci sei,
non dirmi che non mi vuoi più qui con Te
e non andare via neppure Tu.
Rimani qui e guardami come quando mi vuoi bene,
Pensa che posso farcela e ce la farò
pensa che sono buono e lo sarò.
Io non so farti promesse,
Tu perdonami però, e vieni a cercarmi.
Eccoti, finalmente sei qui,
mi prendi tra le braccia,
tienimi così e dimmelo, dimmelo
che non smetterai di volermi bene MAI.
(Salmo 50, da G. Quarenghi: Salmi per voce di bambino).
Dal discorso di Francesco:
Come si legge nel libro della Genesi, l’acqua è al principio di tutte le cose (Gn 1, 2); è “creatura utile, pura e umile”, fonte della vita e della fecondità (San Francesco d’Assisi). Perciò la questione non è marginale, è fondamentale e molto urgente. Fondamentale perché dove c’è acqua c’è vita, e allora la società può sorgere e progredire. Ed è urgente perché la nostra casa comune ha bisogno di protezione e, inoltre, che si comprenda che non tutta l’acqua è vita: solo l’acqua sicura e di qualità. Ogni persona ha diritto all’accesso all’acqua potabile e sicura; è un diritto umano essenziale e una delle questioni cruciali nel mondo attuale (Laudato si’, n. 30; Caritas in veritate, n. 27). È un problema che riguarda tutti e fa sì che la nostra casa comune sopporti tanta miseria e reclami soluzioni effettive, davvero capaci di superare gli egoismi che impediscono l’attuazione di questo diritto vitale per tutti gli esseri umani. (Papa Francesco 24.02.2017)
p. Ermes Ronchi
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I 10 SEGRETI DI MEDJUGORJE (di Padre Livio Fanzaga):
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VIDEO RELATIVI AI MESSAGGI DELLA MADONNA DI MEDJUGORJE
PLAYLIST RELATIVA A MEDJUGORJE (MESSAGGI E COMMENTI IN VIDEO)
https://www.youtube.com/playlist?list=PL_I8V9Z5YmOY_O1E9krjhlTo3O_k-L-6y
LE APPARIZIONI DELLA MADONNA A PORZUS – Nuova versione
6 luglio 2005
IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA IN AUDIO
Catechesi e omelie di padre Lino Pedron